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Quale futuro, per Destiny, dopo il divorzio fra Bungie e Activision?

Che il matrimonio fra Bungie e Activision fosse arrivato ai titoli di coda, con qualche mese d’anticipo rispetto all’accordo di partnership decennale stipulato fra le due aziende nel 2010,  lo si era capito già qualche mese fa, quando il publisher americano si era detto deluso dai risultati di vendita de I rinnegati, l’espansione che è riuscita a rimettere in carreggiata Destiny 2 nel momento più insperato; questo nonostante sia stato il contenuto aggiuntivo più venduto sul Marketplace e sul PlayStation Store nei mesi di settembre e ottobre oltre che, più in generale, una fra le espansioni con maggiori vendite nell’intero 2018. Forse c’era dunque altro ad aver provocato questi attriti fra Bungie e Activision, come due visioni differenti riguardo il raggiungimento del successo di Destiny che, va ammesso, deve essere di tipo commerciale, per imponenza e ambizione del progetto.

A prescindere da ciò, non sono pochi i dubbi che, dopo questa separazione, aleggiano su Bungie e sul come riuscirà a portare avanti il brand di Destiny, del quale ha ormai il completo controllo. Nella fattispecie, le questioni principali sono due: quale sarà il supporto che verrà fornito a Destiny 2 nei prossimi mesi e quando, e come, arriverà Destiny 3? Andiamo per ordine.

Fino all’estate 2019, Bungie dovrebbe seguire senza intoppi la roadmap già decisa da tempo per Destiny 2, con una pubblicazione di contenuti da snocciolare con calma attraverso le prossime due espansioni, in arrivo a marzo e a giugno, incluse nel pass annuale. L’incertezza riguarda semmai quello che avverrà dal prossimo settembre in avanti. Posto che le settimane prima dell’E3 saranno a tal proposito rivelatrici delle intenzioni di Bungie, c’è da fare qualche calcolo per capire quale potrebbe essere il supporto che verrà fornito al gioco. Innanzitutto, vengono meno le collaborazioni di Vicarius Vision e di High Moon Studios, i due studi di proprietà di Activision che hanno contribuito notevolmente al successo dei I rinnegati, la cui profondità di contenuti offerti, venuta a galla col passare delle settimane dall’iniziale pubblicazione, è stata possibile proprio grazie al grande investimento in risorse umane che la stessa Activision, comunque la si voglia vedere, aveva messo a disposizione. Bungie dovrà dunque, nel tempo che la divide dalla pubblicazione del prossimo capitolo di Destiny, vedersela da sola a impostare una roadmap che riesca a mantenere vivo l’interesse dei giocatori; il problema è capire quanto sarà lungo questo lasso di tempo.

Se infatti è vero che Bungie non avrà alcun supporto da parte di Activision, lo è altrettanto il fatto che la software house di Seattle non si vedrà imposte dall’alto scadenze che, come nel caso del lancio di Destiny 2, hanno pregiudicato il prodotto finale. Il prossimo Destiny arriverà quando, ragionevolmente, dovrà arrivare, quando insomma sarà pronto. Il capostipite della serie debuttò sul mercato circa un anno dopo l’arrivo delle console di nuova generazione, nel settembre 2014, quando cioè la base installata aveva iniziato a distribuirsi in modo più omogeneo. Analogamente, in ottica delle prossima uscita, ancora da definire, della nuova generazione di console (che è da sempre il target principale del brand), il prossimo Destiny potrebbe arrivare sugli scaffali a fine 2020; una data che, senza pressanti scadenze imposte dall’alto, potrebbe anche essere rimandata, magari a primavera 2021, o addirittura durante l’autunno dello stesso anno, nel caso i successori di PlayStation 4 e Xbox One arrivassero sul mercato nel 2020.

Dunque, almeno altri due anni di vita per Destiny 2; parecchio, per un team che nel mentre dovrà dedicare, questa volta senza aiuti esterni, buona parte della propria forza lavoro a un seguito del quale al momento non si sa nulla. Guardando al passato, il primo Destiny andò avanti, per i due anni che precedettero Destiny 2, con altrettante espansioni (si parla nella fattispecie de Rl re dei corrotti e de I signori del ferro) il cui lungo ciclo vitale, impostato sull’arco di quasi dodici mesi a testa, ha tuttavia contribuito all’erosione di una comunità che da sempre si rivela ondivaga nella fruizione del gioco, per via di contenuti che tendono ad essere consumati dalla comunità sempre con maggiore voracità: magari i giocatori compravano pure le espansioni, come dimostra il successo commerciale de I signori del ferro, ma poi lo abbandonavano dopo poco visti i pochi stimoli offerti, contribuendo così indirettamente anche all’insuccesso di Destiny 2, da sempre guardato con occhio di sospetto da chiunque abbia anche lontanamente bazzicato dalle parti della Torre. Una sola espansione annuale, in soldoni, potrebbe togliere quella fetta d’utenza riconquistata a fatica con il nuovo ciclo vitale inaugurato da I rinnegati.

