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Days Gone: L'orda lorda di PlayStation 4

L’ esperienza viva, vivida e viscerale vissuta con Days Gone è stata davvero una sorpresa, per me. Non perché il gioco non avesse le carte in regola per esserlo, quanto per i miei gusti videoludici, decisamente lontani da open world e affini. Il gioco dei Bend Studio, nonostante mostri inizialmente un'aura da prodotto derivativo, realizzato senza guizzi e solo per compiacere una fetta di utenza più ampia possibile, si rivela - col passare delle ore - un'avventura robusta e appagante. C'è una fase indefinita nella quale si supera l'idea di avere di fronte un titolo sciapo e monocorde; un momento scevro da eventi particolari, e se dovessi cavarlo fuori a forza, lo collocherei idealmente poco oltre la metà del gioco. Come provavo a spiegare, non è tanto una questione di svolte narrative o soluzioni ludiche innovative, quanto piuttosto della loro crescita, graduale, intellegibile, ma assai corposa.

Il bestiario, incattivito dal virus, riesce a incutere timore anche se non ci attacca in branco.

Days Gone, di fatto, arraffa qua e là gran parte delle caratteristiche che hanno fatto la fortuna del genere free roaming e, a una prima analisi, sembra che l'operazione si sia pigramente limitata a questo. C’è stata poi tutta la faccenda delle patch a raffica, con le quali gli sviluppatori hanno cercato di star dietro a un gioco forse più grande delle loro effettive possibilità. Eppure, il piglio alacre con cui Bend Studio si è prodigata a smussare gli angoli della sua creatura ha donato a Days Gone una caratteristica che mai avrei pensato potesse tirar fuori dopo un inizio così anonimo: una grandissima personalità. Ci sono le immancabili abilità da potenziare, gli approcci ai nemici, da tenere a distanza o squarciare dall’interno, in tutti i sensi, grazie alle velleità stealth del protagonista, e un gran bell’arsenale da “craftare”. Ciò che appare già visto risulta anche dannatamente divertente. Tutto il sottotesto di essere un biker, poi, dell’amore verso la propria moto e la ritualità che le orbita intorno, sono ulteriori elementi di distinzione. E quindi giù di modifiche per la nostra “bambina“, con potenziamenti, riverniciature, discese a filo di gas per non consumare carburante e tanti altri piccoli accorgimenti che fanno la differenza.

Days Gone, oltre le decadenti ambientazioni urbane, sa regalare paesaggi bucolici di indubbio fascino.

Anche se arrivato piuttosto in ritardo rispetto alla zombie-mania che ci ha accompagnato negli ultimi quindici anni, Days Gone allestisce uno stato dell’Oregon in ginocchio, funestato da predoni, invasati religiosi e - chiaramente - infetti (che quindi non sono morti viventi nella loro accezione più classica). La rappresentazione visiva delle orde, una sorta di calamità naturale al pari di un tifone da cui tenersi alla larga, è davvero terrificante. Quando si intravedono in lontananza, cupi, decerebrati, in una blasfema processione formata da centinaia di furiosi, è impossibile non restare atterriti. E quando la fuga non sarà più un’opzione, l’adrenalina scorrerà a fiumi. Insieme al sangue.

La narrazione è un diesel in fase di rottamazione e i primi momenti dell’avventura sembrano davvero fare il verso a The Last of Us, in una maniera tanto ingenua da fare quasi tenerezza. Si tratta, tuttavia, di un peccato veniale e, come ho più volte sostenuto in questa e altre sedi, se si riescono a creare degli ottimi personaggi, saranno loro a “fare“ la storia. In questo caso specifico viene in aiuto anche l’eccellente doppiaggio in italiano, con un una particolare menzione per il protagonista. In Days Gone accade proprio questo: pur non aspirando ad essere elette matricole videoludiche dell’anno, le povere anime che si avvicendano e si affannano per sopravvivere almeno un altro giorno nelle terre dell’Oregon restituiscono un ottimo feeling.

Questo è un gruppetto sparuto, rispetto alle vere orde, che migrano a centinaia nelle terre dell’Oregon.

Immedesimazione, antipatia, totale indifferenza; quelle che in principio sembrano vuote macchiette utili solo a ricoprire un ruolo abusato, prendono vita sotto i nostri occhi, seguendo ciascuna la propria linea morale o arrivando persino a metterla in discussione. Nulla che uno sceneggiatore in gamba non abbia già scritto, o un film/libro/videogioco non abbiano già mostrato e raccontato, ma la forza di Days Gone sta proprio nel suo lento e graduale sviluppo. Ecco perché in molti potrebbero, lecitamente, saziarsi con l’antipasto prima di passare alle portate di prima classe. L’esclusiva di Sony, seppur imperfetta, ruvida e con qualche glitch sparso qua e là, rimane comunque unica (merito anche delle già citate, innumerevoli patch). Mai come in questo caso, il costrutto finale eleva il gioco oltre la somma delle singole parti. Con buona pace di chi vede la mediocrità di un prodotto soffermandosi sulle terga (digitali) di una ragazza e del suo uomo (digitale) che ne ammira le grazie. A loro, l’augurio di trovare un bello scafandro spaziale che le protegga da sguardi lascivi e le renda già vestite di tutto punto quando potranno migrare lontano da questo pianeta così meschino, gretto e maschilista.

Ho giocato a Days Gone su una PlayStation 4 PRO grazie a un codice per il download fornitomi gentilmente da Sony Italia. Ho superato agilmente le cinquanta ore di gioco, con alcune pause forzate di natura personale, che però mi hanno permesso di beneficiare delle numerose patch pubblicate dopo l’uscita. Il gioco ha un carisma a scoppio ritardato e seppur fisiologicamente sfiancante dopo le trenta ore, se dovesse catturavi, potrebbe tenervi in ostaggio per settimane. Come al solito, se acquistate il gioco (o qualsiasi altra cosa) su Amazon passando dai seguenti link, una piccola percentuale di quello che spendete andrà a noi, senza alcun sovrapprezzo per voi. Se volete procedere su Amazon Italia, dirigetevi qui, se preferite Amazon UK, puntate qui.