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ANIME D'ACCIAIO - The prequel

Gli anime robotici, detti impropriamente “mech-anime” o “mecha-anime” (qui trovate un approfondimento), rappresentano una forma unica di cultura popolare sviluppata quasi esclusivamente in Giappone. In realtà il termine comunemente in uso dagli appassionati è una contrazione stessa in “engrish” della parola mech (veicolo) ovvero “meka”. Questo termine, essendo quello più corretto etimologicamente, verrà utilizzato in questo articolo.

Da un punto di vista globale, e di temi portanti, lo sviluppo del Giappone di tecnologie robotiche umanoidi (e non solo) e tecniche di animazione associate ai medesimi, si distingue pressoché come unico e virtuoso esempio nel mondo moderno e anche del passato su questa specifica tematica. Anche se non sono mancati innumerevoli tentativi e cloni sparsi ovunque; c’è chi ricorda con una punta di nostalgia le mitiche Edizioni Bianconi e il loro Big Robot, ultima speranza dell'umanità, gigantesco ed invincibile robottone, guidato dall'intrepido giovane eroe Antares.

Alberico Motta, classe 1937, in ambito meka è da ricordare per essere stato il primo a disegnare un manga robotico italiano, ovvero Big Robot. Nelle sue storie, che pescano a piene mani dall'immaginario dei cartoni animati giapponesi, è ben riconoscibile l’ispirazione a serie di Go Nagai come Goldrake, Mazinga e Jeeg Robot d'acciaio.

L'anime robotico rappresenta il fil rouge o meglio, il raggio protonico che collega questi due rispettivi campi e ha influenzato i loro sviluppi vicendevolmente nel corso di mezzo secolo. L'anime robotico ha avuto un grande impatto anche da noi, trascendendo il semplice quadro della cultura di riferimento e dei giocattoli dei bambini esportati per influenzare i giovanissimi, e ben presto ha preso il posto che gli spettava di diritto nell’intrattenimento animato.

Potremmo dire, senza scandalizzare i puristi, che i robottoni nascono per precise esigenze commerciali, persino alcune serie anime meka furono progettate con il preciso scopo di far fiorire un’industria enorme che aveva urgenze di piazzare quanti più giocattoli (e, più tardi, modellini/model-kit/die-cast) ma ben presto raccolsero un consenso su vasta scala che non ha quasi precedenti. I cari e amati robottoni possono essere suddivisi in una varietà sterminata di forme e dimensioni, e la stessa animazione robotica può essere analizzata per cicli o temi portanti, o essere letta attraverso le peculiarità dei suoi autori, come Tomino o Takahashi o il collettivo Yatsude. Oppure possiamo distinguerla per filoni interni specifici come il teknomanshi o il genere real robot, oppure il popolare sottogenere definito super-robot.

Vi sono robot giganti e di dimensioni umane; robot dalle fattezze amichevoli e non, robot eroici e robot che sono veicoli, robot senzienti, robot inermi, robot automi ed eteronomi, robot che fanno la guerra o che sono divinità. Questa varietà è precisamente ciò che conferisce al genere robotico il suo fascino unico e decisamente poliedrico.
Una caratteristica chiave dei robot giapponesi è che non sono semplicemente macchine inorganiche, ma veri e propri personaggi delle opere che abitano, specialmente se ci concentriamo sul genere dei super-robot. Dal punto di vista del numero assoluto di produzioni e della durata complessiva di interesse popolare, le serie meka hanno rappresentato il fenomeno più grande del settore dell'animazione giapponese, dal 1963 al lontano 2000. Poi, come sempre accade, è stato inevitabile il destino di queste produzioni, con il mutare (in peggio, secondo chi scrive) dei gusti del pubblico, con il lento ma inesorabile abbandono di alcuni principi, il declino del genere robotico, e i costi insostenibili per la produzione di giocattoli in lega presso-fusa e molti altri aspetti. Ciò, tuttavia, non ha impedito ad alcune produzioni di colpire duro a distanza di anni, e attestare un certo fascino indistruttibile a questo genere, che sembrava ormai dimenticato.


Ma come esattamente si è sviluppato ed è cresciuto questo specifico settore dell’animazione?

Il mio ambizioso obiettivo, in questo articolo, non è solo rispondere a questa domanda attraverso una sequenza temporale degli anime robotici, ma provare a riassumere un genere che conta più di cinquecento produzioni, e fare una lunga chiacchierata, sperando di offrirvi una disamina quanto più precisa possibile, visualizzandola in relazione alla sua epoca e ai generi vicini, in modo da creare un’autentica panoramica di come i cambiamenti nella società, la tecnologia e i media giapponesi hanno influenzato in modo specifico e la cultura dell'animazione robotica in generale.

Non sarà un viaggio semplice, e conterrà inevitabilmente qualche riduzione, perché la tematica è molto complessa e andrebbe dibattuta attraverso una serie di focus specifici, tuttavia sono stimolato comunque dal provarci.
Ritengo, inoltre, che i motivi alla base della popolarità degli anime robotici giapponesi sia da inquadrare non solo tra un vasto pubblico di spettatori, ma sia necessario anche tracciare una relazione con i cambiamenti delle tendenze culturali e sociali giapponesi, la conoscenza del mondo anime, i giocattoli, la tecnologia e perfino la televisione.

È importante notare come nella stessa “preistoria" del genere già vi fosse un grande interesse popolare verso i robot in Giappone, specialmente prima della seconda guerra mondiale. Nel paese si era già sviluppato un interesse che, successivamente, creò la base per l'accettazione dei contenuti a tema che arrivarono in seguito.
Durante ed immediatamente dopo la guerra, potremmo dire, senza azzardare riletture sbrigative ed incorrette, che i robot erano già entrati nella mente di molti giapponesi, era dunque solo una questione di tempo prima che uscissero dalla “Fortezza delle Scienze”. Per analizzare correttamente il gigantesco boom degli anime robotici dei primi anni Settanta si devono prima comprendere diverse tendenze sociali chiave della fine degli anni Sessanta, che proverò a riassumere qui di seguito.
In quel decennio, il genere meka non esisteva ancora, ma si registrò l'ascesa dell'animazione televisiva. Nei favolosi e romantici anni Sessanta, il Giappone si era ampiamente ripreso dalla distruzione della Seconda Guerra Mondiale, ed era entrato in un periodo di rapida crescita economica. Un aspetto di questa nuova prosperità fu la diffusione di una tecnologia multimediale, allora all'avanguardia, tra la popolazione nipponica: la cara ed amata televisione.

Il 1° gennaio del 1963 segna la nascita degli anime serializzati in Giappone.

Tomiko Kawabata (attrice) siede nella sua macchina e ammira il suo nuovo televisore portatile con schermo a otto pollici, a transistor, che Sony ha messo in produzione in serie a Tokyo, il 5 gennaio del 1960. A partire dal 10 settembre 1960, cinque stazioni commerciali iniziarono le trasmissioni televisive a colori a Tokyo e Osaka. Il Giappone divenne la terza nazione al mondo ad avere la televisione a colori, dopo Stati Uniti e Cuba. Uno dei primi set di colori disponibili in Giappone è stato lo Sharp. Il modello CV2101 da 21 pollici costava all'epoca 500.000 yen. Ne vennero vendute solamente milleduecento unità, ma di lì a poco la televisione sarebbe presto diventata un bene di consumo ampiamente diffuso nel paese.

