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Exogini, i misteriosi alien... No!

Una manciata di anni prima che la tivvù berluscona spingesse a manetta il concetto di pubblicità teaser con I segreti di Twin Peaks, noialtri, che all’epoca attraversavamo quel cammino preadolescente che dalla fine delle elementari conduce verso i baffetti delle medie, fummo investiti da un fenomeno che all’opera di Lynch, apparentemente, stava agli antipodi, ma che a poggiarci la lente sopra non ne usciva completamente alieno. Esattamente come i protagonisti eponimi.

Nel caso non siate passati dal titolo (ma perché, poi?) mi sto riferendo agli Exogini, dei pupazzetti di gomma - “staction figure”, stando a Wikipedia – alti più o meno quattro centimetri e distribuiti da GiG a partire dal 1987 sulla spinta di una martellante campagna di marketing che, prendendo a prestito il linguaggio di certi B-Movie fantascientifici degli anni Cinquanta, accennava a una fantomatica invasione aliena senza entrare nel dettaglio di cause e concause. E funzionò, eccome se funzionò.

Il qui presente, nel 1987, aveva circa dieci anni. A oggi, sui due piedi, non ricordo se fossi ancora incollato al grembiulino della quinta elementare oppure calzassi già la tuta in acetato delle medie. Né sono in grado, anche sforzandomi un sacco, di mettere a fuoco i miei compagni di classe dell’uno o dell’altro istituto, anche perché la sede era la medesima, a due minuti a piedi da casa mia (in questo senso, perlomeno a livello geografico, i viaggi in pulmino verso l’asilo erano parecchio più avventurosi).

Comunque, non ricordo una cosa o l’altra, dicevo, ma ho ancora perfettamente stampata nel cervello la prima volta che incappai nello spot televisivo degli Exogini, così come il primo pupazzetto che abbia mai effettivamente sbustato: Fantasma.

Ho usato il verbo sbustare dal momento che i giocattoli in questione erano dei collezionabili venduti al prezzo, tutto sommato modico, di cinquecento delle vecchie lire ciascuno. Salendo a quattromila e cinquecento era possibile accedere ai barattolini da dieci pezzi, per poi passare alle ambitissime piramidi di cartone da venti (ottomila lire) e quaranta (dodicimila lire), pratiche pure come astronavi.

Ora, tolti la spinta pubblicitaria di cui sopra e l’indubbio fascino della scoperta e relative meccaniche di scambio, parte del successo dei pupazzetti era legato all’alone di mistero che ne accompagnava il “lore”; a un imprecisabile perturbante che riusciva a bucare l’inconscio di noialtri ragazzini in maniera non così dissimile dalle visioni lynchiane lanciate qualche anno dopo.

C’era qualcosa di sfuggente, negli Exogini. Perlomeno in quelli della prima serie, che poi, fenomenologicamente parlando, resta la più significativa. In primo luogo, OK, la pubblicità parlava di invasione aliena, ma per quale ragione, al netto di materiali e dimensioni analoghe, nonché di una serie di “filoni” vagamente leggibili tra le righe, questi fantomatici extraterrestri erano così diversi tra loro? Come se non bastasse, ci si mettevano i nomi italiani, ovvero gli unici effettivamente accessibili – e, conseguentemente, gli unici e stop - in un mondo ancora piuttosto lontano dalla sprovincializzazione di internet e rigidamente legato al fenomeno della localizzazione.

Perché sono venuti sul nostro pianeta? E perché con questi nomi del cazzo?.

Nomi come Giusto, Vite o Testa piatta, affiancati da altri dal sapore più classico tipo Ercole, Medusa, Teseo o Fobos, fino agli imperscrutabili Testa di stella, Tesoriere o Rambo (laddove i primi due rispondevano effettivamente alle caratteristiche del pupazzetto acconcio, mentre il terzo, a falsa pista, battezzava una specie di ninja).

Insomma, era tutto un po’ troppo strano e vagamente sinistro, persino per un contesto di per sé avvezzo alle bizzarrie come quello dei giocattoli anni Ottanta, nel quale non era considerato fuori luogo infilare la mano nel deretano di un ragno gigante corazzato di tutto punto.

Tipo questo, metti.

Quello strano mix di mitologia e fantascienza, unito al lato oscuro che noialtri non riuscivamo a mettere a fuoco, nel giro di qualche mese crebbe fino a diventare un fenomeno pop totalmente paragonabile alle figurine dei calciatori. Anzi, meglio, perché c’erano di mezzo il fattore tattile, la tridimensionalità dei personaggi e la sensazione di poter acquistare un giocattolo nuovo ogni volta che giravano cinquecento lire. Nel mio caso specifico, il rituale quotidiano era diventato uscita di casa-cartoleria-bustine-scuola, senza passare dal via.

