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Cartoline da Crockett Island

Midnight Mass, l’ultima miniserie di Mike Flanagan per Netflix, è eccezionale, sicuramente la mia “roba cinematografica” preferita del 2021 per quanto possa contare (non che abbia visto molte cose del 2021, ma sono sicuro sarebbe comunque lì in top tre). Un orrore cosmico tra King e Lovecraft che assorbe e distorce la mente quando si perde il controllo dei propri pensieri sulla morte, sul senso della vita e su sé stessi, i neuroni incapaci di correre dietro a quelle idee, impossibilitati a riempirne i vuoti, divorati dall’interno, lo stomaco stretto, la testa leggera, dissociati, scollati, come fluttuare alla deriva nello spazio, qualche secondo di nulla capace di cambiare prospettive, percezioni, percorsi. Ritrovarsi aggrappati disperatamente a un brandello di fede per non provare più quella sensazione, credere a un “oltre”, rifugiarsi, auto-assolversi, abbandonandosi a chiunque indichi una luce, uno scopo, come falene nella notte disposte a rimanere fulminate.

A Crockett Island quel vuoto non è mai colmabile, centoventisette anime cinquanta miglia a largo di New York, un altro mondo, un’altra dimensione. Pescatori, bigotti, reietti, ragazze madri, sceriffi musulmani o semplicemente chi cerca pace, isolamento, tranquillità. Qui ci si avvicina a Dio per noia o per disperazione, gli stessi motivi per cui molti suoi abitanti l’abbandonano anno dopo anno, arrugginiti, marci, consumati. Come gli scafi dei pescherecci, il legno delle case, i colori, un respiro acido di salsedine che corrode tutto troppo in fretta, lasciando i suoi abitanti anestetizzati, sciatti, indifferenti alla rovina. Strade sterrate delimitate da villette pittoresche in un bizzarro stato di semi-abbandono, tra il creepy e l’eccentrico, che riflette ancora il flebile ricordo di una costruzione totalmente artigianale, da pionieri nel far west. Alba e tramonto diventano una beffa nella fotografia di Michael Fimognari: un’illusione di tonalità esplosive, rossi, arancioni, gialli, turchesi, lilla che si alternano danzando in cieli carichi di speranza, promesse mai mantenute seguite da giornate uggiose, pallide, tristi. Abbandonati ai propri demoni, sensi di colpa, traumi, vedendo continuamente quella ragazza morta sull’asfalto prima di dormire, i vetri del parabrezza sul viso come un bizzarro trucco di Halloween, illuminati dai lampeggianti della polizia, concitate luci blu e rosse. Solo i ragazzini sembrano trovare ancora bellezza in questo posto dimenticato dal mondo, i pochi che possono ancora costruirsi un futuro, probabilmente lontano, sognandolo con qualche chiacchiera e una canna che passa di mano in mano, il suo profumo come incenso nella notte senza luna di una spiaggia raggiungibile solo via mare, un posto segreto, sacro, dove aspettare che il sole sorga di nuovo. La puzza di pesce in decomposizione sulle spiagge mista a diesel che si insinua dalle finestre aperte al risveglio, senza neanche più farci caso, come chi è assuefatto all’alcool, l’ebbrezza di una momentanea fuga trasformata nella lucida consapevolezza di una lenta eutanasia. Si vive in una perenne coda temporalesca, la violenta disperazione che lascia il posto all’attesa di un sollievo che non arriverà mai, sciolti nella routine fino a domenica, quando il matrimonio di interesse tra la chiesa e l’essere umano si consuma in un’eucarestia scaramantica, voto di scambio che prosciuga i sermoni di ogni significato, parole disperse nell’eco che arrivano alle orecchie degli astanti spezzate, interrotte, confuse.

In attesa di un miracolo, di un cambiamento, scaricando la responsabilità a dio, uno qualsiasi, lavandosene le mani e lasciando che un’entità maligna si insinui, travestita e melliflua, nelle loro vite, illudendoli di essere speciali, scelti, beati. La voce di padre Paul Hill riecheggia all’esterno della piccola chiesa, le vetrate brillano e vibrano illuminate dalle candele, al centro di una radura avvolta dai boschi umidi, profumati. Il suo carisma instilla il germe del fanatismo, settimana dopo settimana, dando a tutti il miracolo che aveva promesso, la scaramanzia trasformata in un biglietto della lotteria, vincente. Saremmo tutti devoti se fosse così, il crocifisso come una pignatta da battere per raccogliere favori, no? La comunità riprende vita, le strade tornano a mormorare, l’entusiasmo cambia il panorama, la luce, l’inverno diventa più mite. Ci si concede una passeggiata sulla spiaggia, dimenticando la sedia a rotelle su cui si era condannati, osservando il mare senza più vederlo come un muro orizzontale, invalicabile, dimenticandosi di quel mattino in cui aveva sputato a riva decine di gatti morti come fosse un avvertimento biblico. Il sole scalda e le notti sembrano meno spaventose, anche quando due occhi dorati sembrano scrutare nel buio, voraci, giudicanti. Il sole brucia e nella notte ci si nasconde senza più temerla, riscoprendosi figli delle tenebre. Tutti in coro, un cero in mano, un luminoso fiume di persone in cammino verso il proprio destino, intonando preghiere e generando un’onda di suggestione da cui ci si sente magneticamente attratti, coinvolti, come quei canti natalizi che riescono a smuovere anche l’animo di un ateo, diventando atmosfera più che religione.

La messa di mezzanotte, come fosse un particolare evento di festa, di quelli che ci si inventa nei piccoli paesi per spezzare la routine, trasformata in un rituale ambiguo, folle, deviato. Il sangue di Cristo come veleno per topi, la devozione mutata in ossessione per la vita eterna da fedeli avidi, regrediti a esseri primordiali, pronti ad affondare i denti nella carne del proprio vicino, travolti da una fame straziante. Apocalisse, dal tramonto all’alba in una notte di fuoco, una pira di desideri, pulsioni, rimpianti che ritornano polvere dispersa dalla brezza del mattino, cenere mescolata agli atomi che diventa nutrimento per qualcosa che sarà. Di Crockett Island rimane il ricordo, una forma di terra che affiora dal mare, nera, un monito da cui ognuno può trarre qualcosa, la nostalgia per averne vissuto la sua fine e non il periodo d’oro, quando la gente ci si trasferiva per trovare un rifugio dal caos, ricominciare. Immaginarsela reale, “tratta da una storia vera”, dalla quale sarebbe stato possibile ricevere cartoline.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata alle città di paura, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.