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Hitman: la sua storia attraverso PlayStation 2 | Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Cominciamo mettendo Ave Maria di Schubert in sottofondo. Il clima musicale è importante dato il contesto.

Seppur mi sia apparso piuttosto timido nell’ultima generazione di console (al netto di una ritrovata naturalità), il franchise di Hitman, nato dal connubio fra IO Interactive e Eidos Interactive nell’ormai lontano 2000, ha da sempre contribuito uno dei più significativi standard per quanto concerne lo stealth game. In perfetta linea con la Cover Story di questo mese, parlerò dei tre capitoli che si sono succeduti sulla seconda ammiraglia di casa Sony e che, guarda caso, sono anche i capitoli che ritengo più rappresentativi per la saga.

Appena due anni dopo Codename: 47 – uscito esclusivamente su PC – Eidos pubblica il debutto del franchise su PlayStation 2: Hitman 2: Silent Assassin.

Prescindendo dalle origini biografiche del nostro calvissimo 47 (disaminate nel capitolo precedente), in Silent Assassin ci ritroviamo inizialmente nel Belpaese, più specificatamente in Sicilia; luogo dove 47 si è ritirato nel tentativo di vivere una vita quanto più prossima all’essere definita tranquilla. Dopo anni trascorsi a mietere per conto dell’Agenzia (topos che Hitman ha contribuito a sdoganare), ritrovarlo nelle pacifiche vesti del giardiniere di un convento potrebbe risultare piuttosto impattante, tuttavia appare chiaro sin da subito che la calma e la tranquillità altro non rappresentano che l’espediente per poter catalizzare il ritorno di 47 ai cavi in fibra. Di fatto, colui che ha accolto il nostro protagonista, Padre Vittorio, verrà rapito da una cosca mafiosa, e potete immaginare chi si prenderà il fastidio di liberarlo. 47, a questo punto, in piena verve John Wick, riesuma giacca, cravatta e le sue due concubine in calibro .45, le splendide Silverballer. Agent 47 is back! nuovamente supportato (e ricattato) dall’Agenzia attraverso la voce dell’unica vera coprotagonista della serie: Diana Burnwood. Intrighi internazionali e dinamiche alla John Woo forniscono la struttura e la compattezza giusta per immergere il giocatore in un’esperienza di gioco inestimabile.

Il tutto viene veicolato da un gameplay direttamente proporzionato alle differenti dinamiche che il giocatore può sfruttare per portare a termine l’obiettivo: un approccio velato e discreto, fatto di mimetizzazioni e colpi silenziosi, oppure un’azione più frenetica e muscolare, tipica del noob. Ognuna di queste metodologie può essere condotta facendo ricorso ai più svariati espedienti: dai celebri travestimenti, che da sempre hanno contraddistinto l’unicità del franchise (alcuni dei quali davvero bizzarri), al massiccio fuoco frontale reso possibile dalle non poche bocche da fuoco che il gioco ci rende disponibili. Naturalmente, occhio a lasciare in bella vista i cadaveri in mutande.

La lacrimuccia scende facile tanto quanto la bestemmia, se soltanto ripenso a quanto abbia faticato, al netto del fatto di averci giocato a dieci anni, per ottenere la gratifica di Silent Assassin: dritto verso l’obiettivo, nessuna vittima non richiesta.

Qualche anno più tardi, nel 2004, sempre Eidos e sempre IO Interactive danno alla luce il terzo capitolo della serie: Hitman: Contracts. Forse il meno riuscito del trittico, ma non per questo il meno valido.

Nei confronti di Contracts, nutro un affetto misto a delusione. Se da una parte c’è un capitolo che ha segnato buona parte delle mie giornate bambinesche, dall’altra c’è la mancata soddisfazione nel non aver ritrovato quelle atmosfere archetipiche che avevo imparato ad amare nel capitolo precedente. Non a caso, a differenza di Silent Assassin, questo episodio non presenta una trama lineare, ma ci proietta fra i ricordi di un morente 47. Riviviamo quindi alcuni storici momenti della vita del sicario, giocando in una nuova veste grafica ad alcuni stage già affrontati in passato, come L’assassinio di Lee Hong, narrato in Codename 47. Tuttavia, ci sono anche dei contratti inediti, alcuni dei quali davvero interessanti, come “l Party del Re della Carne, ma anche La bomba di Bjarkhov, in cui finiamo per far esplodere un sommergibile.

Al netto di alcuni palesi difetti, individuabili prevalentemente nella sua scrittura, Contracts preserva e a tratti migliora l’alta giocabilità osservata nel predecessore; potenziandone considerevolmente l’aspetto tecnico. Anche qui ritroviamo i soliti sistemi di approccio, con i quali avevamo familiarizzato in Silent Assassin: dagli iconici travestimenti, passando per siringhe, veleni e fucili a pompa nascosti tra i fiori alla Terminator maniera.

Sempre due anni più tardi, nel 2006, stesso team e stesso publisher faranno scendere definitivamente il sipario del franchise su PlayStation 2 e lo fanno nella maniera più plateale possibile, con Hitman: Blood Money.

Al di là della componente ludica, Blood Money cura in maniera decisamente più zelante la sua cifra narrativa, ovviando così alle debolezze del precedente capitolo. Questa volta, 47 si vede coinvolto in una serie di vicende decisamente più contorte e complicate del solito, vicende che ovviamente non starò qui a raccontarvi; tuttavia, lasciatemi dire che l’epilogo è forse uno fra i climax più belli di quella generazione. Rimettete da capo Ave Maria.

Hitman: Blood Money è senza dubbio il capitolo più ottimizzato della generazione a 128 bit, con un gameplay in parte in linea con i canoni della serie, ma con vaste migliorie apportate all’intera esperienza: dalla personalizzazione dell’equipaggiamento, alla possibilità di poter interagire molto più profondamente con l’ambiente circostante, affinché questo svolga il lavoro sporco per voi. Ciò accresce proporzionalmente il livello complessivo di immersione, aumentando la nostra sinergia con 47 come mai prima.

La fine della generazione sancisce anche la fine di Hitman per come l’abbiamo conosciuto; d’altronde, tre anni più tardi Eidos cesserà di esistere o, per meglio dire, verrà acquisita da Square Enix, che soltanto nel 2013 pubblicherà Hitman: Absolution; titolo che mi divertì moltissimo, ma che palesava una venatura eccessivamente action. I due reboot usciti sull’attuale generazione di console sono al contrario più prossimi alla trilogia sopracitata; ciononostante, sento ancora che manchi qualcosa. Peccato.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata ai vent'anni di PlayStation 2, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.