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Grand Theft Auto Vice City: The World is Yours! | Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Siamo nel 2002, più precisamente in quel periodo collocato tra fine novembre e inizio dicembre, dove inizia il delirio pre-natalizio. I centri commerciali sono pieni di gente, non puoi voltarti da nessuna parte senza incrociare qualcuno indaffarato a effettuare qualche acquisto. I videogiochi stanno vivendo un bel periodo, commercialmente parlando: le console sono ormai presenti in tutti i salotti, e, neanche a dirlo, sono il regalo di Natale più richiesto. Gli scaffali strabordano di titoli PlayStation 2, mentre quelli Xbox e GameCube occupano meno spazio, anche se la direzione presa dal mercato era abbastanza chiara. E, nonostante la vastità e la qualità dell’offerta, sarà il Natale di Grand Theft Auto Vice City, con buona pace di tutti gli altri titoli.

Anche se la vera rivoluzione era nata con il gioco precedente, Grand Theft Auto III, uscito un anno prima, è con Vice City che la saga si è conquistata un posto nell’immaginario collettivo e nella cultura di massa. Vice City la faceva estremamente semplice, che più semplice non si può: prendeva la filosofia e il gameplay del precedente gioco e li trasferiva nella Miami degli anni Ottanta, quella di Scarface e di Tony Montana, fatta di luci al neon, cocaina, denaro a fiumi e tanta, ma tanta musica.

Se dal punto di vista della sostanza non cambiava poi molto, con la semplice aggiunta di più armi, veicoli (qualcuno ha detto Faggio?) e attività secondarie, era proprio la forma a fare la differenza. Se la fredda Liberty City/New York del gioco precedente non faceva nulla per scaldarti il cuore, non si poteva rimanere indifferenti di fronte alla Miami virtuale di Vice City. Bastava semplicemente passeggiare per le assolate strade digitali per percepirne il calore, per sentire la città “viva” intorno a noi, come se fossimo veramente a Miami e non nei nostri salotti o nelle nostre camerette in un freddo pomeriggio di dicembre. Per me, che Grand Theft Auto III lo avevo vissuto in prima battuta solo giocandoci a casa di amici, assaporandone solo a spizzichi e bottoni la rivoluzionaria libertà d’azione, Vice City era il mio primo “vero” Grand Theft Auto, quello che ho vissuto interamente. Non c’era niente di più divertente che prendere un veicolo, scorrazzare fra le strade della città e fare tutto il casino possibile e immaginabile. Andare al club Malibù, tirare un paio di granate e ops, il locale è diventato improvvisamente vuoto. Un po' macabro, certo, ma in un contesto assolutamente fittizio e giocoso, sia chiaro. Ma la cosa più bella di Vice City era, semplicemente, andare in giro con in sottofondo alcuni fra i brani più belli degli anni Ottanta: Billy Jean, Hold the Line, Owner of a Lonely Heart, Video Killed the Radio Star e tanti altri, magari guidando l’auto in spiaggia per godersi un tramonto virtuale tanto bello quanto irreale.

L’intera colonna sonora di Grand Theft Auto Vice City venne pubblicata all’epoca su diversi CD audio.

Sì, Vice City era un luna park coloratissimo, pieno di cose da fare, in cui non potevi annoiarti praticamente mai. Era, in pratica, il tie-in non ufficiale di Scarface, da cui pescava a mani basse senza ritegno: la scalata al potere di Tommy Vercetti in camiciola hawaiana, la motosega, la villa di Ricardo Diaz che era la copia esatta di quella di Tony Montana, il club Malibù (con tanto di Village People) ispirato al Babylon e molto altro ancora. Era un altro segno che le cose stavano cambiando, una sorta di antipasto di mondi sempre più vasti e dettagliati che avremmo visitato nei prossimi anni, e che i videogiochi stavano diventando appetibili anche a star di un certo livello: tra i doppiatori dei personaggi c’erano Ray Liotta, Burt Reynolds, Tom Sizemore e Luis Guzman, tanto per fare qualche nome noto. Certi tabù cominciavano anche ad essere infranti, vedi ad esempio la presenza di un personaggio esplicito come quello di Candy Suxx, attrice di film per adulti.

Come riportato all’inizio del pezzo, Vice City aveva catalizzato l’interesse tanto della stampa specializzata (che lo aveva premiato con voti altissimi e che gli dedicava pagine su pagine, fra guide e approfondimenti vari), quanto quella del pubblico. Ricordo ancora, sui newsgroup dell’epoca, gente che si dannava perché non riusciva ad eliminare il ragazzo che consegnava le pizze o che non capiva come doveva piazzare le bombe in un determinato edificio. Un’anteprima di ciò che sarebbero stati i vari forum poco tempo dopo.

A Vice City sono amorevolmente e affettuosamente legato perché fu il primissimo gioco giocato su PlayStation 2, arrivata a casa mia proprio in quel Natale del 2002, insieme a Virtua Fighter 4 e al DVD con custodia cartonata del primo Spider-Man di Sam Raimi. Bei tempi, ahimé passati.

Ricordo ancora la prima volta che inserii il DVD del gioco nel disc tray della console. Partì quell’intro meravigliosa che ancora oggi, mosso dalla nostalgia, ogni tanto ascolto.

Dopo la mia prima esperienza – ormai si parla di vent’anni fa – con Vice City, non avevo più messo piede nella Miami virtuale di Rockstar fino a quando, l’anno scorso, non ho recuperato lo spin-off Vice City Stories. Ma ammetto che, sarà perché sono passati tanti anni, sarà perché ormai i vecchi Grand Theft Auto sono terribilmente legnosi, nessuna delle vecchie sensazioni di un tempo è tornata, così come so che non tornerebbe nemmeno se giocassi alla remaster uscita qualche tempo fa. No. Grand Theft Auto Vice City è il mio Natale del 2002, e nulla me lo potrà mai restituire.