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Dexter è un bravo detective, anche se non è un detective

C’è stato un periodo, più o meno intorno alla seconda metà degli anni dieci, in cui si avvertiva che la serialità televisiva stava cambiando, che stava evolvendo in un qualcosa di differente rispetto a prima. Eravamo tutti in fissa per Lost, cercando di trovare una spiegazione logica alla presenza dell’orso polare o alla cortina di fumo nero. Prison Break diventava più avvincente di puntata in puntata, Scrubs era ormai una solidissima realtà che ci regalava risate mescolate ad una vena malinconica di fondo che lasciava sempre un po' così. Produzioni come Nip/Tuck e Californication erano volutamente provocatorie, una provocazione spesso fine a sé stessa ma che manifestava anche la volontà di infrangere certi tabù. Cominciava, a timidi passi, l’ascesa di Walter White da modesto professore di chimica a re delle metanfetamine. E poi c’era lui, Dexter.

Io di Dexter non avevo quasi mai sentito parlare, avevo forse letto qualche trafiletto in una delle riviste che leggevo in quel periodo, ma nulla di più. L’ho scoperto per caso, una sera di fine settembre di una vita e mezza fa, quando lo diedero in seconda serata su Italia 1 (e menomale che ora le piattaforme di servizi streaming ti consentono di vedere tutto o quasi quando vuoi, senza sottostare a orari impossibili e pubblicità invasive). E me ne innamorai subito, anche e più delle altre serie che già seguivo assiduamente.

L’idea di base – che successivamente scoprii appartenere ai libri da cui era tratta la serie – era veramente esaltante: Dexter Morgan, stimato e benvoluto ematologo forense della polizia di Miami, a fine turno si toglie il camice bianco e si infila un’altra “divisa” corredata da guanti neri e da un kit composto da nastro adesivo, coltello, seghetto, siringa con sedativo e tanti, tanti teli di plastica, necessari per svolgere il suo secondo lavoro, quello di serial killer. Ma Dexter non è un serial killer qualunque, uccide solo chi se lo merita. Criminali sfuggiti alle maglie della giustizia, o tornati in libertà senza aver cambiato le proprie malsane abitudini, che si trovano a passare dall’altro lato, quello della vittima. Dopo essere stati sedati, si ritrovano distesi su di una superficie piana, in un luogo abbandonato, immobili, costretti a osservare le fotografie delle proprie vittime, prima che Dexter, una volta preso il proprio trofeo personale, una goccia di sangue del malcapitato messa in un vetrino da laboratorio, lo uccida con una coltellata in pieno petto, un rituale che appaga la sua voglia di uccidere. Dexter, infatti, non è un giustiziere, non uccide per rendere il mondo un posto migliore, lo fa per soddisfare un impulso, né più né meno come fanno le sue vittime.

A seguito di un grave evento traumatico vissuto da bambino, crescendo ha manifestato le sue tendenze omicide, incanalate poi, diciamo così, nella “giusta direzione” dal padre adottivo Harry, poliziotto vecchio stampo, che gli ha fornito una sorta di codice morale, riassumibile in: uccidi solo chi se lo merita e non farti mai beccare, cercando di condurre una vita apparentemente normale. Ed è stata proprio questa costruzione del personaggio a rendere Dexter tanto avvincente. Un uomo apparentemente normale, metodico e abitudinario, stimato professionista, spesso sorridente, che porta le ciambelle ai colleghi con cui poi gioca a bowling la sera. Ha una compagna, Rita, divorziata con due figli, a cui porta la pizza il mercoledì sera da mangiare davanti a un film preso a noleggio, come una vera famiglia. Ma si tratta solo di una facciata: Dexter non prova affetto nei confronti di nessuno, a parte forse la sorella Debra, detective della sezione omicidi; non si scompone mai nella sua visione quotidiana di scene del crimine, non ha altri interessi se non quello di andare in barca, spesso e volentieri di notte, per gettare in mare numerosi sacchi di plastica contenenti parti di cadavere di cui deve disfarsi. E quando trova un suo pari con cui “misurarsi”, un obiettivo forse anche al di fuori dalla sua portata, viene esaltato dalla sfida, rivelando il predatore che è in lui.

