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Dagli archivi: La nascita casuale di Populous | Post Mortem

Gli archivi sono quel luogo sperduto nell’altroquando che s’è magnato lavori prodotti in un altro universo per un quando differente. Dagli archivi, ogni tanto, qualcosa viene salvato, perché in una marea di contenuti usa e getta, capita che dall’acqua emergano cose a cui vale la pena di lanciare un salvagente. E a quel punto si manifestano qua su Outcast, e pazienza se sono in parte invecchiate, magari fino al punto di risultare fuori dal tempo e, per questo, forse anche più affascinanti.

Post Mortem è invece una rubrica in cui vi raccontiamo le considerazioni a posteriori sull’esperienza legata alla lavorazione di questo o quel videogioco.

Articolo risalente al lontano dicembre 2011

La storia di Populous inizia in un piccolo ufficio, che si trovava in una casa uscita dritta dritta da un Amityville Horror, situata in quel di Guildford. Al piano di sotto abitava una donna anziana di nome Cat, che componeva la colonna sonora delle giornate di Peter Molyneux attraverso le urla di dolore causate dalle sue emorroidi. In quell'ufficio, il caro Peter non si occupava di videogiochi. No. Si era fatto convincere dal padre della sua ragazza a investire nella Taurus Impex Ltd., azienda dedita all'esportazione di fagioli in Medio Oriente. Nonostante il corposo guadagno di un cent a barattolo, però, gli affari non andavano esattamente a meraviglia. Ed è a quel punto che arriva il colpo di fortuna: una telefonata dalla Commodore.

“Già all'epoca tendevo a fare sparate fuori misura per la stampa. Il mio talento in queste cose era già evidente.”

All'epoca, Molyneux era un appassionato di videogiochi che si divertiva quotidianamente con il suo Commodore 64. Ricevere una telefonata in cui all'altro capo del filo c'era un rappresentante della Commodore era, insomma, un evento mica da ridere. Figuriamoci poi quando gli dissero che avevano sentito parlare di lui e volevano invitarlo in azienda per fare due chiacchiere e parlare un po' dell'Amiga 1000 e della possibilità di vedere i prodotti Taurus su questo nuovo computer. Ora, che caspita c'entrano i fagioli con l'Amiga 1000? Niente! Il fatto è che esisteva un'altra azienda chiamata Taurus (anzi, Torus, ma la pronuncia è molto simile) che si occupava di “network solutions”. Già. Fatto sta che, una settimana dopo, nell'ufficio di Peter Molyneux c'erano tre persone al lavoro su ben dieci Amiga 1000. Perché ovviamente mai gli passò per la testa di chiarire quell'equivoco iniziale.

Fatto sta che la Taurus di Peter Molyneux creò un primo software per Amiga 1000. Non un videogioco, perché si trattava di un computer pensato per il business e doveva soppiantare l'Amiga 500 in quel settore. Molyneux quindi sviluppò un software per la gestione di database. Il programma vendette un po' di copie e portò qualche soldo in cassa, ma i fondi cominciarono a svanire piuttosto in fretta. Fu a quel punto che capitò un altro bell'evento fortunoso. Peter si trovava al pub, luogo fondamentale in cui ci si poteva dedicare a bere e a pianificare lontano dall'ufficio. Proprio qui, chiacchierando con un amico, saltò fuori la classica conversazione in cui si parla dell'amico dell'amico che conosce uno che ha fatto una cosa e, in sostanza, Peter Molyneux si trovò a incontrare Simon e Dean Carter, due personcine in grado di programmare un gioco chiamato Druid II quando ancora avevano dodici anni e alla ricerca di qualcuno che lo convertisse su Amiga. E fu così che nacque la collaborazione fra Molyneux e i Carter, proseguita poi per decenni.

Populous non era scritto nei ganzi assembler o linguaggio macchina, ma in C, roba da sfigati. Tant'è che David Braben e compagni, al pub, sfottevano Molyneux per questo.

Molyneux era un completo ignorante in materia di programmazione di videogiochi e, durante i lavori di conversione, fu costretto ad attaccarsi a un sacco di trucchetti e stratagemmi per far funzionare le cose. Per esempio ridurre le dimensioni delle schermate per riuscire a ottenere una degna fluidità da 30 fotogrammi al secondo, che non era proprio in grado di raggiungere attraverso le sue capacità di programmatore. Un modus operandi, questo, che avrebbe caratterizzato pesantemente anche gli anni successivi della sua carriera. In ogni caso, dopo sei mesi di lavoro, la conversione era pronta e gli fruttò quarantamila sterline, oltre alla sensazione che, forse, poteva trattarsi di un carriera da provare. E fu così che nacque il marchio Bullfrog.