Quello fu il giorno in cui fu trasmesso il primo episodio di trenta minuti di Tetsuwan Atom, di Osamu Tezuka (letteralmente "Mighty Atom", alias "Astro Boy"). Un successo a dir poco immediato di critica e pubblico che diede il via all'era dell'animazione prodotta in serie, con un gran numero di società di produzione, sia nuove che vecchie, che si gettarono nella mischia nella produzione. A questo punto delle nostra storia, gli spettacoli televisivi, di cui ho parlato abbondantemente nello speciale a tema Ultraman, che potete trovare qui, erano generalmente incentrati su eroi di dimensioni umane più simili a ibridi che ai veri e propri robot.

Questa marcata tendenza ha giocò un ruolo importante nel dare forma allo sviluppo della cultura anime giapponese. Il successo di Atom inaugurò numerosi spettacoli con protagonisti robotici, tra cui Tetsujin 28-gō (letteralmente "Iron Man No. 28", trasmesso negli Stati Uniti come Gigantor) e 8 Man ("Tobor l'ottavo uomo").
In altre parole, i robot hanno contribuito nettamente a costruire la reputazione del Giappone come superpotenza degli anime televisivi, i primi anime che nacquero erano antenati dei robottoni in sostanza. Ci tengo a dedicare un breve passaggio sulla serie TV Tetsujin 28-gō, basata su un fumetto di Mitsuteru Yokoyama ed incentrata su un giovane protagonista che pilotava un enorme robot con il telecomando. La trama di Tetsujin 28 è alquanto esemplificativa per comprendere alcuni aspetti dell’interpretazione meka di quegli anni.
Il padre di Shotaro - il protagonista dell’anime - era uno scienziato imperialista del Sol Levante che aveva creato questo enorme robottone per scatenarlo sugli americani, responsabili delle tragedie di Hiroshima e Nagasaki. Ma poi il suo cuore, colmo di vendetta, si ferma, e il suo robot rimane inerte per molti anni.
Il figlio, molti anni dopo "erediterà" dunque il colosso metallico (Testujin 28) ma lo userà per altre motivazioni, assai più frivole, ma anche infinitamente più “umane”.
È interessante notare come la generazione successiva di questi “Hiroshima Boys” avesse ormai dimenticato l’odio che corrompeva quella precedente.

Sia Atom che Tetsujin furono e sono, a tutti gli effetti, gli antenati di tutti gli spettacoli di anime con robot giganti. Erano già stati i migliori titoli di successo della rivista di fumetti/manga settimanale Shonen, di Kobunsha, e lo furono per dieci anni consecutivi rendendo la creazione di serie animate una necessità quasi impellente, nonché un investimento decisamente sicuro. Gli anni Sessanta segnarono anche la corsa allo spazio dando il massimo risalto a questi aspetti presso la cultura giapponese, da sempre affascinata dalle tecnologie stellari e spaziali. Il pubblico abbracciò la scienza dell’epoca come un percorso verso la prosperità e la felicità, inaugurando un'era di rapido sviluppo industriale ed ottimismo sfrenato. Sebbene oggi l’uomo moderno veda i fumaioli neri che fuoriescono delle fabbriche come un costante pericolo per la propria salute e quella pubblica, negli anni Sessanta i cittadini giapponesi li celebravano come un simbolo di prosperità in film popolari come Kemuri no Ōsama ("Il re del fumo"), di Hajime Tsuburaya.

La stessa locandina di Kemuri no Ōsama, con tanto di fumaiolo colorato in un tranquillizzante arancione, mostrava un’idea romantica della fabbrica e della realtà aziendale dell’epoca. L’ambientazione del film è un'area metropolitana di Kawasaki City vicino al complesso di fabbriche.
Il tono della pellicola era chiaramente drammatico, aveva persino una sorta di critica al sindacato dell’epoca, ma conservava nell’epilogo, un’ottimistica speranza per il futuro del paese.

Nel 1964, l'anno dopo il debutto di Tetsuwan Atom, a Tokyo si svolsero le Olimpiadi.
Ciò richiese un rapido investimento in infrastrutture, il ritmo della vita aumentò esponenzialmente man mano che venivano costruite le autostrade e il Tokaido Shinkansen (Bullet Train) si aprì al servizio pubblico. Lo skyline di Tokyo cambiava ogni mese con la posa di nuove strade e gli edifici salivano a un passo febbrile, mentre le tradizionali abitazioni di legno venivano abbattute e le strade di ghiaia asfaltate.
Tokyo si trasformò rapidamente in una metropoli di cemento ed acciaio; in quest’era di avanzamento apparentemente infinito, i robot umanoidi emersero come fulgidi simboli del progresso scientifico raggiunto dal paese. La stessa città di Tokyo si stava trasformando a un ritmo che si potrebbe definire a dir poco robotico.

Gli animatori progettarono personaggi dai corpi eleganti e luccicanti, evocando le nuove strade pulite, i treni ad alta velocità e i grattacieli che stavano sorgendo intorno ai loro piccoli studi. I primi spettacoli di robot furono profondamente influenzati da un folclore moderno, dal potenziale scientifico che pareva illimitato, e l’animazione televisiva si adattava perfettamente a quel particolare momento storico, rappresentando un futuro in cui la scienza avrebbe reso la vita migliore per tutti. A differenza dei manga, stampati in bianco e nero su carta ruvida, gli anime venivano dipinto su fogli di plastica chiamati cell, che dava loro una lucentezza brillante, seducente, che evocava tecnologie all’avanguardia e - quando proiettati sulla lastre di vetro - accentuavano ancora di più il luccichio dei personaggi. Per i bambini, in gran parte ancora poveri, questo “aspetto pulito” brillava come una freccia puntata verso un futuro di pace, speranza e tranquillità economica.

Le telecamere di Kon Ichikawa (The Wanderers, The Inugami Family, Princess from the Moon) seguirono da vicino le Olimpiadi estive del 1964 nel documentario Tôkyô orimpikku; dall'apertura alla cerimonia di chiusura dei giochi. Concentrandosi sugli spettatori, il regista mostra un certo virtuosismo, a volte isolando con il suo occhio meccanico un atleta sotto sforzo e pressione; altre volte quello che gli interessa è un primo piano di muscoli quando viene lanciato un martello o sollevato un bilanciere. Tra vittorie, sconfitte e pianti di gioia o di disperazione, il film celebra la nobiltà di atleti che si spingono al limite.

