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Art Attack e l'inganno della vita adulta

Ho sempre amato la TV per bambini. La guardavo quando ero il suo target, con Bim Bum Bam e Ciao Ciao, e ho continuato a guardarla crescendo, con l’Albero Azzurro (al quale, anni dopo, ho dedicato una canzone con la mia band dell’epoca, intitolata Perevisione). Quando è arrivato Art Attack, suonavo la batteria in una band hardcore, fumavo sigarette moddate, andavo in skate e avevo persino la ragazza. Eppure, quel programma per bambini lo guardavo tutti i giorni, dopo pranzo, svaccato sul divano, invece di studiare il modulo di Glottologia A per l’università.

Ai tempi, giustamente, non mi chiedevo nemmeno il perché. Lo facevo perché mi andava ed era un motivo più che sufficiente. I più maligni potrebbero attribuire il fenomeno alla natura dei materiali che utilizzavo per il modding delle sigarette ma, a ripensarci adesso, penso che ci sia qualcosa, nell’intrattenimento per bambini, che ci cattura anche da adulti. Forse la voglia di tornare bambini? No, perché a diciassette anni volevo solo sentirmi adulto, molto più di adesso che adulto lo sono, mannaggia a Muciaccia. Incidentalmente, era lo stesso periodo in cui molti dei miei compagni di classe stavano mollando i videogiochi, perché insomma, arrivati a una certa età, era ora di dedicarsi ad altro, un po’ come a dodici anni è giusto smettere giocare con le action figure delle Tartarughe Ninja. Forse, mentre guardavo Neil Buchanan che disegnava disponendo oggetti a caso, iniziavo a pensare che fosse un po’ un bidone, il fatto che esista una lista di passatempi approvati per chi ha superato la pubertà. Oggi credo direttamente che sia il più grande inganno della società. Quelli che rimpiangono l’infanzia, nella mia esperienza, sono gli stessi che se ne precludono i piaceri, o che per goderseli di nuovo hanno bisogno di architettare piani diabolici inutilmente complessi, come mettere al mondo un figlio per potersi di nuovo comprare i Lego senza sensi di colpa. Ma sto divagando.

Art Attack era ed è una figata perché era puro, pacato, gentile. Mentre esistevano interi programmi studiati per vendere statuette di plastica ai bambini e statuette di plastica di un colore diverso alle bambine, Art Attack non faceva nessuna delle due cose. Non differenziava il suo pubblico in base al sesso e promuoveva la fantasia e il fai da te. Credete forse che sia un caso che Giovanni Muciaccia indossasse sempre una felpa rossa? Art Attack, con il suo spirito anticonsumistico, era una forma di intrattenimento sovversivo. Lo so, sto tirando il concetto per i capelli perché l’esperimento mentale mi diverte, ma la sostanza non cambia. Art Attack ti insegnava a divertirti con poco, trasmetteva lo spirito del fai da te e soprattutto sottolineava sempre come l’importante fosse divertirsi nel fare le cose. Negli ultimi mesi, ho lanciato la mia trasmissione per bambini e bambine su Twitch, Bim Bum Ram, e ricevo quotidianamente tantissimi disegni bellissimi. Sono così potenti e rinfrescanti che mi hanno spinto a chiedere ai miei coetanei “Quando hai smesso di disegnare?”

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Tutti mi rispondono “Ho smesso perché non sono bravo a farlo”. Non è tristissimo? Viviamo in un mondo in cui ha senso fare solo le cose in cui eccelli, per le quali ottieni follow, e non le cose che ti fa piacere fare. Per esempio, io ballo malissimo, ma mi piace ballare e quindi ballo, a costo di fare la figura dello scemo. Probabilmente non diventerò famoso per i miei balletti, ma ogni volta che mi parte la voglia di muovermi a tempo di musica, ripenso al compagno Muciaccia e allo spirito di Art Attack, e muevo la colita. Sì, sì, sì.

Il messaggio era per i bambini, ma vale anche per gli adulti: dobbiamo fare cose perché ci va, divertirci e occasionalmente fare un tiro di abbondante colla vinilica.

Questo articolo fa parte della Cover Story "Disney Club", che potete trovare riassunta a questo indirizzo.