Un giorno, Peter Molyneux e Glenn Corpes stavano giocando a Virus, di David Braben, un gioco che lo stesso Peter definisce tostissimo e bellissimo. E Glenn rimase molto colpito da come Braben aveva assemblato i paesaggi del suo gioco, unendo assieme dei “blocchi” isometrici. Complice anche il fatto che all'epoca Molyneux non aveva una vita sociale e trascorreva tutte le sue giornate in ufficio, circondato da sigarette spente, cartoni della pizza vuoti e lattine di coca cola messe una sopra l'altra, si scatenò uno studio quasi ossessivo di questi paesaggi virtuali. E fu in quel periodo che Molyneux iniziò davvero a programmare.

Molyneux cominciò quindi a giocherellare, assemblando questi bucolici paesaggi, dando vita a mappe costituite da tasselli e in grado di contenere fino a 256 piccole persone allo stesso tempo. Cosa che, all'epoca, era un risultato di grandissimo spessore. Piano piano venne creata tutta la componente grafica, con due file contenenti tutti i vari elementi che sarebbero dovuti apparire su schermo. Una volta messi in campo gli elementi, chiaramente cominciarono a presentarsi tutta una serie di problemi più o meno insormontabili. Nell'idea di Molyneux, le piccole persone di Populous dovevano muoversi liberamente in giro, esplorare, dare la sensazione di essere creature curiose. Per questo motivo ideò un sistema in base al quale i singoli personaggini erano sempre consapevoli delle rispettive posizioni e avevano la tendenza a spostarsi in luoghi dove i propri simili erano meno presenti, dando così l'impressione di stare esplorando il territorio. Proprio il movimento dei personaggi generò poi il primo grosso ostacolo nella carriera da programmatore di Molyneux.

Quando la sua gente virtuale raggiungeva la riva, si avvicinava al mare, cercava di superare le acque, non poteva farlo e si fermava sul posto. Ora, nel mondo attuale, Molyneux – parole sue – si limiterebbe a cercare su Google una routine di “wall hugging” e implementarla. Ma all'epoca non aveva a disposizione libri su cui documentarsi e finì per incartarsi due giorni su questo problema. Per poi scegliere di scavalcarlo, invece che di risolverlo, implementando un sistema per permettere al giocatore di alzare e abbassare il livello del terreno tramite il tasto destro del mouse. E dopo averlo inserito, si rese conto che questo sistema poteva rappresentare una grande idea di gameplay. Si può insomma dire che in quel preciso momento nacque Populous, grazie a un furbo stratagemma ideato per aggirare un problema insormontabile.

Fra i limiti incontrati durante lo sviluppo, c'era la necessità di far stare il codice all'interno di settantanove colonne di testo. Se si andava oltre, lo scassato monitor di Molyneux non reggeva e s'incartava la visualizzazione.

Il passo successivo fu inserire un multiplayer, per fare in modo che Peter e Glenn potessero sperimentare un po' col gioco. E fu un altro colpo di genio, perché fece capire loro quanto poteva essere divertente pasticciare con quei piccoli esseri umani, magari levando loro il terreno da sotto i piedi, facendo dispetti a chi li controllava. Ovviamente poi bisognava dare una parvenza di intelligenza artificiale, di “senso”, a questo gruppo di piccole persone che si limitavano a camminare in giro. E anche su questo fronte, fu tutto un gran lavorare in termini di idee di gioco mescolate a esigenze di programmazione. Per esempio, la scelta di trasformare in abitazione gli esseri umani che si trovavano fermi su una “casella” vuota significava liberare memoria, perché la vita e il cammino di quelle persone non andavano più simulati. E da qui prese ad evolversi tutta la meccanica di creazione dei villaggi e delle case, con la possibilità di manipolare il terreno sotto le case per spingere le persone a compiere determinate azioni.