I primi anime per la TV furono genuinamente alimentati da un'enorme quantità di contenuti provenienti dalle riviste settimanali e mensili per bambini, che diedero il via ad un’autentica "luna di miele" di reciproca cooperazione e prosperità, che ancora oggi è fortissima. Ma questo non rappresentò in alcun modo il decollo degli anime meka, per niente!.
Tetsujin 28-gō rimase a lungo un successo ampiamente circoscritto, un autentico “solista” del genere, e non c'era traccia di un successore all'orizzonte sulle prime, nonostante molti affermino il contrario. Tuttavia, alla fine degli anni Sessanta, emerse un cambio di paradigma importante che avrebbe soffiato autenticamente vita nel genere anime robot, rappresentando la prima vera sfida al successo dell'industria anime nel suo insieme: il debutto dell'azione denominata live-action, ovvero gli spettacoli televisivi con effetti speciali incentrati su eroi giganti, mostri kaiju e veicoli dell'era spaziale. Conosciuti globalmente come "tokusatsu" (abbreviazione di "tokushū satsuei", o "effetti speciali" in giapponese), questi show gettarono le basi degli eroi robotici animati degli anni settanta.

L'emergere di questi eroi mascherati, kaiju e naturalmente veicoli, come veri e propri oggetti del desiderio dei bambini favorì ulteriormente il successo degli anime robotici degli anni Settanta. Nelle prime fasi del business che stava nascendo, l'anime e il manga venivano trattati come materiale di riferimento primario, mentre i prodotti decorati con i personaggi o il logo di un determinato spettacolo svolgevano un ruolo nettamente secondario. Tuttavia, il paradigma "kaiju-hero-veicolo" infranse questo semplice modello basico. I primi stimoli di interesse per i mostri di kaiju emersero in un film per la TV chiamato Ultra Q.

Ultra Q (Urutora Kyū) è una serie tokusatsu realizzata nella tradizione dei numerosi film di fantascienza/horror di Toho. Prodotto in bianco e nero da Tokyo Broadcasting System (TBS) in collaborazione con Tsuburaya Productions, fu trasmesso dal 2 gennaio al 3 luglio 1966 (l'ultimo episodio andò in onda il 14 dicembre 1967), per un totale di ventotto episodi. Sebbene il creatore, Eiji Tusburaya, desiderasse una serie più simile a The Twilight Zone, TBS lo convinse ad aggiungere più mostri poiché Godzilla e Gamera erano molto popolari. Ultra Q precede di dozzine di anni The X-Files con personaggi fissi che indagano su strani fenomeni soprannaturali, siano essi mostri giganti, alieni, fantasmi o altre calamità.

Creato da Tsuburaya Productions ed ideato dalla leggenda degli effetti speciali Eiji Tsuburaya, Ultra Q rimane la pietra angolare del genere Toku. Prima i film mostruosi avevano il totale dominio nei cinema nipponici. Ora invece erano disponibili nei salotti di tutto il Giappone. Nel Luglio del 1966 Tsuburaya ideò un successore visivamente migliorato chiamato Ultraman, in cui un eroe di dimensioni giganti liberava il Giappone dal primo kaiju gigante usando il suo specialissimo, “Specium Ray”.
Come una sorta di combustibile spaziale, Ultraman innescò una vera e propria mania dei kaiju tra i bambini giapponesi. Ogni spettacolo presentava lo stesso fortunato schema: appariva un nuovo mostro gigante, l'eroe e i suoi veicoli di supporto lo affrontavano e, alla fine, lo sconfiggevano con una mossa speciale assai riconoscibile.

L'idea di Ultraman è nacque quando tre diversi concept pitch su cui Tsuburaya e Kinjo stavano lavorando per TBS si fusero insieme. Il primo, noto come WoO, era una serie simile a Doctor Who sulle avventure di una giovane ragazza e di un mostro dall'aspetto divertente e con grandi occhi. Il secondo era Scientific Special Search Party: Bemular, che seguiva da vicino le avventure di un gruppo chiamato Science Patrol che si travestiva da squadra di arte e fotografia di giorno, e seguiva mostri e alieni di notte. Infine, Redman, un supereroe più simile a Devilman che a Superman, un gigante cornuto che dava la caccia ad alieni malvagi responsabili di aver distrutto il suo pianeta natale.

Questa routine si consolidò, ben presto, nello standard di fatto per la programmazione di eroi in Giappone e rimane ampiamente usata ancora oggi, rappresentando uno stile che vanta ben poche imitazioni nel mondo, oggigiorno.
L'era post-Atom era stata inoltre l'età d'oro degli eroi di fantascienza sebbene di dimensioni ridotte. La maggior parte delle produzioni pomeridane per il giovane pubblico era incentrata sui bambini che usavano superpoteri o super-armi spaziali per superare sfide, risolvere crimini e contrastare i proverbiali cattivi (spesso bande di malfattori o criminali). Questi spettacoli rappresentavano aggiornamenti di grandi classici dei manga come Kaijin Nijū Mensō (The Fiend With Twenty Faces) e Gekkō Kamen (Moonlight Mask), rielaborati però con ragazzi avventurieri e detective e privati di ogni aspetto violento o controverso.

L'improvvisa apparizione di Ultraman però, rese obsoleti questi live-action praticamente da un giorno all'altro, detronizzandoli completamente nell’immaginario collettivo dei giovani giapponesi teledipendenti. Ultraman, dunque, rappresenta il solo e unico punto di partenza per capire l’avvento degli eroi giganti nell'anime e nel genere tokusatsu: una tendenza che ha continuato senza sosta per più di quarantasette anni. Il motivo per cui questo reciproco rapporto funzionò è dovuto anche ad un’altra produzione televisiva mecha-centrica: Thunderbirds.

NHK (famosa emittente nipponica) iniziò a trasmettere episodi localizzati della popolare serie di fantascienza britannica di Gerry Anderson nel remoto 1966, fornendo un'altra potente influenza agli anime di robot giapponese, un importante asset.
In Thunderbirds i personaggi erano rappresentati tramite l’utilizzo di marionette a filo (magnificamente rese vive) ma i loro veicoli ad alta tecnologia adoperavano effetti speciali basati su miniature e diorama straordinariamente dettagliate. Prima che la serie di Anderson ipnotizzasse migliaia di giovani giapponesi, si era celebrato il ventesimo anniversario della fine della guerra nel Pacifico. Questo avvenimento inaugurò un boom mondiale per i drammi televisivi che si concentravano su guerre e conflitti; un gran numero di film e drammi televisivi vennero prodotti sia in Giappone che all'estero, e le riviste giapponesi per bambini e di modellismo, pullulavano di inserti speciali con illustrazioni di veicoli bellici e militari. I model-kit in plastica dello Zero Fighter e della corazzata Yamato andavano letteralmente a ruba dagli scaffali dei negozi; i modelli di carri armati militari, aerei e navi, ognuno con il suo distintivo design che rispecchiava quello delle rispettive nazioni, furono commercialmente un terremoto per le finanze di genitori e nonni, nonché - sebbene indirettamente- un'altra delle radici del genere anime robot, sebbene alla lontana.

Detto questo però, gli armamenti della Seconda Guerra Mondiale rappresentavano disegni classici e antiquati, e oltretutto venivano usati per uccidere essenzialmente esseri umani. Thunderbirds ribaltò questo dilemma etico e morale fornendo a queste armi l’aura di ”veicoli di salvataggio" non esclusivamente bellici.
Stimolavano l'immaginazione come esempi di progressi scientifici all'avanguardia al servizio del bene, della natura, e dell’ecologia, non come veicoli guerrafondai.
I Thunderbirds presentavano veicoli numerati da uno a cinque, ciascuno ottimizzato per una missione diversa e con silhouette assai distintive.

