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eXistenZ #17 – Ci sono un inglese, un tedesco, un americano e un russo...

eXistenZ è la nostra rubrica in cui si chiacchiera del rapporto fra videogiochi e cinema, infilandoci in mezzo anche po' qualsiasi altra cosa ci passi per la testa e sia anche solo vagamente attinente. Si chiama eXistenZ perché quell'altro film di Cronenberg ce lo siamo bruciato e perché a dirla tutta è questo quello che parla proprio di videogiochi.

In diversi ambienti lavorativi legati al videogioco, la serie di Company of Heroes è nota come Company of Herpes. Non si tratta di disistima o particolare voglia d'insultare l'ottimo strategico in tempo reale firmato Relic Entertainment, è solo desiderio di farsi quattro risate sfruttando tormentoni usciti dal quel trionfo dell'assurdo che a volte sa essere il correttore ortografico di Word e di altri simpatici umoristi programmi. Oggi, però, voglio parlarvi di un film a cui quel titolo, Company of Herpes, pensavo potesse stare benissimo e invece guarda no. Perché Company of Heroes è sì un brutto film, una sottoproduzione svogliata direct-to-video che cerca di darsi un tono con un paio di attori decaduti che staccano l'assegno, ma non è proprio riuscito a starmi antipatico. E in fondo è pur sempre un bel risultato, per una roba del genere.

Company of Heroes è il classico film a cui ti aspetteresti di vedere associato il nome di Uwe Boll, ma il nostro amato (?) tedescone aveva altro da fare e dietro alla macchina da presa ci si è piazzato Don Michael Paul, uno che ha diretto un film con Steven Seagal, un film con protagonista il Lance Henriksen del 2006 e il quarto Lake Placid. Un ruolino di marcia di tutto spessore, insomma. Davanti alla macchina da presa, invece, c'è un cast che sembra messo assieme cercando di recuperare i meno costosi fra i vari attori che han fatto la guerra con Steven Spielberg, perché così diamo spessore drammatico, aggiungendo un po' di scelte a caso che sembravano adatte. Nel primo gruppo troviamo Neal McDonough, che nonostante la presenza in copertina, appare a dar carisma per cinque minuti all'inizio e alla fine (e se come attore di peso che fa la comparsa hai quello che dava di matto in Band of Brothers già cominci bene), poi un tizio che sembra essere stato scelto perché assomiglia a Damian Lewis ma quello vero è impegnato con Homeland e infine lui, il mitico e super imbolsito Tom Sizemore.

Il caro Tom interpreta il ruolo della vita, nel senso della sua vita attuale da uomo che ne ha passate tante. Sembra lo zio Buck finito in guerra per sbaglio, arranca incespicando, sparacchia a caso, mostra una condizione fisica che non ti farebbe sopravvivere due giorni in Giambellino, figuriamoci nelle Ardenne, ma se la cava comunque a botte di carisma, menefreghismo e voglia di staccar l'assegno, riservandosi il ruolo di quello a cui basta non fare niente per mangiarsi la pochezza di tutti gli altri. Chiaramente a lui vanno il monologo intenso/motivazionale, l'attimo in cui ricorda gli errori passati con le lacrime agli occhi e la morte eroica sul finale. Un grande, gli vogliamo tutti bene.

“Ragazzo, forse non lo sai, ma dieci anni fa andavo in guerra con Steven Spielberg e Ridley Scott, mica 'ste cacate.”

E poi ci sono gli altri. C'è quello che sulla lunga si rivela essere il protagonista e sembra una versione visualizzata in anamorfico di Sam Worthington, c'è Jurgen Prochnow (“Aspetta, non era il tedesco di 24? Ma sai che forse pure nel Codice da Vinci?”), che si piazza lì in scena, sta zitto, ogni tanto dice la sua battutina, non sporca e a fine giornata stacca l'assegnino, c'è un russo il cui personaggio si chiama Ivan, c'è Richard “benedetto da Tarantino” Sammel, che sembra divertirsi un sacco ad andare in giro con la sua gamba sciancata e il suo bastone da passeggio da supercriminale, c'è una tizia greco-russa che rivedremo in Guardians of the Galaxy e a un certo punto salta fuori perfino Vinnie Jones. Ed è lì che ti rendi definitivamente conto che “ah, OK” e ti lasci andare.