Il problema era che non c'era minimamente la sensazione di stare controllando per davvero le persone presenti nel gioco. Che da un lato era una cosa positiva, ma dall'altro poteva essere frustrante. Per questo vennero inserite trovate come il “people magnet”, tramite cui attirare folle numerose nello stesso punto, e i disastri naturali come terremoti, vulcani, paludi. Tutto questo, però, doveva avere un costo, per evitare di sbilanciare troppo il gioco, ed ecco quindi l'idea del mana, che le persone “producevano” solo mentre se ne stavano chiuse in casa. Ma mancava ancora qualcosa, mancava un senso di scopo finale a cui ambire. Ed ecco che allora vennero introdotte la possibilità di trasformare il “people magnet” in un cavaliere con cui attaccare gli avversari e la magia dell'armageddon, con cui si tiravano all'improvviso fuori dalle case tutti gli esseri umani e si scatenava la battaglia finale. Un ottimo modo per dare una conclusione a partite in multiplayer che altrimenti tendevano all'infinito.

“Anche all'epoca mi facevo trascinare, osservavo quel singolo pixel e indicavo alla stampa le stupefacenti espressioni facciali dei miei personaggi. Se ci fosse stato un pixel per la bocca avrei parlato di lip sync”.

Dopo sei mesi di lavoro (anche se probabilmente il lavoro di programmazione vero e proprio era quantificabile in circa la metà), il gioco aveva assunto una sua forma definita e si poteva provare a venderlo a un publisher. All'epoca, si parla del 1989, tanto quanto oggi, tutti erano ossessionati con gli sparatutto, lo spazio, sparare, ammazzare. Tutti guardavano la demo, dicevano che non era male, ma che per renderla interessante bisognava fare in modo che quei piccoli omini si sparassero addosso. Era troppo originale. Per fortuna, la allora relativamente giovane Electronic Arts, visto anche che aveva un “buco” durante il quale non aveva pubblicazioni previste, decise di dare una chance a Populous.

Purtroppo Molyneux non era un bravo negoziatore e la cosa si vedeva lontano un miglio. In EA lo fecero aspettare per un'ora e quaranta, facendogli montare una voglia di sigaretta pazzesca, mettendogli addosso pressione e, in buona sostanza, strappandogli un contratto svantaggiosissimo. In termini di royalty, si parlava di un dieci per cento, alzato al dodici per cento nel caso si toccasse il milione di copie vendute. E nessun genere di finanziamento. In ogni caso, il contratto venne firmato e il gioco venne completato e inserito nella fase di testing. All'epoca, il testing veniva condotto in maniera diversa rispetto ad adesso: c'era un periodo di ventiquattro ore in cui si effettuava del testing super intensivo. Trattandosi di un gioco particolarmente ampio, con un totale di quasi cinquecento livelli, i tester chiesero di avere a disposizione un modo per saltare direttamente alla fine e vedere la conclusione... che non c'era! Non avevano pensato a creare nulla del genere e decisero di inserire al volo una versione “potenziata” del goblin che giudicava l'operato del giocatore fra un livello e l'altro: gli fecero alzare un sopracciglio e pronunciare le parole: “Ben fatto, mortale”.

In avvio di sviluppo, non era stato elaborato il concetto secondo cui il giocatore era una divinità adorata dai personaggini.

E insomma, “grazie alla mia incapacità di programmazione, a un playtesting intensivo e a tanta passione alimentata da sigarette, coca cola e pizza, Populous era nato”. Dopo il termine dei lavori, inevitabilmente, arrivarono i primi contatti con la stampa. All'epoca, Ace era una fra le riviste più apprezzate, anche da Molyneux stesso, e c'era un giornalista che aveva l'usanza di incontrare lo sviluppatore del gioco prima di assegnare il voto. Molyneux, che all'epoca era ancora un timidone lontano dalla bestia da marketing diventata poi con gli anni, era terrorizzato all'idea, e decise di giocarsela portando il giornalista al pub vicino all'ufficio. Lo stesso pub in cui si erano svolte così tante riunioni importanti per la nascita del gioco. Alle dieci di mattina entrarono nel pub. Alle 16:00, dopo quattordici pinte e una sessione di vomito in bagno, completamente ubriaco, finalmente Molyneux trovò il coraggio di chiedere il voto al giornalista.

