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Eighth Grade - Terza media mi ha stregato

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Dalle medie all'università | Outcast Popcorn Outcast Staff

Quel momento, più o meno lungo, più o meno semplice, comprensibile, inaffrontabile, passeggero, leggiadro, brutale, devastante o che magari viene e va senza manco farsi notare. Sei lì che ti stai godendo il tuo essere ancora in una certa misura bambino, mentre diventi qualcosa di più, e scatta il disagio. Ti senti inadeguato, incapace di capire o comprendere il tuo posto, il tuo luogo, la tua direzione, il mondo a cui rivolgerti e da cui abbeverarti. In un modo o nell'altro, credo, ci si passa tutti, chi più, chi meno, chi avvolto nell'indifferenza e chi abbracciandone il fastidio con vigore. Ed è soprattutto di questo, in senso assoluto, che parla Eighth Grade. Non per forza di una ragazzina specifica alle prese con il concludersi della terza media e non (solo) di una generazione cresciuta con stretta in mano tecnologia da fantascienza, che apre le porte a strumenti di comunicazione per cui è difficile essere pronti a qualsiasi età, figuriamoci a quell'età.

A scrivere e dirigere è l'americano Bo Burnham, attore, comico, musicista, molto più famoso in patria che da noi, "nato" artisticamente come uno fra i primi youtuber di successo. Nel 2006 pubblicò su quella piattaforma ancora nuovissima un paio di canzoni che voleva condividere con la famiglia e da lì esplose. Qui, dopo aver lavorato a un progetto con Judd Apatow di cui non si è fatto nulla, piazza un esordio registico incredibile, scrivendo e dirigendo con padronanza notevole un piccolo, delizioso, simpatico, stordente film, che racconta quella cosa là in maniera perfetta. E lo fa staccandosi dal modello standard della commedia scolastica sarcastica e tutta battute a fuoco rapido, provando a raccontare cosa significhi crescere in simbiosi coi social network senza tradurre tutto in macchiette buffe e sagaci.

Affidandosi testa e cuore a una giovane protagonista, Elsie Fisher, dalla bravura quasi agghiacciante, Burnham mette in campo il suo affetto, il suo amore, il suo interesse genuino per i ragazzini attuali e li racconta destreggiandosi fra tematiche per lui sicuramente molto sentite e la difficoltà di intercettare comunque il pensiero di quella che già comincia a non essere più la sua generazione. Ne viene fuori un film delicato, dolce, intenso, anche divertente, ma sempre per mezzo di affetto sincero, mai tramite la presa in giro. Burnham si concentra sui dettagli, sulle piccole cose, sulle semplici interazioni di una semplice ragazzina coi suoi semplici coetanei, su come l'identità online si intrecci a quella offline e le due si influenzino a vicenda, su quanto questi mezzi di comunicazione finiscano per estremizzare quel senso di improvvisa autoconsapevolezza e angosciante inadeguatezza che si manifesta in quegli anni. Ed è splendido, soprattutto quando, nella seconda metà, alza il tiro e non manca mezzo bersaglio.

Scansione totalmente casuale degli eventi: l'ho recuperato a inizio maggio; pochi giorni dopo, è uscito in Italia su iTunes, su YouTube e altri luoghi dell'internet; me ne sono accorto l'altro giorno; m'è venuta voglia di scriverne.