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Gungrave VR: Loaded Coffin Edition, per fortuna non è una recensione | Backlog

Backlog è la rubrica in cui chiacchieriamo fuori tempo massimo di giochi che abbiamo recuperato nella nostra lotta infinita contro il cumulo di arretrati. Sono quei giochi troppo recenti per poter essere ammessi nell'ospizio, ma già troppo vecchi perché possa ancora interessare a qualcuno una recensione classica.

“Ah, cosa c’è di meglio di una bella Cover Story a tema robottoni, per smaltire una roba vagamente in tema che avevo scordato nella cesta natalizia aziendale?”.

Questa, mescolata al senso di colpa per aver fatto scadere la recensione, è stata la molla che mi spinto a calare il visore VR di Sony, nonostante le prime canicole, e lanciare Gungrave VR: Loaded Coffin Edition. O, meglio, prima Gungrave VR, e dopo l’appendice standalone Gungrave VR U.N, che insieme vanno a costituire il prologo per Gungrave G.O.R.E, sequel regolare della serie nata su PlayStation 2, previsto per la fine dell’anno.

Per chi non lo sapesse, o non lo ricordasse, il primo Gungrave ,uscito nel 2002, era un action/sparatutto in terza persona sviluppato da Red Entertainment. All’epoca, lo studio giapponese aveva scelto di affidare il design dei mecha al mangaka Kōsuke Fujishima (Ah! My Goddess!), mentre quello dei personaggi era stato curato da Yasuhiro Nightow, il papà di Trigun, opera verso la quale Gungrave ha un debito stilistico importante almeno quanto quello nei confronti del primo Devil May Cry.

In effetti, immagino che avrei potuto tranquillamente infilare questo pezzo in Cover Story più acconcie, se non fossero salpate da un pezzo.

Ad ogni modo, nonostante una certa monotonia di fondo, in via dei nomi coinvolti e dello stile, Gungrave un minimo di seguito se lo mise in tasca, dando il la all’inevitabile anime e a un sequel, Gungrave: Overdose. Da lì, che io sappia, il brand è andato scivolando in fondo al cestone, prima di essere rianimato dallo studio Iggymob qualche mese fa.

Per ragioni che non comprendo, il team coreano ha deciso di crederci fortissimo, sparando un paio di cartucce (una e mezza, meglio) in VR, col sequel grosso già in canna. Purtroppo, visto l’esito del prologo, forse avrebbero fatto meglio a lasciar stare il morto.

Sto ancora male.

Se nel 2002 le pistole in stile Dante, la bara corazzata (!) e una certa somiglianza tra il protagonista, Grave, e il Nicholas D. Wolfwood di Trigun potevano avere un minimo di presa, oggi puzzano di vecchio. Ma la vera poracciata è il gameplay: Gungrave VR riciccia la formula da sparatutto in terza persona banale e privo di mordente delle origini, la pregiudica ulteriormente attraverso dei controlli di legno e una camera di ghisa che, giustamente, si danno il cinque per formare una fra le peggiori declinazioni della realtà virtuale che mi siano capitate sul naso.

Come se non fossero sufficienti la gestione dello spazio opprimente e lo slittamento a blocchi tipico di certe esperienze in VR del Giurassico, i designer di Iggymob hanno pure optato per un modello di mira controllato dallo sguardo, che pare fatto apposta per crocefiggere il giocatore alla tazza del water. Se, come me, siete disposti al motion sickness, già dalle prime sessioni inizierete a sudare freddo e ad avere la nausea. Il gioco, ovviamente, non si prende la briga di ricompensare la sofferenza ma, anzi, già che c’è, tra una sparatoria e l’altra, infila una bella manciata di menù ingombranti e spiegoni.

Nel secondo trancio di gioco, perlomeno, non si sbocca.

Le cose migliorano un pochino con Gungrave VR U.N, in via di una camera meno scellerata, ma non è abbastanza per salvare il raccolto. Tra l’altro, se non avessi patito un’esperienza tanto nauseante, probabilmente mi sarei lamentato della scarsa durata (meno di una decina di missioni, sbancabili nel giro di poche ore). Ma allo stato delle cose, oh, meglio così.

Già che ci sono, segnalo che, dallo scorso marzo, il pacchetto Gungrave VR + UN è disponibile pure su Steam, alla non troppo modica cifra di 29 euro e spicci, mentre la versione per PlayStation VR viene via per 39,99 euro. In entrambi i casi, se siete proprio decisi a farvi ‘sto giro di giostra, preparatevi a sborsare un piccolo extra in Biochetasi.

Questo articolo, assai pretestuosamente, fa parte della Cover Story dedicata all’arrivo di Neon Genesis Evangelion su Netflix e ai robottoni in generale, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.