Thunderbird 1 era un aereo a razzo ipersonico con un meccanismo ad ala oscillante, presentava un primo sistema di "trasformazione" per certi versi. Thunderbird 2 era un aereo da trasporto pesante equipaggiato con container rimovibili e rappresentava un primo sistema di "combinazione".
Questi elementi di "trasformazione/combinazione" rappresentarono le radici e gli espedienti che saranno poi utilizzati con grande efficacia nei successivi spettacoli di anime robot giapponesi. Thunderbird 3 era usato per i salvataggi spaziali; Thunderbird 4 per operazioni subacquee ed infine Thunderbird 5 come satellite di raccolta di informazioni sull'orbita terrestre.

I bambini afferrarono immediatamente la logica delle funzioni, dei Thunderbirds a differenza degli adulti che invece li ritenevano variazioni belliche di scarso valore. Uno dei veicoli secondari dello show, una macchina dotata di trapano a trivella chiamata Jet Mogura (La talpa), affascinò talmente tanto i giovani spettatori da superare la popolarità dei modellini militari, eclissando ogni modellino come vendite.

Thunderbirds è stato rivoluzionario anche dal punto di vista delle prestazioni visive che offriva, e del racconto in essere. Le macchine di salvataggio erano state costruite da un ricco filantropo e nascoste su un'isola remota; i piloti salivano a bordo dei loro veicoli usando elaborati percorsi meccanizzati che si collegavano segretamente ai rispettivi alloggi privati. Le estese sequenze di lancio della base segreta hanno posto al centro dell'attenzione dei piccoli spettatori i veicoli, non solo i personaggi, e quest’idea vincente sarà la base concettuale nel decennio successivo degli anime meka. Apparendo in quasi ogni episodio e spesso prendendosi un solido minuto o più, queste estese scene rappresentavano letteralmente la fantasia: le fantastiche macchine che si lanciavano da lunghe passerelle fiancheggiate da palme, o emergevano da boccaporti nascosti sotto piscine o pareti rocciose erano incredibili. Queste sequenze di lancio, per quanto riciclate da filmati di repertorio, sarebbero state ampiamente incorporate concettualmente anche nel genere dei super robot, molti anni dopo.

Nacquero, negli anni successivi, dozzine di spettacoli su questa falsariga, tra cui anime, Tokusatsu e show di marionette, tutti collettivamente chiamati "Manga TV".
L'elemento mostri-e-macchine però rese i tokusatsu spettacoli così riusciti da rappresentare paradossalmente un tallone d'Achille per la tecnologia anime dell'epoca. Tutto quello che usciva dai tokusatsu sembrava infinitamente più reale della controparte animata che conservava un aspetto lucido e plastico seducente, ma che appariva come fin troppo finta per lo smaliziato pubblico dell’epoca.
Negli anime, i dettagli erano stati semplificati parecchio per aumentare l'immaginazione e la potenza stessa delle storie, ma a spese della fisicità, del realismo e della presenza scenica. Invece, le superfici dei mostri kaiju erano irregolari e complesse, con occhi minacciosi e bestiali, corna e zanne e persino capelli: tutti elementi che davano alla loro presenza fisica un senso di realtà organica e tangibile e all’epoca questo aspetto fu di primaria importanza.

Ultraman 1966/2021 - Una comprazione che permette di realizzare come i kaiju non abbiano mai perso del tutto la loro fisicità nello show (Neronga/Gobora/Ultraman)

Allo stesso modo, le macchine Thunderbirds presentavano hardware realistico come motori funzionanti e un carrello di atterraggio retrattile; avevano anche una plancia comandi realistica, segni di agenti atmosferici dovuti all'esposizione agli elementi.
Tutto si riduceva, in poche parole, ad una consistenza che era a dir poco magnetica.
I bambini lo richiesero a gran voce nel loro intrattenimento e dimostrarono di preferirlo di gran lunga. È questa, sommariamente, la chiave per comprendere il boom degli anime robot giganti degli anni Settanta. Negli anni Sessanta, Tetsujin 28-go & Tetsuwan Atom avevano bisogno di un ulteriore innesto per catturare il pubblico, un passaggio fondamentale: assumere le caratteristiche Toku nel loro DNA e perdere alcuni aspetti che li avevano fino ad ora contraddistinti. I primi anime avevano robot giganti pilotati da ragazzi che utilizzavano un sistema di controllo remoto, ed entrambi i robot presentavano occhi simili a umani con pupille distinte, che spingevano subito ad empatizzare con loro. Queste due speciali caratteristiche chiave dell'intrattenimento robot degli anni Sessanta sarebbero state completamente abbandonate dagli spettacoli di robot degli anni Settanta. Per capirlo, dobbiamo però fare un passo indietro.

Nel 1969, il programma Apollo, progettato per costruire il prestigio nazionale per gli Stati Uniti durante la guerra fredda, fece sbarcare con successo l’uomo sulla luna.
L'anno seguente segnò l'apertura della prima esposizione internazionale su larga scala del Giappone, a Osaka, dal tema "Pace e prosperità per l'umanità", si formarono enormi code mentre i visitatori facevano la fila per vedere un campione di roccia lunare.
Eppure questo momento rappresenterà paradossalmente anche la fine dell'era della promessa scientifica sfrenata. Contrariamente alla ritrovata prosperità del Giappone, la minaccia del conflitto nucleare mondiale tra le superpotenze orientali e occidentali iniziò a minacciare l’irriducibile ottimismo giapponese; l'America si trovò sempre più impantanata nella guerra in Vietnam e anche in Giappone, la modifica del trattato di sicurezza USA-Giappone scatenò un forte conflitto politico e sociale, poiché i bambini del dopoguerra, ora diventati adulti, lanciarono un movimento di protesta fermo e deciso contro la guerra. Le grandi industrie che avevano sostenuto la rapida crescita economica del Giappone ora erano in crisi; era necessario fare tesoro del passato ma proiettarsi oltre. Le aziende erano non erano più così benvolute: se inquinavano, erano nemiche del popolo.

Se pensavate che l’Esposizione Universale di New York del 1939 e del 1964 fossero impressionanti, Osaka nel 1970 ridefinì completamente il concetto. Il tema dell'Expo era "Progresso ed armonia per l'umanità", e un totale di settantasette paesi vi partecipano, inclusi Stati Uniti e Unione Sovietica con oltre sessantaquattro milioni di persone presenti, rendendolo è una delle esposizioni più grandi e frequentate della storia.

I primi anni Settanta segnarono un'altra tappa nell'evoluzione dell'animazione robotica ma prima che questo avvenisse è necessario specificare alcuni passaggi. Il 1971 segnò una continua mania per i manga sportivi, detti “spokon” e quello che ora per gli appassionati è noto come “Il secondo boom del kaiju".
Quest'ultima tendenza fu incentrata su spettacoli popolari che mostravano eroi giganti, come Spectreman e Ultraman Returns, ma la vera star dell’epoca fu un eroe morphing a dimensioni umane chiamato Kamen Rider, creato da Shotaro Ishimori.

Ishinomori posa con i sette leggendari Kamen Riders dal 1971 al 1984, nello specialone Ten Kamen Rider of the Showa pubblicato da Kodansha il 21 novembre 2014.