Peter uscì quindi dal bagno, tornò al tavolo e chiese a David cosa ne pensasse di Populous. La risposta: “È il miglior gioco che abbia mai giocato”. Primo pensiero di Molyneux: “Questa persona non si rende conto di cosa dice. Non deve mai più vedere Populous in tutta la sua vita, altrimenti cambierà idea”. In realtà David sfidò Peter a una partita in multiplayer, ma i due collassarono in un vicolo mentre camminavano verso l'ufficio di Bullfrog e la cosa si concluse lì, con un grandissimo voto su Ace e l'uscita del gioco, nel marzo 1989. Occasione in cui Molyneux inaugurò una tradizione che porta avanti ancora oggi: andare in negozio, comprare una copia del suo gioco, tornare a casa e giocarci per bene.

Riuscire a far funzionare il controllo tramite mouse fu per Molyneux un vero incubo, che richiese tre giorni di lavoro.

In seguito all'uscita, ne capitarono di tutti i colori. Per esempio, il timore delle minacce da parte della Jihad. Era il periodo in cui fu pubblicato I versetti satanici di Salman Rushdie e, poco dopo l'uscita del gioco, Molyneux ricevette una telefonata dalla redazione del Daily Mail, in cui lo avvertivano che, avendo creato un gioco in cui si parlava del conflitto fra bene e male, era a rischio di Jihad. Oppure i problemi di soldi, le bollette da pagare con gli incassi derivati dalle royalty che non arrivavano, perché l'abile negoziatore Molyneux non si era reso conto di stare firmando un contratto in base al quale i primi pagamenti sarebbero giunti a nove mesi dalla pubblicazione. In teoria era milionario. In pratica doveva aspettare nove mesi, per esserlo.

Poi, però, dopo mesi in cui Molyneux si inventava qualsiasi furbata pur di non rischiare di perdere la casa, anticipando il fenomeno dei subprime tramite l'utilizzo di carte di credito sempre nuove, arrivò il lieto fine. Populous fu un successo colossale, costituì un terzo del fatturato di EA per quell'anno e si piazzo stabilmente, per parecchi anni, nella top ten dei giochi più venduti della storia. Ebbe un successo clamoroso perfino in Giappone, dove generò un vero e proprio culto, con tanto di fumetti, pupazzi, gadget di mille tipi. Venne pure organizzato un concerto, con un'orchestra sinfonica che eseguiva le musiche del gioco, a cui il team venne invitato ad assistere. E, lo ricordiamo, si trattava di musiche nate avendo come musa ispiratrice una donna che urlava costantemente a causa delle sue emorroidi. A un certo punto Molyneux venne perfino invitato a sfidare il campione nazionale giapponese di Populous (ovviamente fortissimo e con tanto di nippo-bandana legata in fronte) e cercò di cavarsela usando un cheat che permetteva di forzare all'improvviso l'uscita dalle case di tutti gli uomini dell'avversario. Il cheat, però, non funzionava sempre. E non funzionò.

A un certo punto provarono a creare anche il boardgame di Populous, fatto di mattoncini Lego. Era una porcheria totalmente sbilanciata, ma funzionò in termini di marketing: venero perfino dei rappresentanti della Lego a dare un'occhiata.

Insomma, Bullfrog era ormai lanciata nella stratosfera e iniziò a crescere come azienda. Molyneux prese a creare nuovi giochi, buttando sul piatto idee sempre nuove, anche se non necessariamente altrettanto riuscite. Arrivò Powermonger, che di fatto anticipava la nascita degli RTS e sarebbe potuto essere un gioco fantastico, se non fosse stato per quei maledetti piccioni. E poi Populous 2, l'inevitabile seguito, anche se all'epoca la realizzazione di un seguito era considerata una cosa molto meno “onorevole” rispetto a oggi. E quindi una pietra miliare come Syndicate e via via fino alla nascita di Lionhead Games e alla produzione attuale.

E quali conclusioni trae, Peter Molyneux, dal ripercorrere il cammino che lo portò alla nascita di Populous? Che a volte i grandi giochi nascono dalla sperimentazione, dal giocarli, dal ritoccarli e perfezionarli, cercando di capire cosa davvero funzioni. Populous ne è un fantastico esempio, tanto quanto lo è Minecraft. E che tante volte la soluzione a quello che può sembrare un problema insormontabile finisce per trasformarsi nell'idea geniale che ti cambia la vita.

In chiusura di conferenza, Molyneux ha mostrato il gioco in funzione, attraverso un emulatore Amiga, con tanto di splendida musica introduttiva firmata Rob Hubbard...