Ed è proprio nella ricerca delle sue vittime che emergono le doti da detective di Dexter, doti addirittura superiori a quelli dei membri della della sezione omicidi, che detective lo sono per davvero. Dexter è infatti abilissimo nello svolgere indagini, trovare indizi, sviluppare teorie e tracciare profili psicologici delle persone con cui si trova a che fare, spesso e volentieri arrivando prima dei suoi colleghi, anzi a volte è proprio lui ad indirizzarli verso determinate piste. Certo, il tutto a volte è un po' forzato, anche se la capacità deduttiva di Dexter e la sua mente sono tanto affilate quanto le lame che utilizza per uccidere le persone a cui dà la caccia. Ed è talmente bravo a fingere che in pochi fra i detective della polizia di Miami sospettano che abbia qualcosa che non va: chi lo ha fatto è andato incontro a una brutta fine o ha rinunciato ad andare oltre, chi invece è arrivato a Miami per arrestarlo, come il profiler dell’FBI Frank Lundy, è stato abilmente sviato e manipolato dall’ematologo.

Dexter è una di quelle poche serie a cui voglio sinceramente bene e che fanno parte della mia raccolta in home video, anche se più di una volta mi ha fatto esclamare dei “D’oh” secondi solo a quelli di Homer Simpson.

Perché Dexter è una serie che ha iniziato la propria corsa con il piede sull’acceleratore, con le prime quattro stagioni di alto livello, in cui veniva mostrato soprattutto il controverso rapporto fra la natura omicida di Dexter e il suo flebile ma crescente desiderio di avvicinarsi quanto più possibile a una vita normale e quanto fosse difficile, se non impossibile, conciliare la figura di marito e padre perfettamente inserito nella società con quella del serial killer, senza che le persone vicino a lui pagassero le conseguenze delle sue azioni. Poi, dalla quinta fino all’ottava, Dexter ha vissuto quella fase a cui vanno incontro le serie di successo mandate avanti anche quando ormai hanno detto quasi tutto quello che avevano da dire, ripetendo la formula del villain stagionale a volte con scelte assurde e fuori logica (tipo improbabili boss criminali ucraini) e forzando un po' troppo l’umanizzazione del protagonista, che perde progressivamente la propria ambiguità morale per giungere a fine corsa ormai privo di ogni impulso omicida. E questa è stata la cosa che più di ogni altra mi ha fatto storcere il naso, primo perché mi pare una cosa improbabile, a livello psicologico, e poi perché nei romanzi di Jeff Lindsay Dexter non si umanizza mai, rimanendo sempre relegato nei confini del serial killer che uccide i suoi simili solo per necessità e non per ripulire il mondo dalla feccia.

Dexter ha poi generato tutta una serie di prodotti televisivi ispirati all’opera di Showtime, basati sulla figura dei serial killer: The Following, Hannibal, Prodigal Son e The Fall, tanto per citare quelli più noti. Serie che il successo e la popolarità di Dexter li hanno visti solo con il binocolo, finendo spesso per essere cancellate prima del tempo. Nessuno di loro è mai stato parodiato da I Simpson, tanto per dire. Non è mancato anche qualche emulo cinematografico, come quel Mr. Brooks che da Dexter ha pescato ben più di un’idea. Poi, otto anni dopo, è successo quello che tutti più o meno sapevano (o speravano): Dexter è tornato in scena con una serie revival, New Blood, che tenta di rimediare allo sfacelo delle ultime due stagioni riportando in azione il celebre serial killer. Trattandosi di un prodotto così recente – il finale è andato in onda a metà gennaio – non scriverò nulla che possa essere spoileroso per non rovinarvi la visione; mi limiterò semplicemente a scrivere che l’elemento investigativo risulterà assolutamente centrale ai fini dello svolgimento della trama e della conclusione del revival, con un Dexter nuovo e forse più autentico rispetto alle ultime stagioni della serie classica, costretto a fare i conti con il passato sanguinario che credeva di essersi lasciato alle spalle.

L’unico rimpianto, che neanche New Blood ha saputo cancellare, è la mancata realizzazione di quella puntata crossover in cui Dexter e Walter White avrebbero dovuto incontrarsi. Come sarebbe finita, non lo sapremo mai, ma già l’evento in sé sarebbe rimasto nella storia delle serie televisive.

Chiudo questo pezzo ricordando, con un pizzico di malinconia, una delle migliori intro secondo me mai realizzate, con la routine quotidiana di Dexter che rappresenta sia quella di una persona comune che quella di un serial killer, grazie a un simbolismo che definire efficace è riduttivo. Sigla!

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata ai detective, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.