Per qualche tempo, gli Exogini furono sulla cresta dell’onda; i quaranta pupazzini che componevano la prima serie vennero presto riproposti in nuove colorazioni, mentre tra il 1988 e il 1989 venne lanciata una seconda tranche a tema ninja che, tuttavia, non raggiunse i fasti di quella precedente. In parte venne meno il mistero: i nuovi personaggi erano ancora meno inquadrabili in termini alieni, OK, ma a ‘sto giro il loro aspetto suonava decisamente più convenzionale e, in un certo senso, leggibile. Inoltre, il passaggio dalla gomma a una plastica un filo più dura, unito a una qualità degli stampi non proprio eccezionale, finì per farmi cascare le palle e passare ad altro (nello specifico, alle Mini 4WD).

La seconda serie faceva un po' cagher.

Giusto per completezza, cito la terza serie, commercializzata a partire dal 1998, e e una quarta, lanciata da Giochi Preziosi nel 2018, ma in entrambi i casi non mi è sembrato di percepire troppo clamore. Trovo senz’altro più interessanti i crossover, tipo quello a tema Transformers proposto negli anni Ottanta da GiG, in omaggio con i set combinabili, o quello dedicato ai Masters of the Universe, prodotto da Super7 a metà Duemila.

Resta che, non essendo un collezionista, già ai tempi della terza invasione ero già parecchio fuori target, così come lo ero ai tempi dei vari Monster in my pocket o dei nostrani Gormiti.

L’ultima volta che mi è capitato per le mani un exogino è stata un paio di anni fa, a Kyoto. Più nello specifico, al Cafe La Siesta, delizioso baretto che, a dispetto del nome, fa del retrogaming la sua principale attrazione, e dove un distributore di gashapon mi ha sganciato un Centauro dritto dritto dalla prima serie.

Non che avessi bisogno di fare un viaggio fino in Giappone per scoprire il segreto di pulcinella imbastito all’epoca da GiG e compagnia, eh, ché già l’arrivo di Internet e, prima ancora, lo sdoganamento dei manga in Occidente, avevano svelato l’arcano a chiunque si fosse preso la briga di informarsi un po’. Per farla breve, quell’elemento imperscrutabile che aveva contribuito al successo dei mostriciattoli di gomma era frutto di una catena di eventi singolare e banale al medesimo tempo.

Niente fantascienza in stile anni Cinquanta all’origine del mistero, bensì un manga. Più nello specifico, lo shōnen Kinnikuman, pubblicato su Weekly Shōnen Jump dal 1979 al 1987 e recentemente ripreso da Shū Play News, dove il protagonista, una sorta di wrestler-supereroe, capitolo dopo capitolo sfidava sul ring tutta una serie di mostri e personaggi bizzarri: una specie di One-Punch Man, per fare un paragone.

Da Kinnikuman, negli anni, sono saltati fuori diversi sequel e spin-off, oltre all’immancabile serie animata e – appunto – ai giocattoli, e se da un lato la componente aliena non è totalmente aliena (oh-oh-oh!) al manga, dal momento che il protagonista eponimo proviene dal pianeta Kinniku, resta da capire cosa abbia spinto all’epoca diversi distributori a rivisitare così profondamente la mitologia dei gadget.

Kinnikuman aka l’exogino Aquila. Vi torna?.

Stando a quando ricostruito dal sito Exogini.com, laddove Stati Uniti e Inghilterra si limitarono a qualche lieve cambiamento senza uscire dal solco del wrestling con i cosiddetti M.U.S.C.L.E. (Millions of Unusual Small Creatures Lurking Everywhere), fu proprio la Grecia a scartare del tutto la fonte originale per inventarsi di sana pianta la faccenda degli Exogini o, meglio, degli “ΕΞΩΓΗΙΝΟΙ”, che stando al traduttore di Google significa “alieni”.

Questa scintilla, che spiega i rifermenti al mito classico presenti nella prima serie (e, per certi versi, del mito adotta anche gli strumenti di diffusione e rimodulazione), ha poi incendiato il resto dell’Europa, soprattutto l’Olanda e l’Italia. Gli unici ad avere operato una “variante sulla variante” sono stati naturalmente i francesi, che per épater la bourgeoisie, hanno tenuto buona tutta la faccenda degli alieni, ma ci hanno infilato un nome tutto loro: Cosmix. Valli a capire!.

Questo articolo fa parte della Cover Story “Meglio tardi che mai”, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.