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Cinquant'anni fa, Atari | Racconti dall’ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

È arrivato il momento di esporsi: quando ero piccolino pensavo che Atari fosse una società giapponese. Eh sì, solo diversi anni dopo scoprii che si trattava di una company americana, e non nascondo che rimasi deluso della cosa, considerando quanto il Giappone nei primi anni Ottanta - anche grazie ai cartoni con i robottoni - mi aveva coinvolto.

Atari nasce nel 1972 (un anno prima del sottoscritto) grazie alle menti e alla lungimiranza imprenditoriale di Nolan Bushnell e Ted Dabney (che poi, chissà perchè, solitamente ci si ricorda solo del primo), in quel di New York. Possiamo dire senza grossi problemi che si tratta della società che ha avuto al quel tempo il ruolo principale nel far diventare il videogioco un fenomeno di massa, o comunque farlo uscire dai laboratori universitari dove gli studenti si divertivano tra oscilloscopi e schermi vettoriali.

Non a caso il primo coin-op di successo fu proprio un titolo Atari, Pong, videogioco leggendario di cui si narra che - nella sua prima installazione in un locale - il proprietario dopo qualche giorno chiamò Atari per segnalare che la macchina non funzionava: il problema, si scoprì, era dovuto alle troppe monete inserite, e il cabinato non riusciva più ad accettarne altre.

Parlare di Atari significa ovviamente per uno anziano me fare un tuffo nel passato non da poco. Non ho mai avuto sistemi casalinghi della società americana (e quindi per anni ho ignorato il crollo dell’industria del 1983 dovuto anche al mitologico E.T. per Atari 2600) ma ho praticamente vissuto in tempo reale l’incedere dei coin-op per tutti gli anni Ottanta. 

Come già detto in non ricordo più quale pezzo, il bar vicino al negozio di mio padre aveva l’ottima abitudine di mantenere aggiornata l’offerta videoludica cambiando cabinato quando usciva qualcosa di importante. Ne aveva uno solo, eh! Ma, porca miseria, ogni tot mesi mi ritrovavo l’ultima novità.

Ed è proprio lì che ho messo le allora scheletriche manine (sì, ero magrino) su tutti i principali videogiochi dell’epoca e - ovviamente - anche su quelli Atari. 

Quelli che ricordo con più affetto sono sicuramente Asteroids, Missile Command e Breakout, quest’ultimo nato non solo dall’idea di Nolan Bushnell che voleva a tutti i costi un gioco simile a Pong ma per un giocatore singolo, ma anche grazie a due personcine che qualche anno dopo avrebbero fondato la società della mela morsicata: mi rifersico ai due Steve, Jobs e Wozniak.

Da Atari in quegli anni sono passati diversi personaggi che hanno plasmato il mondo dell’informatica, e Jobs al tempo era un dipendente della società americana. Aveva proposto a Bushnell un’ottimizzazione dell’hardware da utilizzare per Breakout, e avuto l’OK dal suo capo ingaggiò Wozniak per realizzare fisicamente la scheda. La storia racconta che non solo Wozniak riuscì in un tempo brevissimo a progettare il tutto (Jobs gli aveva fatto credere che era molto urgente mentre - al contrario - Atari non aveva dato alcuna scadenza) ma che fu retribuito una miseria rispetto ai soldi incassati da Jobs perché quest’ultimo non gli svelò l’ammontare del compenso (eh sì, Jobs è sempre stato un po’, come dire, diversamente simpatico).

Un titolo che al tempo mi sconvolse ma che varie motivazioni non poteva essere installato nel bar a me caro (probabilmente budget ma sicuramente spazi occupati) era Battlezone.

Il futuristico simulatore di carri armati mi fu rivelato in una sala giochi che poteva permettersi cabinati top (cito come esempio solo Winning Run di Namco con mobile semovente) ed era per il tempo veramente impressionante

Il “cassone deluxe” di Battlezone prevedeva un vero e proprio periscopio nel quale il giocatore doveva guardare per trovare l’avversario. Il movimento del carro non era gestito da un semplice joystick, ma da ben due leve che agivano separatamente sui due cingolati del mezzo. Spettacolare. 

Purtroppo l’Atari dei primi anni ‘80, quella il cui logo campeggia nelle splendide panoramiche di Blade Runner, non riuscì a stare fitro all’evoluzione del mercato. Dopo il crollo del 1983 cambiò proprietà e si occupò principalmente di produrre hardware. Il suo ultimo vero successo è stato il computer a 16-bit Atari-ST, molto popolare tra i musicisti (al tempo era la macchina di riferimento grazie alle porte MIDI di serie) mentre pochi anni dopo - prima con Atari Lynx (console portatile distrutta dal molto meno tecnologico Gameboy) e poi con Jaguar (home console mai entrata nel cuore degli appassionati) 

Per me la storia di questa gloriosa società finisce qui, con la console a 64-bit e il suo bizzarro pad. Successivamente il marchio viene acquisito da Infogrames che lo trasformò in un distributore (il primo Test Drive Unlimited è stato pubblicato proprio da Atari) ma le cose non andarono come previsto e si manifestò il fantasma della bancarotta.

Scopro, proprio scrivendo questo pezzo, che ora come ora il nome di Atari è legato a una criptovaluta sulla quale, sinceramente, preferisco non approfondire. Atari rimarrà per sempre nel mio cuore per quello che mi ha offerto da bambino, e sicuramente rimarrà nel cuore del barista di allora per tutti i soldi che gli elargii.