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Fantozzi aveva capito tutto e ha tentato di avvertirci

Ho sempre avuto un rapporto controverso con i film di Fantozzi (per inciso, mi riferisco solo ai primi due film della serie, al massimo arrivo fino al terzo, ma i successivi non li considero neppure). Da bambino, le disavventure del celebre ragioniere mi facevano morire dal ridere, come altri esponenti della commedia all’italiana di quel periodo, da Il Ragazzo di Campagna con Renato Pozzetto fino al Il Commissario Lo Gatto con Lino Banfi. Crescendo, ho cominciato a provare un po' di antipatia per Fantozzi. Non riuscivo proprio a concepire come il personaggio interpretato da Paolo Villaggio potesse accettare in maniera così serena la mediocrità della propria esistenza. Umiliato dai potenti Mega Direttori, intrappolato in un lavoro poco stimolante, con una moglie e una figlia non propriamente invidiabili e un sogno irraggiungibile come la signorina Silvani. L’unica reazione sensata ad una vita del genere sarebbe stata la fuga a bordo della sua mitica Bianchina in cerca di miglior fortuna.

Nell’estate del 2017, complice la scomparsa di Paolo Villaggio, ho rivisto Fantozzi e Il Secondo Tragico Fantozzi. E, in quel momento, ho capito che il ragioniere dell’ufficio sinistri aveva, attraverso quei film, cercato di avvertirci. Se la satira sociale in Fantozzi è elemento noto da tempo, forse lo è stato meno il campanello d’allarme che il buon Ugo ha fatto suonare, vale a dire che accettando passivamente e con insofferenza le regole di un sistema il cui i cardini sono i beni materiali, il guadagno e la posizione sociale, non saremmo mai più stati in grado di metterlo in discussione finendo per abituarci ad esso anche se provoca insoddisfazione e infelicità.

Ad un certo punto, il ragioniere è entrato in contatto con il mondo della politica. E ha visto le cose da una prospettiva diversa.

Il campanello d’allarme di cui sopra è suonato in uno dei pochi momenti di gloria del ragioniere. No, non è stato il famoso dibattito post-proiezione de La corazzata Kotiomkin (in cui la ribellione fantozziana non era contro il cinema intellettuale ma contro le imposizioni del Professor Guidobaldo Maria Riccardelli che lo aveva privato del piacere di guardare la partita della Nazionale in vestagliona di flanella con la Peroni gelata e la frittatona di cipolle), ma quando ha distrutto una delle vetrate della Mega Ditta con un sasso.

Verso la fine del primo Fantozzi, il ragioniere viene trasferito in un triste ed ameno ufficio, dove è stato relegato il collega Folagra, colpevole di avere delle idee politiche poco gradite ai “feroci padroni”. Dopo aver letto assiduamente i libri consigliati dal collega, il ragioniere capisce di essere solo un ingranaggio nel grande meccanismo di una società basata sul capitalismo e tenta di ribellarsi con il gesto di cui sopra, salvo poi tornare velocemente sui suoi passi dopo l’incontro con il Mega Direttore Galattico, ingannato da quel «Ma io la penso esattamente come lei!», frase in cui Fantozzi ha trovato un falso senso di compensazione della sua esistenza, dove forse è più comodo accettare le cose come sono che provare a cambiarle.

Paolo Villaggio, in una delle sue ultime interviste, disse che ormai “siamo tutti un po' Fantozzi” e, come lui, anche noi – chi più chi meno – finiamo con l’accettare le cose in maniera sempre più rassegnata.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata alla dimensione politica nei videogiochi (e non solo), che potete trovare riassunta a questo indirizzo.