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Tutte le meraviglie di Castlevania: Symphony of the Night - Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Ma che bello parlare di Symphony of the Night (a proposito, qui trovate pure il racconto della sua creazione) proprio in questi giorni in cui mi sto perdendo totalmente in quel piccolo grande capolavoro che è Vampire Survivors, tra l’altro a sua volta totalmente in tema con l’attuale cover story di Outcast. È bello perché il gioco di Luca Galante (che dopo il successo strepitoso avuto nel suo periodo di early access su Steam è finalmente arrivato anche su Xbox Game Pass) attinge a piene mani dall’immaginario della serie Castlevania. Personaggi, mostri, stile grafico, ambientazioni, animazioni, effetti sonori, un po’ tutto sembra essere fortissimamente ispirato al mondo ideato da Koji Igarashi. Ma tipo anche i numerini dei danni inflitti. Comunque, è una super droga Vampire Survivors, se non l’avete ancora provato, fatelo subito. È nel Game Pass, come dicevo. Ah, il tipo di gioco non ha molto a che fare con Castlevania, eh, meglio precisarlo, che magari questo preambolo può trarre in inganno qualcuno. È proprio tutt’altra roba, che lascio a voi il piacere di scoprire.

Qui, invece, parleremo appunto di Castlevania: Symphony of the Night, che è almeno quattro cose fighe:

  1. uno dei miei giochi preferiti di sempre;

  2. il più importante tra tutti i titoli della serie Castlevania;

  3. il gioco che più di ogni altro definisce il genere Metroidvania;

  4. una delle colonne sonore più belle della storia.

Ho detto “almeno”, eh. Perché SOTN è anche molto altro. Ma cominciamo dalla parte più interessante, ovvero quella che rende questo gioco uno dei miei preferiti di sempre. Ci ho giocato nel 1998, sulla prima PlayStation (il gioco era uscito nel 1997), in un periodo in cui tutto sembrava dover essere realizzato in grafica poligonale e offerto in ambienti tridimensionali. Proprio in quegli anni, invece, Symphony of the Night, proponeva una grafica a due dimensioni, come quella delle generazioni precedenti di console, solo più bella.

Alucard, intanto, schiaccia un pisolino.

Fin dalle mie prime ore di gioco, mi resi conto di star vivendo un sogno. Stavo ammirando la grafica che, quando ero bambino, all’epoca delle macchine a 8 bit, immaginavo avrei visto in futuro. Sì, perché un bambino degli anni ’80 non se la immagina la grafica 3D. Pensa invece più istintivamente a quello che ha già davanti agli occhi, ma sempre più bello, ricco e definito. E Castlevania: SOTN era esattamente questo. In piena controtendenza rispetto a quasi tutto il resto della roba che girava su PlayStation (e sulle altre piattaforme) in quegli anni.

Affascinato da questo ammaliante e particolare impatto estetico, non ci misi poi molto a perdermi in quello che era, ed è ancora oggi, un gioco strepitoso. Aveva un po’ tutto quello che poteva piacermi. Il gameplay di un action/platform bello gustoso, con mazzate soddisfacenti e un livello di sfida decisamente interessante. Un’ambientazione super figa, con un castello di Dracula da esplorare in lungo e in largo (e poi anche sottosopra), strapieno di segreti e di sorprese. Un uso eccellente di elementi RPG che si traduceva in un inevitabile effetto droga: ammazza i nemici, guadagna esperienza, diventa più forte, batti quel boss che prima ti menava, accedi a una nuova area, ottieni un potere tipo il doppio salto che ti permette di raggiungere nuove aree ancora, con nemici più forti eccetera. Che sono poi, per l’appunto, i fondamenti di quel genere che proprio dopo SOTN abbiamo cominciato a chiamare metroidvania. E di cui il capolavoro di Igarashi rimane ancora oggi uno dei migliori esponenti, se non il migliore in assoluto.

Incontri di un certo spessore.

Madonna, solo a scrivere sta roba mi torna la voglia di cominciarlo per l’ennesima volta. A proposito, per fortuna è giocabile anche su macchine moderne. Lo trovate per PS4 (e quindi giocabile anche su PS5) nella raccolta Castlevania Requiem, insieme a Rondo of Blood, episodio più vecchio (e molto meno rilevante/valido). Oppure su Xbox 360, e qualsiasi Xbox successiva, nell’edizione Live Arcade del 2007. A parte l’estetica, ovviamente datata dal punto di vista tecnologico, ma comunque artisticamente ancora eccelsa, il gioco non è invecchiato male, anzi. Vi dirò di più: se venite proprio da Vampire Survivors, che magari avete scoperto in questo periodo grazie al Game Pass e/o per il chiacchiericcio che l’ha circondato, vi troverete tranquillamente a casa, anche dal punto di vista estetico, con Symphony of the Night. Che, al di là della vecchiaia, è anche molto più ispirato e bello da vedere.

E da sentire. Perché, come dicevo, questo gioco ha una delle colonne sonore più belle di sempre. Probabilmente la mia preferita in assoluto tra quelle dei videogiochi. E anche adesso sta succedendo di nuovo la cosa della voglia di cui sopra. Mi sa che finirò davvero col rigiocarlo ancora una volta. Tra l’altro, non avevo neanche sbloccato tutti gli obiettivi della versione Xbox. E su PS4 ce l’ho praticamente ancora intonso. Mmm…

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata ai vampiri, che trovate riassunta a questo indirizzo.