Al termine della conferenza, Molyneux ha risposto ad alcune domande poste dal pubblico della Game Developers Conference 2011, e ne è venuta fuori qualche riflessione interessante. Per esempio sul fatto che oggi, di fondo, convivono due scenari di sviluppo agli antipodi. Le piccole produzioni, gli indie, progetti come Minecraft o Desktop Dungeons, sono tali e quali a quel che si faceva all'epoca in cui lui esordì. Sono cose che sarebbero potute esistere anche in quegli anni. Assieme a loro, però, esiste lo sviluppo dei titoli “tripla A”, con cui non ti puoi permettere di sbagliare. Quando devi lavorare con il motion capture, con gli attori, non puoi far casino, non puoi sprecare tutti quei soldi. Deve essere tutto schematico, inquadrato, pianificato. E il problema è che l'approccio iterativo, fatto di pilastri, di componenti base attorno a cui ragionare, sperimentare, creando le componenti di gioco e dei prototipi da unire poi nelle fasi finali di sviluppo, genera un sacco di “ignoto”, di cose delle quali non ti rendi conto fino all'ultimo momento, e rende anche molto difficile il lavoro sulla narrazione, sul dramma, sulla qualità delle emozioni. E infatti in Lionhead si sta cercando di cambiare almeno in parte metodologie di lavoro.

Fable 3 è stato un gioco molto importante nella mia carriera. Il team ha fatto un grandissimo lavoro, ma non si può trascurare il fatto che, insieme a Populous, è l'unico gioco che abbia mai sviluppato in solo due anni di lavoro. E chiaramente questo ha comportato diversi tagli, numerose cose sono rimaste fuori. Altri aspetti, come l'acquisto delle case, hanno finito per risultare poco bilanciati.”

“Quando parlo alla stampa non faccio il PR. Credo davvero, con tutto me stesso, in quello che racconto e nei sogni che vendo. Il problema è che poi, per mille motivi, non sempre riesco a concretizzare questi sogni”

“Ho una passione colossale per l'idea di creare un mondo che sembri vivere di vita propria. Che sia a visione ampia come Populous, o più ristretta come Powermonger o Theme Park. Si crea un ambito di micro simulazione in cui può accadere di tutto, possono verificarsi eventi continui che non avresti mai immaginato. All'epoca di Populous i publisher mi guardavano come se fossi un matto, perché proponevo un'idea del genere. Nei miei giochi succedono costantemente una quantità pazzesca di cose che i giocatori magari non vedranno mai. E il solo fatto che questo accada mi piace da matti.”

… e poi, incalzato dal pubblico, non senza qualche impaccio per farlo funzionare, ha mostrato anche un suo progetto personale, una versione di Populous in grado di supportare 256 giocatori.

“Attualmente, e penso anche solo a tutto quanto è emerso negli ultimi due o tre anni, abbiamo uno spettro incredibilmente ampio di possibili giochi e di produzioni variegate che continuano ad emergere. Viviamo in un contesto in cui ci sono margini enormi per la sperimentazione e quindi importa relativamente se tale sperimentazione non è magari molto concessa nell'ambito delle grandi produzioni. Farmville, secondo me, è un gran bel lavoro di design, ma è anche un qualcosa che si deve evolvere, pesantemente. Se io lavorassi su Farmville, ovviamente, mi sforzerei di costruirgli attorno la simulazione di un piccolo mondo. È tutto troppo casuale, e sarebbe tutto troppo più convincente se ci fossero delle dinamiche da simulazione.”

“La nostra industria, così come tante altre, funziona secondo un modello ciclico, all'interno del quale si cerca sempre un leader da seguire. Se un film di fantascienza sbanca al botteghino, ecco che vengono prodotti un certo numero di altri film di fantascienza. Lo stesso con gli horror. E lo stesso avviene nell'industria del videogioco. Io comunque sono molto ottimista, per il futuro. Credo che tutte queste nuove piattaforme, il settore mobile, il cloud... credo che le cose stiano per cambiare, per evolversi e credo vedremo nascere o rinascere generi di gioco. Certo, in questo momento sembra che escano solo FPS, che per inciso io adoro, ma personalmente credo che noi, come industria, abbiamo il dovere, nei confronti del nostro pubblico, di innovare e di essere coraggiosi in quello che proponiamo alla gente.”