Queste caratteristiche portarono ad un nuovo inevitabile sviluppo parallelo nel genere: gli spettacoli televisivi, che agivano come veicoli per le vendite di giocattoli per i giovani bambini dell’epoca e una tendenza della "motorizzazione", ovvero la diffusione su larga scala di auto e moto in Giappone. Quest’immagine di robot come veicoli guidabili essenzialmente si dimostrò irresistibile per una nuova generazione di giovani spettatori; e fu anche responsabile di aver dato il via a un boom henshin (morphing) che sarebbe poi diventato il mainstream della cultura pop nipponica.

“Adesso posso comprare anche io la moto di Kamen Rider”.
Le Rider Machines (Raidā Mashin) sono veicoli che fungono da mezzo di trasporto principale per i Kamen Rider. Assistono anche il Cavaliere in battaglia, di solito durante i combattimenti su strada o per catturare i nemici troppo veloci per inseguirli a piedi. Durante l'era Showa le Rider Machine erano principalmente motociclette prodotte dalla Suzuki. Anche se ci sono stati momenti in cui altre società, con i loro veicoli, hanno fatto la loro apparizione, inclusi i cicloni rimodellati Honda in Kamen Rider e la V-Machine prodotta da Harley-Davidson.

In Kamen Rider si trova anche un simbolo chiave dello zeitgeist degli anni Settanta: l'apparizione di una misteriosa organizzazione chiamata Shocker come antagonista dello spettacolo tv. La società occulta Shocker può essere vista come una metafora dei mali perpetuati dalle industrie durante l'alta fase di crescita del Giappone. In effetti, nella serie a fumetti originale di Kamen Rider, utilizzata come base per lo spettacolo, la Shocker è in realtà descritta come un ramo ombra del governo giapponese.
Le grandi imprese erano state trattate con grande rispetto negli anni Sessanta, ma dagli anni Settanta erano state percepite come colpevoli di tutto ciò che era sbagliato nella società nipponica. Questo cambio di valori ha influenzato anche il settore televisivo.

Il Great Leader della Shocker, acronimo di “Sacred Hegemony Of Cycle Kindred Evolutional Realm”; parliamo di nazisti ossessionati dalla creazione di soldati cyborg per minare i governi del mondo e assumere il ruolo di unica autorità totalitarista sul pianeta. Vogliono governare attraverso la paura, minacciando, terrorizzando e corrompendo tutti coloro che si oppongono ai loro diabolici piani. Negli anni Settanta si verificarono 9.840 atti di terrorismo che causarono oltre 7.000 vittime nel mondo. Alcuni cinicamente parlarono della “Golden Age del Terrorismo”; Kamen Rider sfruttò questa paura sociale piuttosto diffusa in maniera non troppo difforme dall’idea adottata dal leggendario Ishiro Honda (Godzilla), cercando di disinnescarla e renderla innocua agli occhi del giovane pubblico.

Gli spettacoli per bambini degli anni Sessanta, serie anime incluse, erano generalmente supportati da singoli sponsor nazionali come aziende alimentari di dolciumi, caramelle, snack o bevande. Tuttavia, questo sistema di sponsor unico aveva drasticamente limitato il loro contenuto, rendendoli per forza di cose molto infantili. I fondamenti stessi della programmazione televisiva degli anni Sessanta, come spettacoli di varietà o programmi di quiz che offrivano premi come nuovi elettrodomestici oppure un anno di fornitura di un determinato prodotto, iniziarono rapidamente a perdere il favore negli anni Settanta. A questo punto la nazione era certamente emersa dalla povertà del dopoguerra proiettandosi in una diffusa mentalità da classe media; il concetto di prodotti di consumo come un sogno irraggiungibile (un sogno rafforzato dal loro aspetto come premi ambiti negli spettacoli di giochi televisivi) aveva lasciato il posto al consumo come un mero fattore abitudinario della vita quotidiana. Questi cambiamenti nella società hanno portato il modello di business della produzione di anime al suo centro; la scomparsa degli sponsor nazionali per le serie di anime ha avuto gravi conseguenze per la sopravvivenza del business stesso.

In sinergia con la popolare serie televisiva Kamen Rider, questo snack prodotto dalla Calbee/Ishinomori, innescò un autentico boom nella raccolta di carte da collezione che si trovavano al suo interno.

Gli anime meka sono emersi da questo crescente senso di crisi e disincanto.
Kamen Rider, del 1972, aveva quindi influenzato profondamente l'industria dell'animazione. Il suo stesso format - in cui un'organizzazione malvagia inviava nuovi minion che venivano a loro volta sconfitti dall'eroe settimana dopo settimana - divenne rapidamente anche la formula standard dell'industria degli anime.
L’idea funzionava egregiamente, faceva risparmiare tempo agli animatori, permetteva di utilizzare le stesse scene, era un consolidamento narrativo che si esprimeva con estrema chiarezza e permetteva infinite evoluzioni della serie, a cominciare dall’introduzione di molti più modelli sul mercato.

A un occhio attento non può sfuggire una certa somiglianza tra questa presentazione e un certo alieno rosso e argento

Il primo spettacolo anime che utilizzava la formula in realtà non presentava alcun robot, era una serie TV del 1972 basata sul manga di Go Nagai Devilman, di cui ho già parlato in maniera più che esauriente.

Quel novembre debuttò anche un'altra famosa serie di anime: “Kagaku Ninjatai Gatchaman” (Science Ninja Squad Gatchaman/La Battaglia dei Pianeti), una fusione di un’antica leggenda giapponese ninja e fantascienza chic. Ispirata a una serie live-action dei primi anni Sessanta chiamata “Ninja Butai Gekko”.
Gatchaman
presentava una squadra di cinque adolescenti che si trasformavano in supereroi per combattere mostri-robot giganti e nemici di varia natura. Il suo successo ispirò legioni di imitatori sia nell'industria anime che in quella tokusatsu, dando vita alla serie di spettacoli del genere "Super Sentai" (vedi i Power Rangers).
Gatchaman rappresenta una delle serie anime più importanti ed influenti della cultura pop giapponese di sempre.

A questo punto state iniziando a realizzare quanto e in che misura, una serie di elementi storici, sociali e culturali è stata fondamentale nel genere robotico, autentico humus, obiettivo che volevo ottenere con questo lungo e dettagliato dossier.

Un altro segno distintivo degli anni Settanta è l'adozione diffusa della televisione a colori. L'ultima serie di anime in bianco e nero, “Chingo Muchabe”, andò in onda nel 1971. Nel 1972 ogni serie di anime veniva prodotta a colori. Lo studio anime Tatsunoko Productions ha avuto particolare successo nel creare contenuti adatti a questa nuova era di tutti i colori, a partire dal suo Animentari Ketsudan ("Ani-documentary: The Decision"). Oltre alle nuove tecnologie per migliorare sensibilmente le animazioni, lo studio introdusse una serie di effetti speciali nella sua animazione cell, incluso l'uso di spugne e pennelli per conferire alle scene un reticolo più ruvido ed aerografi per le gradazioni di colore. Ciò permise loro di dare alle armi una lucentezza realistica del metallo e migliorare le esplosioni per un effetto drammatico, e persino ritrarre proiettili traccianti. L'effetto fece semplicemente esplodere l'animazione.

