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Battle Royale e i manga di sopravvivere | Paperback

Paperback è la nostra rubrica in cui parliamo di libri e fumetti non legati al mondo dei videogiochi. Visto che per quelli legati al mondo dei videogiochi c’è quell’altra.

Da quando è cominciata la quarantena, ciascuno di noi ha cercato di gestire l’intrattenimento nei limiti dei propri gusti, delle proprie inclinazioni, e qualche volta applicando dei filtri ad hoc. Cè questo mio amico amante dei viaggi e delle esplorazioni selvagge, ad esempio, che per insofferenza verso tutto ciò che si sta perdendo là fuori, pratica solo spazi narrativi urbani, se non addirittura chiusi.

C’è chi non è in vena di roba claustrofobica in stile Alien, o più in generale di racconti horror, e dall’altra parte chi riesce a trarre addirittura conforto da questo genere di immaginario. Io appartengo decisamente a questa seconda categoria e da qualche settimana ho intensificato la mia frequentazione di scenari inquietanti. Per qualche ragione, leggere o guardare roba con gente incasinata per apocalissi vari mi rilassa.

Robe tipo Gyo, la pandemia secondo Junji Itō. Molto rilassante.

In particolare, sono andato abbastanza in fissa per tutti quei manga che prendono un gruppo di adolescenti, tipo compagni di classe o giù di lì, e li infilano in competizioni di sangue e giochi al massacro. Questo genere di racconti non nasce sicuramente in Giappone con i manga ma ha radici parecchio più antiche, addirittura ancestrali, e deriva probabilmente dal bisogno di descrivere a livello mitologico tutti quei riti di iniziazione verso l’età adulta; di chiudere in una narrazione sintetica tutta una serie di simboli e norme più o meno complesse.

Di solito, i conflitti in ballo ruotano attorno a relazione parricide e cannibali col mondo degli adulti, e alla necessità, da parte dei ragazzi, di venire a patti con sistemi di regole che implicano un controllo sull’istinto e sugli interessi individuali, a favore della sopravvivenza collettiva. Il giovane o la giovane di turno SI evolvono, in pratica, quando sono in grado di guadagnare il proprio posto nella società. Chiaramente, possono anche decidere di mandare tutto in vacca e retrocedere al livello di bestie, eh. In quel caso, tuttavia, nove volte su dieci saranno puniti dalle circostanze.

Ora, a livello narrativo, la bontà di una simile meccanica è evidente, sia per i metaforoni che si trascina dietro, ma pure per tutte le situazioni che è in grado di accendere con un minimo di immaginazione. Funzionava una volta, quando c’erano di mezzo i labirinti col Minotauro; funziona oggi negli horror, e riesce addirittura a non fare completamente schifo persino quando viene adoperate in certe saghe young adult tipo quella di Hunger Games o Maze Runner.

Ma non siamo qui per parlare di Hunger Games o Maze Runner, ma di come alcuni autori giapponesi, soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, si siano serviti di questo meccanismo per provare a mettere a nudo le idiosincrasie della loro società, riuscendoci in generale abbastanza bene, in un paio di occasioni addirittura egregiamente.

Ma vediamo di andare in fila. Come ho già ricordato nel mio articolo su Neon Genesis Evangelion, all’inizio degli anni Novanta il Giappone si trovò impantanato in una crisi economica molto profonda, la peggiore dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, che portò, tra le altre cose, a un forte sentimento di sfiducia nei confronti delle istituzioni, soprattutto da parte dei giovani. Questa sfiducia si trasformò a volte in depressione, a volte in rabbia, più frequentemente in entrambe le cose, e filtrò a pacchi nelle produzioni artistiche o pop. È senz’altro il caso del suddetto Neon Genesis Evangelion, in cui i vecchi hanno praticamente fatto collassare il pianeta e l’unico barlume di speranza brilla in una manciata di ragazzini nemmeno quindicenni; ed è pure il caso di Battle Royale, inteso come romanzo pubblicato nel 1999 ma scritto quattro anni prima dall’autore ventisettenne Koushun Takami.

