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Febbre a 90°: troppi ricordi!

Io piango quando guardo questo film, piango tutte le volte. Ed è vero che la vecchiaia mi ha spezzato e commuovermi non è più un’impresa memorabile, ma io piangevo anche quindici anni fa. Quando ero un super macho, quando potevo pasteggiare a rum durante la visione di Schindler's List senza battere ciglio, pure allora piangevo, sempre. Ci torniamo.

Febbre a 90° è anche la storia di uno scudetto, quello dell’Arsenal del 1989, che arrivava dopo una lunga e frustrante attesa. Uno scudetto sofferto, quasi sfuggito quando sembrava cosa fatta e, incredibilmente, riacciuffato tra la disperazione e lo sconforto.

Febbre a 90° è poi una storiella d’amore, niente di epocale, una commediola inglese intelligente apparentemente anonima ma che, sorprendentemente, confeziona uno straordinario divario tra questo film e il libro che l’ha ispirato. Come se la storia diventasse più reale, un fatto di umani sulla terra, e non solo la stupida e immatura illusione di bambocci sognatori.

Febbre a 90° è tutto questo ma, sopratutto, è la storia dei tifosi di calcio. Tutti i tifosi, non solo quelli dell’Arsenal. C’è il romanticismo esagerato, il pagano attaccamento a riti irrazionali, il senso forte di appartenenza indissolubile, ci sono le intere settimane rovinate da un singolo risultato e c’è la partita, quei novanta minuti di inspiegabile silenzio tra la vita. Perché tutto il resto è, per un tifoso, solo spazio da riempire. Il calcio batte il tempo di esistenze che, volente o nolente, non supereranno davvero mai quella fase.

E qui torniamo a me che piango quando lo scudetto è vinto e la gente si riversa in strada a festeggiare in una scena neanche troppo ben realizzata. Ma se tifi Lazio, se hai vinto uno scudetto quarantacinque minuti dopo l’ultimo secondo, quando avevi persino smesso di sperarci, beh… Questa è ancor di più la tua storia.

Questo articolo fa parte della Cover Story pallonara, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.