Gli effetti d’animazione di Gatchaman erano, per l’epoca, veramente incredibili, utilizzavano persino la tecnica rotoscopica con nuove incredibili soluzioni artistiche.

Gatchaman ha rappresentato la prima serie di fantascienza a cui Tatsunoko ha applicato le sue tecniche d’animazione all'avanguardia. Questo ha segnato l'inizio dell'era d'oro dell'animazione, poiché la qualità, il realismo e la pura presenza di eroi animati e dei loro gadget, superavano per la prima volta quella del genere tokusatsu.
Questi progressi non si sono verificati nel vuoto panoramico come alcuni credono erroneamente. Il rapido cambiamento è stato innescato da una serie di fattori tra cui spettacoli tokusatsu come Ultraman e Thunderbirds, cambiamenti nelle riviste settimanali per bambini, e anche una crescente turbolenza nella società in generale, che ha drammaticamente alimentato le richieste di affari competitivi tra le varie aziende. Questa evoluzione dell'intrattenimento, sia anime che tokusatsu, procedette al passo con lo sviluppo mentale e fisico di quelli che venivano chiamati “spettatori per la TV dei bambini" ovvero la prima generazione di giapponesi, legata fin dalla loro infanzia alla televisione. I cambiamenti nell'intrattenimento sono stati guidati in larga misura dai cambiamenti in questa fascia demografica mentre invecchiava; la stragrande maggioranza dell'attuale collettivo giapponese di migliori creatori ed autori, ormai sessantenni e settantenni ha senza dubbio vissuto quest’evoluzione in tempo reale.

Le tecniche di animazione di Tatsunoko Production firmarono diverse serie anime leggendarie che ne fecero un ampio uso, come Kyashan Il ragazzo androide, Hurricane Polymar, Time Bokan, oppure Fortezza Super Dimensionale Macross

Le tendenze di cui sopra conversero in una serie chiamata Mazinger Z, che stabiliva un processo che avrebbe prodotto molti nuovi spettacoli di anime robot negli anni successivi. Il predecessore di Mazinger Z, Tetsujin 28-gō, stabilì il concetto di una serie incentrata su un eroe robot gigante ma dovevano cambiare alcune cose.
Il genere anime robotico, che include successi di lunga data come Mobile Suit Gundam (qui un approfondimento), vanta il successo più lungo e le produzioni più originali di qualsiasi genere nel settore degli anime, ma il successo di questo modello di business può essere fatto risalire direttamente al 1972, con la trasmissione della serie televisiva Mazinger Z, basata su un manga piuttosto popolare di Go Nagai. Inutile provare a riassumere ciò ha rappresentato e che già è stato scritto in dozzine di articoli che mi hanno preceduto. Lo spettacolo ha segnato senza alcun dubbio l'alba dell'era degli anime meka. Gō Nagai introdusse una nuova consapevolezza dell’era della tecnica, gli anni Settanta, una razionalizzazione conscia, e al contempo, una riduzione del gigante di ferro a vera e propria macchina scientifica, inerte e controllabile, al servizio dell'uomo, per difenderlo dalle minacce esterne, non interne come quelle del padre di Shotaro.
Se il primo robot era nato sostanzialmente per un senso di rivincita, un insoddisfatto sentimento corale del popolo giapponese contro i nemici, questa nuova consapevolezza cambia la prospettiva di tutto: il robot deve difendere la razza umana da nemici esterni ed alieni.

Si potrebbe anche costruire un valido paradigma etico/sociale sul Giappone di quegli anni turbolenti. Se il Toku serve per far dimenticare gli orrori della guerra; ed i primi esemplari robotici non ereditano un sentimento di vendetta di un’altra generazione, Nagai utilizza il suo golem di ferro per razionalizzare il proprio tempo.
Il Mazinger Z, però, fonde nuovi caratteri, a differenza dei robottoni precedenti. Prima di tutto scompaiono gli occhi umanizzati. I super-robot di Nagai dimenticano quello che all’unanimità consideriamo lo specchio dell'anima, dove i suoi predecessori, invece, cercavano un appiglio con il giovane pubblico proprio grazie alla rappresentazione degli occhi. Nagai, invece, porta alla forma massima la macchina che, per servire l'uomo, deve diventare minacciosa, temibile, potente, deve dimenticare l’uomo, deve solo servirlo.
Anche Hideaki Anno applicherà la stessa idea, fondamentalmente, gli Eva (ne abbiamo parlato qui) non sono altro che figli mostruosi dell'ottica nagaiana. L'Hove Pildler si posiziona nel cervello della macchina, non nel suo busto o in una gamba, ma sulla sua cima. L'Hove è - de facto - il cervello dell'uomo che si inserisce al suo apice e permette di comandarlo. Nagai è l'uomo che ha portato il linguaggio di cose inermi; che forse sarebbero scomparse se non opportunamente rivitalizzate, concettualizzate ed adattate. Il cartone del super robot, quindi, si distingue e si configura: non racconta l'automatismo controllato - tramite telecomando o telepaticamente - ma attraverso il pilotaggio.

Il modo di Go Nagai di stare in quel mondo e di raccontarlo con leggi tutte sue ed una grande perizia di fondo, la sua indubitabile abilità di concepire e far precipitare nella sua opera idee geniali e spiazzanti, come una certa restaurazione del passato perduto dei giapponesi come l’impero Yamatai, dove la terribile tribù della Regina Himika anela, alla fin fine, una terra primigenia e libera dalla razza umana, esattamente come i temibili demoni di Devilman), questo e mille altri aspetti rendono Go Nagai, un Dio, non un semplice mangaka. Qualcuno che ha creato tutto, dopo essere stato allievo di Shōtarō Ishinomori.

Del resto, quelli che comunemente definiamo "super robot" altro non sono che super-schiavi, accolgono persone al loro interno che li usano e li sfruttano a loro piacimento, sia che questi li pilotino da una cabina comandi, sia che diventino tutt'uno come il Jeeg. Go Nagai è un innovatore pazzesco, poiché fonde il demoniaco e il metallico, costruisce una sua mitologia suggestiva e distintiva, frutto dell'epoca, senza dubbio, ma fondamentalmente nuova: Go Nagai è il Lancant della Lega Z.

Nella sua pazzesca rappresentazione, Nagai fissa inoltre gli archetipi del genere: un robot controllato da un pilota, piuttosto che da un comando verbale esterno o da un telecomando. Verso metà della serie Nagai stabilì un modello familiare per la produzione in serie di opere analoghe. Aveva già spiegato come replicare il suo successo, distribuendo la sua speciale Lega Z a tutti gli altri autori, i quali non si sottrarranno certamente dalla creazione di un’autentica sequela di opere derivative, cloni, talvolta apportando importanti innovazioni nel genere stesso. I personaggi robotici di questi spettacoli differivano dalle loro controparti degli anni Sessanta in tre modi principali: le loro dimensioni giganti, i sistemi di controllo e la capacità di trasformarsi e/o combinarsi.

