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Chi ha incastrato Roger Rabbit? regge ancora alla grande

Ah, no?

Chi ha incastrato Roger Rabbit? è probabilmente uno di quei film che stabiliscono un “prima” e un “dopo”.

“Prima” ci furono animazioni che ospitavano attori in carne ossa (I tre caballeros) o film che avevano “l’inserto animato” (Mary Poppins); “dopo” lo sforzo titanico Disney/Warner Bros, divenne chiaro che il pubblico non avrebbe mai più accettato nulla di meno che un film in cui attori e cartoon giocassero sullo stesso piano.

E, comunque, se lo chiedete a me (chiedetemelo!), “dopo” nessuno riuscì più a farlo come Chi ha incastrato Roger Rabbit?. Fuga nel mondo dei sogni, non potendo aspirare allo stesso budget, rimarrà visivamente al livello del “prima”, mentre Space Jam avrà il budget per ridisegnare la realtà ma, narrativamente, andrà poco oltre I tre caballeros.

Alla fine, neanche passati dieci anni dal matrimonio perfetto, avvenuto dopo un lunghissimo corteggiamento, cinema ed animazione divorzieranno consensualmente, per andare a flirtare ciascuno con la stessa nuova fiamma: gli effetti digitali, ormai arrivati alla maturità. Grazie a loro, l’animazione farà un salto in avanti in “verosimiglianza” e il cinema potrà permettersi di mettere in scena ciò che prima potevi solo disegnare.

Ma il matrimonio, officiato dalla pragmatica visionarietà di Robert Zemeckis, fu comunque meraviglioso. Ebbe per altro il merito di far conoscere al mondo la capacità di Bob Hoskins, attore sottovalutato, spesso considerato un caratterista di lusso, che in questo film riesce a dar sfogo alla sua doppia natura di specialista di ruoli “hard boiled” classici e commediante, duettando in maniera perfetta con il coprotagonista Roger Rabbit, dandogli un peso, una consistenza e persino una presenza leggermente irritante.

Se dialoghi come “Avresti potuto sfilarti le manette in qualsiasi momento?!” “Non in qualsiasi momento, solo quando faceva più ridere!” ci deliziano, è merito degli sceneggiatori. Se ci sembrano reali, è merito di Bob Hoskins.

Hai un coniglio in tasca o sei solo contento di vedermi?

La controparte ideale di Hoskins fu nientemeno che Christopher Lloyd; è grazie a lui, se il film rende come commedia gialla e non rimane solo commedia. È il suo Giudice Morton, funereo, rigido, razionale, oscuro a gettare un’ombra nera sui colori sgargianti del mondo animato.

La lunga scuola Disney di cattivi-cattivi (Grimilde, per capirci, non Jafar) si condensa in lui: è “l’adulto”, quello che alla fantasia preferisce asfalto e cemento, alle risate preferisce il denaro contante e, sopratutto, all’ingenua follia preferisce sane, severe, inappellabili, regole. Le sue.

Non dirò che sia stata una “meravigliosa intuizione” di Zemeckis, trasformare “Doc” Brown di Ritorno al Futuro, nonché futuro Fester Addams, in questo malvagio nero come il suo cuore. Christopher Lloyd, come ogni grande attore comico (Gene Wilder, Jerry Lewis, Robin Williams, Jim Carrey sono i primi che vengono in mente) si distingue grazie a quella maschera di rigida e totale follia, che tiene ben nascosta dietro il suo sorriso mansueto e la mimica empatica. Ma che si intravede sempre, guardando bene in fondo ai suoi occhi.

Ovviamente, funzionò alla grande e Lloyd lavorò con dedizione per dare peso (opprimente) alla sua presenza, fino al “plot twist” finale che, ne sono convinto, non avrebbe mai veramente funzionato senza di lui.

E che sarebbe stato inquietante anche senza gli occhi disegnati.

Farei però un torto agli altri testimoni di queste nozze se dessi l’impressione che solo ai “mortali” spetti l’onore di questo successo. Sarebbe ingiusto e riduttivo.

Il coniglio Roger Rabbit, iperattivo, ingenuo, persino complessato al punto da diventare irritante, raccoglie l’eredità di tutti gli “eroi” (da Bugs Bunny a Daffy Duck) che Chuck Jones e la sua banda concepirono e la porta in scena con instancabile convinzione, mimica eccessiva ed energia travolgente. In quella impensabile (al tempo) tregua Warner/Disney, si vede bene che la Disney portò in dote il suo senso del dramma mentre Warner ci mise tutta la sua capacità di far fluire l’umorismo slapstick, reiterandolo con minime variazioni, senza che venga a noia.

E ci mise, sicuramente, Jessica Rabbit: un’eroina inconcepibile per la Disney dei “cartoni per bambini”, figlia dell’anarchica concezione dei Looney Tunes come cartone animato destinato a far ridere gli adulti e di tutte le femme fatale che scatenavano l’isteria dei Big Bad Wolf di Tex Avery.

La mamma di Jessica Rabbit.

In un solo film, si ritrovarono un regista la cui carriera è stata votata a creare le avventure più fantastiche, due bravi attori negli anni migliori delle rispettive carriere e due enormi major, che accantonano le rispettive divergenze con l’obiettivo dichiarato di creare un nuovo termine di paragone nella storia del cinema.

La classica situazione in cui, insomma, “non è permesso sbagliare”.

Non sbagliarono e, passati più di trent’anni, un’era geologica nei tempi cinematografici, Chi ha incastrato Roger Rabbit? regge ancora alla grande.

Questo articolo fa parte della Cover Story "Disney Club", che potete trovare riassunta a questo indirizzo.