Battle Royale racconta di questa ucronia in cui il governo della Repubblica della Grande Asia Orientale, cioè del Giappone, ogni anno pesca a sorte una classe delle medie e la costringe a prendere parte al cosiddetto Programma. I ragazzini vengono trascinati con l’inganno su un’isola deserta e costretti a combattere l’uno contro l’altro, fino a che, come diceva coso MacLeod, ne resterà soltanto uno.

Sorvegliato h24 e ricattatato attraverso il più classico dei collari esplosivi, ciascun concorrente ha diritto a qualche razione e a un’arma selezionata dal caso: se dice culo, ti becchi una mitragliatrice; se dice sfiga, lo scolapasta.

O un'ascia, metti.

In più, per evitare assembramenti troppo pacifici, gli organizzatori hanno diviso l’isola in quadranti che ogni tot. ore, progressivamente, si trasformano in “zone di pericolo”. Ti ritrovi nel posto sbagliato al momento sbagliato? Kaboom!

La trama del romanzo segue una di queste classi fortunate dall’inizio alla fine del gioco, concentrandosi in particolare su un gruppetto di personaggi guidati dal protagonista, Shūya Nanahara, e dalla mite ma energica Noriko Nakagawa. Ciò nonostante, Takami riesce a non perdere di vista la dimensione corale del racconto, dando un po’ di spazio a ciascuno studente, compresi quelli più problematici, e a sfruttare i presupposti di partenza per sviluppare diversi scenari interessanti, laddove le virtù dei protagonisti funzionano come positivo nel quale specchiare la progressiva degradazione morale dei compagni. Questo, però, senza mai far scordare al lettore che il vero nemico è il governo dei matusa.

Yonemi Kamon: anche se non insegna letteratura medievale, è il professore che ci si augura di non avere mai.

Il romanzo ottenne in patria un successo enorme ed è stato pubblicato anche dalle nostre parti, da Mondadori, su traduzione di Tito Faraci. Tuttavia, forse in molti ricordano soprattutto il manga omonimo, ricavato nel Duemila dallo stesso Takami, su disegni di Masayuki Taguchi, e il film diretto da Kinji Fukasaku, con Takeshi Kitano, nei panni del sadico insegnante che supervisiona la gara, e la giovane Chiaki Kuriyama, altrimenti nota come la Gogo Yubari di Kill Bill: Volume 1.

Oltre a beneficiare degli inevitabili sequel, Battle Royale ha portato in auge tra i mangaka il cosiddetto filone “survival” e nel corso degli anni sono uscite diverse opere concentrate attorno a gruppetti di adolescenti che si ammazzano a vicenda. A perdersi un po’ per strada sono state la carica politica e satirica dell’opera originale, a favore di riferimenti sexy, misteri in stile Lost, e soprattutto sistemi di regole sempre più complessi e volubili.

Detto questo, se avete già spolpato Battle Royale in tutte le sue versioni possibili e avete ancora voglia di quella roba lì, potreste prendere in considerazione il cupo Dragon Head, di Minetarō Mochizuki, pubblicato dalle nostre parti da Planet Manga. Oppure, sempre dallo stesso distributore, il metafisico quanto bizzarro Gantz, di Hiroya Oku.

Dragon Head si è guadagnato diversi riconoscimenti, tra cui il Premio culturale Osamu Tezuka.

Se poi siete di bocca buona e vi basta un po’ di sano intrattenimento, potreste continuare la deriva survivalista con lo scollacciatissimo Cage of Eden di Yoshinobu Yamada, seguito da Sky Violation (Tsuina Miura alla penna, Takahiro Oba alle matine), per chiudere in bellezza con l’irragionevole e divertentissimo As the Gods Will, scritto da Muneyuki Kaneshiro e disegnato da Akeji Fujimura, dal quale è stato tratto pure un film diretto da quel cannone di Takashi Miike. Buona lettura!

Quel daruma mattissimo.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata all’escapismo, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.