Mazinger Z aggiunse inoltre due nuovi punti al paradigma. Il primo era l'unione di uomo e macchina, posizionando il pilota all'interno del robot stesso. Il secondo, già menzionato precedentemente, lasciava cadere le pupille nere, che suggerivano l'umanità nei precedenti robot. La combinazione di questi due nuovi elementi rappresentò la trasformazione del robot gigante in un eroe "morphing", esattamente come Kamen Rider.
L'anime robotico emerse come l'ancora di salvezza dell'industria degli anime.
Il Mazinger Z rappresentava il primo "pacchetto totale" di elementi di successo che sarebbero arrivati a definire l'intrattenimento fantascientifico per i bambini negli anni Settanta. Il suo arsenale includeva armi a raggi oltre a pugni e attacchi di taglio. Comprendeva anche strumenti con un certo grado di credibilità scientifica, come il Rust Hurricane, un vento feroce e fortemente acido che dissolveva l'armatura nemica. La scena della piscina della base che si apriva per lanciare il pilota a bordo dell’Hover Pilder e il suo successivo attracco con il robot Mazinger Z stesso, avevano un tocco decisamente "Thunderbirds". E la parte nemica incorporava disegni ultraterreni, simili a quelli di yokai (visti anche nei tokusatsu), come ad esempio alieni antropomorfi che erano stati ricostruiti in nuove forme o fusi con animali. Questa tendenza all'integrazione di "elementi di successo" aumenterà sensibilmente quando gli spettacoli di robot inizieranno a dominare le frequenze televisive, promuovendo la crescita del genere nel suo insieme.

Nella trama della serie anime, Mazinger Z viene descritto come un robot fatto di una super lega metallica immaginaria, chiamata Chogokin Z. Forgiato dal minerale Japanium che genera l’energia fotonica e che ha reso Mazinger Z molto più potente dei mostruosi robot della parte nemica. Il motivo per cui il nemico ha continuato i suoi attacchi al Photonic Energy Research Institute/Fortezza delle Scienze del protagonista, è stato quello di rubare questo materiale. Popy ha realizzato la sua rivoluzionaria figurina Mazinger Z in lega pressofusa, riecheggiando perfettamente il senso del personaggio immaginario di lucentezza e peso metallici.

Un particolare ulteriore, degno di nota, è che Mazinger Z ha rappresentato uno sviluppo rivoluzionario non solo nel settore degli anime: vedi i giocattoli fusi in lega di zinco. Venduti con il nome commerciale di "Chogokin" da Popy (in seguito fusa con la sua società madre Bandai), i prodotti Mazinger Z hanno rapidamente collezionato vendite da record, costituendo una pietra miliare della storia di successo degli anime dei robot. Combinando il materiale reale ed immaginario di Chogokin, Popy aveva fatto centro, rendendo il suo prodotto incredibilmente ambito. Per la prima volta, un singolo elemento coerente, in questo caso Chogokin, ha permeato l'intera esperienza, dalla trama alla grafica, ai giocattoli venduti agli spettatori. Questo è il motivo per cui lo spettacolo divenne un tale successo ed arrivò a rappresentare un pilastro della nuova strategia di business degli anime. Il Mazinga rappresentava una serie i cui elementi astratti e accattivanti erano stati raccolti in un'unica storia generale: in sostanza, era stato creato un sistema in cui l'identificazione dello spettatore con il protagonista era direttamente alimentata dalla sua stessa passione per i prodotti stessi.

Questo sistema rimane il modello dominante per il business degli anime ad oggi, e Mazinger Z rappresenta la prima volta in cui tutti i suoi pezzi si sono davvero uniti, combinandosi perfettamente negli incastri. Lo sfondo di questo nuovo sviluppo è stato un drammatico cambiamento nella società giapponese chiamato "classificazione della classe media", il che significava che i giapponesi medi avevano finalmente i mezzi finanziari per acquistare giocattoli per i loro figli, anche se questi erano costosi.

L’introvabile e ricercatissimo Mazinga GA-01 della Popy, il primo effettivo die-cast vintage della storia, la prima versione del Mazinga Z GA-01 fu lanciata nei negozi in contemporanea con le festività natalizie, divenne il giocattolo più ambito nel 1973 e fu ristampato numerose volte, attualmente la prima versione è stimata su diciassette mila euro (se la trovate).

Gli anni Sessanta rappresentarono l'alba del mercato multimediale (anime/manga); tuttavia, gli anni Settanta inaugurarono una filosofia totalmente nuova: né il fumetto né l'animazione rappresentavano il prodotto principale delle aziende; furono i giocattoli ad avere quel ruolo, a compiere questo autentico miracolo robotico. Del resto, ogni appassionato di meka anime riconosce un legame pressoché indissolubile e intramontabile con i model-kit, i chogokin, i gunpla, i die-cast e i giocattoli robot-vintage in generale. Non si è veri appassionati di anime meka se non si alimenta questa autentica parafilia con l’acquisto di almeno un paio di modelli.

Se, dunque, i giocattoli rappresentavano la principale attività commerciale, lo spettacolo anime rappresentava per le aziende impegnate nella produzione, una campagna di marketing secondaria e funzionava egregiamente a diffondere il verbo dell’acciaio e del raggio gamma. Questa realizzazione è ciò che rese i giocattoli Chogokin di Mazinger Z un tale successo e inaugurò un'era di serie di anime robot originali creati espressamente allo scopo di vendere giocattoli. Ma ve ne fu uno in particolare, dimenticato da molti.
Un robottone che merita di reclamare un posto in questo speciale.

Un fortunatissimo Mazinga Z attorniato dalle “Mazinger Angels” della line S.O.C - Soul of Chogokin, popolare linea di giocattoli distribuita da Bandai nel 1997. Concentrandosi principalmente sui mecha classici, questi giocattoli da collezione per adulti sono realizzati principalmente in metallo pressofuso, con parti in plastica, solitamente PVC o ABS. Incarnano lo spirito dei giocattoli vintage Popy e Bandai Chogokin del passato ma con nuove forme scintillanti e seducenti.

Debuttò nell’Aprile del 1975. Si chiamava Yūsha Raideen (Brave Raideen/Il prode Raideen), una serie che in molti sono sicuro abbiano visto. Non era né un clone né prodotto di scarsa rilevanza, e ogni appassionato meka ne riconosce l’enorme importanza storica. L'anime fu prodotto da Tohoku Shinsha, che deteneva i diritti di Thunderbirds, e la merce a esso associata fu realizzata dalla leggendaria Popy come parte del loro marchio Chogokin. Soeisha Sunrise Studio (il precursore della moderna Sunrise) ne gestì l'animazione, con la regia di Yoshiyuki Tomino e Yoshikazu Yasuhiko, che curò la progettazione dei personaggi. La serie è anche significativa come la prima opera di robot creata dal team che avrebbe successivamente creato Mobile Suit Gundam, nel 1979.

La storia è stata attribuita a Yoshitake Suzuki, uno sceneggiatore anime che aveva fondato il "dipartimento di letteratura" di Mushi Produzioni. Questa squadra è uno dei motivi principali per cui Raideen è considerata la prima serie davvero originale al mondo di anime meka, importantissima quasi come Mazinga Z a discapito di quello che, generalmente, si considera, appellandola erroneamente come clone nagaiano di scarsa rilevanza.