Del resto, consumare i contenuti offerti da un’espansione nell’arco di uno, due, tre mesi massimo, per poi trovarsi, fino all’anno seguente, con poco o nulla fra le mani, porta all’allontanamento di una comunità di giocatori che si deve sentire costantemente sollecitata e nutrita. Posto che, proprio in prospettiva di un nuovo capitolo, una formula sulla falsariga di quella proposta con i Rinnegati (un major DLC più un season pass) potrebbe rivelarsi troppo dispendiosa, Bungie potrebbe optare per un altro pass stagionale, simile a quello ancora in corso, che comprenda cioè piccole espansioni dai contenuti spalmati nel corso di dodici mesi; il rischio di irritare una community già irrequieta, data la scarsa stimolazione, sarebbe comunque alto, specie se i contenuti non dovessero rivelarsi all’altezza, come dimostra la recente Armeria Nera. Certamente, un riciclo di contenuti, come avvenuto nei mesi successivi alla pubblicazione de I signori del Ferro, potrebbe aiutare a lenire il tutto, andando ad attingere magari dal primo Destiny, che abbonda di mappe, assalti e incursioni poco invecchiati e, dunque, facilmente riciclabili – strizzando inoltre l’occhio, va da sé, a tutti i nostalgici del gioco originale, presenti in gran numero – ma si tratta comunque di ipotesi.

I dubbi più significativi riguardano però Destiny 3, o qualunque nome esso avrà. Da quello che filtra da Seattle, sembrerebbe che l’intenzione di Bungie sia quella di autopubblicarsi; c’è però da chiedersi se la software house che ha dato i natali ad Halo, certamente fra le più imponenti dell’intero settore, abbia comunque le spalle abbastanza larghe per farsi carico di tutti i costi che un gioco come Destiny comporta, e il cui primo capitolo, giusto per dare qualche numero, andò a richiedere oltre cinquecento milioni di dollari. Una cifra che sicuramente un nuovo capitolo del brand non andrebbe a impiegare, considerando la forte base da cui partirebbe, sia in termini di marketing che di mera struttura di gioco, ma che rende abbastanza l’idea dell’imponente mole di spesa che può rappresentare un gioco ambizioso quale Destiny è, il cui sviluppo, e soprattutto il supporto (e qui sta la vera differenza, citata da alcuni con forse un po’ di miopia, rispetto ad aziende come CD Projekt, che hanno invece a che fare con dei titoli statici, con un ciclo vitale dunque radicalmente inferiore), richiede lo sforzo di centinaia e centinaia di persone, fra programmatori e artisti.

Bungie potrebbe farsi carico di questo peso da sola? Probabilmente no, e fu anche questo il motivo originale che li portò, una volta staccatisi da Microsoft, ad andare a ripararsi sotto l’ala di Activision, per una collaborazione sì differente rispetto a quella con la casa di Redmond (della quale la software house rappresentava, invece, il principale studio first party), ma che ha comunque contribuito a inficiare la visione originale di Bungie, come dimostrano Destiny 2 e la sua iniziale tendenza a premiare il grande pubblico, quello che ogni anno acquista il Call of Duty di turno. Un motivo, questo, che ha infatti convinto Bungie a proseguire da sola, anche forte dell’accordo che fin dall’inizio lasciava nelle sue mani i diritti sul brand di Destiny, andando così avanti per la propria strada.

In questi giorni, alcuni ricordano il recente accordo stipulato fra Bungie e NetEase, azienda cinese che ha commissionato alla software house americana un gioco, con ogni probabilità mobile, da pubblicare prossimamente. Il problema, tuttavia, è che la cifra investita da NetEase, circa 100 milioni di dollari, riguarderà unicamente lo sviluppo del nuovo gioco in questione, e solo nel caso si rivelasse un successo commerciale, potrebbe di riflesso trasformarsi in un volano economico in grado di fornire risorse a Destiny, che è la vera proprietà intellettuale sulla quale Bungie ha dimostrato di puntare tutto.

Il futuro di Destiny, sia quello attuale che quello in sviluppo, è insomma attorniato da una coltre di nebbia che si dipanerà solo nei prossimi mesi, probabilmente in concomitanza del prossimo E3. Bungie, in questi anni non è stata affatto esente da colpe, ma chiunque abbia giocato con continuità a Destiny sa bene quanto potenziale ci sia in questo progetto e può comprendere che l’assenza di un publisher così ingombrante possa finalmente far sbocciare un gioco dal retrogusto perennemente acerbo, accentuando magari quella componente GdR da sempre avversata da Activision, il cui target, si è già detto, è il grande pubblico degli sparatutto di massa come Call of Duty o Battlefield. I motivi per sperare in qualcosa di compiuto ci sono, ma è ancora troppo presto per capire cosa ci riserverà il futuro.