Outcast

View Original

City Hunter - Private Eyes è tipo una rimpatriata con i compagni del liceo, sia nel bene che nel male

Mentre andavo incontro all’anteprima di City Hunter - Private Eyes, non sono riuscito a schivare un paio di proiettili pucciati nella nostalgia.

In primo luogo perché la scorsa primavera, durante il mio viaggio in Giappone, ‘sto film lo si incrociava praticamente dappertutto, tra poster e merchandise vario. E se ripenso a quanto si stava bene in Giappone, la scorsa primavera, Ah!.

Secondariamente, l’anteprima si teneva in questa sala cinematografica dalle parti di Porta Venezia. E visto che ci non passo mai, da Porta Venezia, per una volta che ero in anticipo, ho preso a ingannare il tempo cazzeggiando per Yamato Shop e La Borsa del Fumetto, che durante la fine degli anni Novanta erano tappa obbligata - se non meta specifica - delle mie trasferte meneghine.

Soprattutto La Borsa, dove mi capitava di comprare un’intera serie in volumetti usati, tipo quella di Orange Road, e di attaccare subito a leggerla nel parchetto di zona. Perlomeno, fino a quando il pazzoide di turno non veniva a sloggiarmi o a propormi della droga. E a proposito: mi ha fatto senz’altro piacere notare come certe cose non siano cambiate, ché dalle parti di via Castaldi, a un certo punto, questo tizio male in arnese e non tanto in bolla mi ha attaccato bottone e, al termine di una conversazione confusa, credo mi abbia dato del coglione, o qualcosa del genere.

Di contro, la nostalgia che sono riuscito a schivare senza troppi problemi è stata quella proposta dal film, dal momento che non sono mai stato un grandissimo fan del manga di Tsukasa Hôjô, né tantomeno della serie animata, rispetto ai quali questo City Hunter - Private Eyes (City Hunter: Shinjuku Private Eyes, in originale) conserva gran parte delle meccaniche narrative, dei cliché e delle gag.

Taglio subito la testa al toro: se negli anni Novanta andavate pazzi per City Hunter e siete esattamente alla ricerca di quella roba lì, fatta in quella maniera lì, beh, staccate il biglietto, divertitevi e bon, ché il film è sostanzialmente un’episodio dell’anime da un’ora e mezza, oltre che la prima avventura inedita di Ryo e Kaori da una ventina d’anni a questa parte (escludendo la serie live action coreana del 2011 e i film, altrettanto live action, prodotti in Francia).

Diversamente, se come me già all’epoca non stavate in fissa con i personaggi di Hôjô, oppure se state pensando di dare loro una chance per la prima volta proprio a ‘sto giro di sala, mah.

Il film attacca col nostro investigatore privato di Shinjuku chiamato a proteggere la modella Ai Shindo, trovatasi suo malgrado al centro di un macchinoso piano ordito da alcuni signori della guerra (sic). La trama riprende e semplifica alcuni tòpos dello spionaggio bondiano e del polizesco alla Miami Vice, spingendosi deliberatamente al limite della parodia ma senza cascarci con tutte le scarpe, dando il la a una serie di sequenze action, che costituiscono probabilmente la parte più riuscita del film, e ad altrettante gag che, di contro, ho trovato malamente invecchiate e decisamente fuori fuoco rispetto al sentire presente.

Eppure, durante un flashback salta fuori una variazione carinissima di questa gag.

Ora, premesso che la comicità giapponese è diversa da quella a cui siamo abituati in Occidente. Premesso che, quando funziona qui da noi, non è necessariamente per le stesse ragioni che la fanno funzionare in patria. Premesso infine che il mondo dell’intrattenimento giapponese è stato sfiorato solo in parte dal “Weinstein effect”, tutti i siparietti con Ryo allupato/molestatore e Kaori in versione castigatrice, oltre ad essere fuori tempo massimo, mi sono parsi triti anche nell’economia del film, che già non brilla per costruzione, coerenza e dialoghi. Toh, per fare un paragone, di recente ho incrociato il medesimo schema in alcuni episodi di Lamù e non l’ho trovato altrettanto stucchevole (fermo restando che, in entrambi i casi, la ripetizione della regola serve a esaltare le eccezioni; a svelare quella sensibilità che la maschera Ataru/Ryo fa di tutto per nascondere, eccetera eccetera).

Va anche detto che City Hunter - Private Eyes non ha nessuna pretesa di rinnovamento. OK, rispetto agli Novanta, fanno capolino frutti della tecnologia moderna come droni o smartphone, ma a parte questo, il film vuole soprattutto celebrare il trentesimo anniversario della serie classica attraverso un revival zeppo di strizzate d’occhio per i fan, e ospitate di lusso (clamorosa quella delle tre protagoniste di Occhi di gatto, sempre di Hōjō). Un’opera, insomma, che va in direzione dello spettatore già avvezzo, che probabilmente non desidera altro che farsi un tuffo nel passato e divertirsi senza grossi investimenti.

Hitomi, Rui e Ai, meglio note dalle nostre parti come Sheila, Kelly e Tati (quest’ultima è sempre stata la mia preferita).

Questa specie di dichiarazione di intenti emerge anche dal cast: in Giappone le voci sono quelle storiche, a cominciare dal Ryo di Kumiko Takahashi. Allo stesso modo, in Italia ritroviamo al doppiaggio Guido Cavalleri, assieme a Vittorio Bestoso (Umibozu/Falcon) e Jasmine Laurenti (Kaori). A capo della crew, invece, c’è il veterano Kenji Kodama, già showrunner e regista per la serie e gli special, che qui va per una messa in scena piuttosto conservativa e, mi spiace dirlo, non particolarmente ispirata, fatta eccezione per le suddette sequenze action o di sparare.

Anche sul lato artistico, boh. Il design e le animazioni dei personaggi sono senz’altro curati, ma lo stesso non si può dire degli sfondi e degli ambienti, scialbi e monocorde, oppure di certi look allucinanti o della rappresentazione dei vari dispositivi elettronici, a cominciare dagli smartphone, che sono dei tragici ottagoni allungati. È anche vero che serie e manga non è che fossero proprio campioni di buon gusto e fighetteria, e in termini stilistici tiravano fuori il meglio soprattutto quando c’era da disegnare veicoli, armi da fuoco e ordigni bellici vari. E questa roba nel film c’è.

Detto questo, non posso che ribadire quanto espresso in apertura. Se City Hunter vi piaceva o vi piace ancora ogni volta che lo incrociate da qualche parte, sicuramente uscirete dalla sala sazi e contenti, nonostante la foga da reunion abbia finito per sacrificare un po’ quel tocco “blues” dei migliori capitoli di manga e anime. Diversamente, potreste finire per trovare Private Eyes un’opera datata e senza molto da offrire in termini di racconto e messa in scena. Sta a voi.

Ho avuto la possibilità di guardare City Hunter - Private Eyes in anteprima e in lingua italiana, grazie a una proiezione stampa alla quale siamo stati gentilmente invitati. Il film arriverà stasera nelle sale italiane e ci resterà fino a mercoledì, secondo la formula dei tre giorni tipica delle distribuzioni Nexo Digital e Dynit.