Il punto è che Company of Heroes, al contrario, che so, di una monnezza come Max Payne, non ci prova nemmeno. Sa di essere una sottoproduzione per l'home video e anzi, guarda, è perfino contento di esserla. Sotto una superficie che sembra voler strillare il drammone guerresco a pieni polmoni, prende e si prende costantemente per il culo, buttandola in caciara. Apre in un modo che lo fa quasi sembrare un tentativo di fare il film di guerra serio, seppur con valori di produzione che farebbero storcere il naso alla HBO, ma poi comincia a farti il solletico ai piedi. Tipo quando la squadra di protagonisti viene mandata in azione per inseguire un obiettivo talmente scemo che sembra voler prendere per il culo quello – comunque abbastanza scemo – di Salvate il soldato Ryan. O tipo quando iniziano le azioni di guerriglia, con l'ufficiale che impartisce qualche ordine, facendola sembrare una cosa seria, e poi improvvisamente diventa un film d'azione direct-to-video, con smitragliate, scannonate, scazzottate a caso e sangue e interiora da tutte le parti.

C'è proprio un gusto da action quasi horror, con sangue a litri, gente uccisa sfondandogli la testa a colpi ripetuti di elmetto e un tizio che viene investito da un carro armato, mostrato in tutto lo splendore del suo squacchiamento, con tanto di pezzetto di carne che rimane incollato ai cingoli inquadrato poco dopo. E il videogioco?

Questo, per capirci.

Beh, dal videogioco viene ripresa l'ambientazione storica e quasi nient'altro. Dico “quasi” per due motivi. Il primo è che non ho mai messo mano al videogioco, quindi vai a sapere. Il secondo è che c'è una sequenza, in particolare, che sembra in effetti un'interpretazione cinematografica di una situazione da gioco più o meno vagamente tattico. E fa ammazzare dal ridere. Tom Sizemore e dei soldati tedeschi si sparano dalla distanza, nascosti dietro delle coperture, continuando ad alzarsi e abbassarsi come dei cretini (o come i protagonisti di qualsiasi sparatutto in terza persona post-Gears of War... per l'appunto dei cretini), mentre il Sam Worthington del discount esegue il comando Flank, aggira e colpisce di lato. Mi sono proprio immaginato il giocatore che cliccava col mouse. Al di là di questo, però, è evidente che il film s'ispira molto di più alla trama idiota e all'azione monotona dell'FPS/TPS medio, e ci metto anche un purtroppo.

Perché il vero problema di 'sto Company of Heroes, tutto sommato così apprezzabile nel suo essere onestamente truce, sta nel fatto che le scene d'azione sono di una noia mortale. Esattamente come è di una noia mortale stare a guardare un giocatore di FPS o TPS che se ne sta fermo cinque minuti nello stesso posto a fare il tiro a segno con orde di soldati che escono tutti in fila, come cretini, dallo stesso punto della mappa. Esatto, le sparatorie sono quasi tutte così, e le poche variazioni sul tema hanno comunque quell'aria da filmato d'intermezzo brutto di videogioco brutto. Ma pieno di sangue, eh!

A un certo punto lei mostra una tetta. Ma niente scena di sesso, siamo in un videogioco.

Per cui, insomma, alla fine è un film di cui si fa volentieri a meno, però non è un film che, se ti capita davanti un sabato pomeriggio mentre stai zappando, ti fa venire voglia di strapparti gli occhi. Oddio, è brutto, quindi probabilmente cambi canale, ma se ti fai prendere dalla curiosità morbosa di guardare il film tratto dal videogioco, beh, diciamo che quel genere di curiosità può spingerti a guardare cose molto più insopportabili. Oltretutto, nella mezz'ora finale, ti fa pure venire il dubbio che c'abbiano voluto infilare un pizzico di satira e di autocritica allo spirito “eroico” americano. È difficile non leggere dell'amara ironia, di fronte ad americani che discutono di quanto sia sbagliato che chiunque abbia in mano un potere devastante come quello della bomba atomica maneggiata dal cattivissimo super nazista, quando sei mesi dopo saranno i primi, gli unici e speriamo gli ultimi a tirarlo in testa a un paio di città.