Brave Raideen fu la prima serie meka a presentare un robot di origini mistiche, divenne famosa anche per aver introdotto il "colpo definitivo" tramite cui Raideen sconfiggeva i nemici: aspetto mutuato dai tokusatsu anni Sessanta.

Raideen stabilì diversi concetti chiave che si sarebbero trasformati in archetipi per serie anime della fine degli anni Settanta. La prima è stata la considerazione del potenziale di merchandising sin dall'inizio del processo, non dopo, creando di fatto un personaggio robotico con un alto ”valore di gioco". Ciò richiese l'idea di un espediente centrale che avrebbe poi dato al robot un prezioso gancio di vendita quando sarebbe stato proposto come giocattolo. Anche i robot precedenti, ad onor del vero, come Mazinger Z avevano un valore di gioco; il Mazinger Z Chogokin presentava, ad esempio, un espediente "a razzo" caricato a molla. Tuttavia, la caratteristica principale del personaggio - il pilota che attraccava l’Hover Pilder simile a un hovercraft nella testa di Mazinger - non era chiaramente compresa in questi termini di valore di gioco.
Un'altra versione di Mazinga Z "Jumbo Machinder Mazinger Z", alta ben sessanta centimetri, divenne un grande successo tra i giovanissimi poiché consisteva nella possibilità di scambiare le braccia con varie armi, una caratteristica che non appariva affatto nello spettacolo anime.

Il Jumbo Machinder Mazinga Z della Popy, linea Shogun Warriors e il suo “Rocketto Punch” destro, letteralmente un cannone a razzo (?!)

Possono sembrare aspetti di scarso valore, ma in realtà questi specifici di progettazione, ideati dal produttore stesso assieme allo studio di sviluppo dell’anime, rappresentano il trait d’union tra industria ed arte. La consapevolezza nascente dell'importanza di essere coinvolti nello sviluppo dei personaggi stessi della serie anime era solo all’inizio.
Nella primavera del 1974 debuttò il primo dei personaggi robot "gattai" (che combina): Getter Robo, creato di nuovo da Go Nagai. Presentava tre veicoli spaziali chiamati "Gett Machines" che potevano combinarsi in tre modi diversi per creare tre diversi robot giganti: Getter 1, 2, e 3. I suoi elementi visivi erano estremamente all'avanguardia per il momento, e rappresentarono l'antenato di tutti i progetti di robot combinati. Tuttavia, la meccanica era possibile solo attraverso la magia dell'animazione; più una metamorfosi che una sequenza di aggancio meccanico vera e propria. Ciò rese praticamente impossibile il replicarsi come oggetto tridimensionale: solo con l’avanzamento delle tecnologie metalliche/plastiche si è raggiunto questo compromesso commovente tra animazione e Chogokin.

La serie televisiva Getter Robot fu prodotta nel 1974 da Toei Animation su soggetto di Go Nagai, che nello stesso anno collaborò con Ken Ishikawa nella stesura del manga.

I migliori ingegneri di Popy riuscirono in effetti a gestire un giocattolo della Eagle di Gett Machine che si trasformò in un fac-simile della testa di Getter 1.
Ciò portò i produttori a spingere per colmare il divario tra la rappresentazione sullo schermo e la merce in vendita. Katsushi Murakami era l'uomo dietro molte delle storie di successo di Popy (Bandai) Chogokin. Formatosi come designer industriale, iniziò la sua carriera in "Terebi Manga" (TV Manga) magzine. Uno dei suoi primi progetti fu il "Raijin-gō", un'auto volante guidata dall'eroe della serie TV tokusatsu Inazuman. Avrebbe anche avuto un ruolo centrale nella produzione di Raideen. Supervisionò il suo design, assicurandosi che un robot umanoide (Raideen) potesse effettivamente trasformarsi in una modalità volante ("God Bird"), in modo che l'accuratezza del giocattolo, rispetto alla sua controparte sullo schermo, potesse essere utilizzata come elemento primario di marketing.

La Jet Car è la versione Mattel del modello Raijin Go della Popy (PA-17 Popynica) del citato Inazuman

Questa è stata la prima volta nel mondo degli anime in cui un robot che i giovani giapponesi compravano rispecchiava fedelmente la sua controparte animata.
Il design di Raideen era ufficialmente co-accreditato a Katsushi Murakami, Studio Nue (Kazutaka Miyatake e Naoyuki Katoh) e Yasuhiko Yoshikazu. In altre parole, il prode Raideen rappresenta la collaborazione tra un designer industriale, una coppia di visionari della fantascienza e un disegnatore di personaggi, una combinazione vincente.

Questo sistema avrebbe avuto grande importanza in futuro. Raideen rappresentava una situazione in cui un concetto completamente originale veniva "filtrato" attraverso la particolare competenza di ciascuno dei membri del team di sviluppo. Ciò ha comportato una "trifecta" (tripartizione perfetta) di un design con un alto valore di gioco, ambientato in un mondo unico, che a sua volta era facile da controllare nella serie animata. Questo valore aggiunto non solo ha reso la serie un successo, ma ha anche rappresentato un momento fondamentale per il genere robotico.

Furono innumerevoli le aziende che si occuparono di far vivere nei giocattoli Brave Raideen: Popy, Bandai, Medicom, Banpresto, Dae Dong Co, Jugarama, Mattel, Taito, Fewture, Hobby Mate, e altre ancora.

Da lì in avanti, il modello di business per la creazione di produzioni anime televisive si incentrerà sulle società di produzione giocattoli. Anche in quel periodo si stava verificando una rivoluzione nella demografia degli spettatori. Fino a quel momento l'anime era stato progettato per gli scolari delle elementari; una volta raggiunta la scuola media, ci si aspettava che questi prodotti sarebbero stati considerati “out of range”. Ovvero non sarebbero più stati considerati da questi neo-adulti.

Invece questa nuova generazione di bambini sembrava aver infranto tutte le aspettative delle società di produzione anime e giocattoli, scegliendo invece di continuare a guardare gli anime esattamente come scolaretti junior. Questi nuovi spettacoli meka portavano avanti la generazione che aveva vissuto Tetsuwan Atom nel 1963 in tenera età, ed avevano conquistato le generazioni successive, i loro interessi in evoluzione a tutto questo, avrebbero avuto un grande impatto anche sullo sviluppo di anime robot.

Il 1974 rappresenta poi il debutto della serie TV anime Space Cruiser Yamato.
Una versione teatrale sarebbe stata distribuita nel 1977, scatenando un’autentica moda tra gli adolescenti; ampiamente riportata dai mass media dell'epoca, col nome di “cosplay”. Questo fenomeno costituì il terreno da cui sarebbe emersa anche la prima rivista anime dedicata in Giappone nel 1978.
Fu l'alba del "boom degli anime". Il successo di Raideen creò una pipeline per le produzioni di serie con robot originali, non solo dal punto di vista commerciale, ma anche dal punto di vista narrativo. Il regista Tadao Nagahama, che si unì alla serie per la seconda parte, era un veterano che aveva già diretto episodi dell'anime di successo Kyojin no Hoshi (Star of the Giants.). Pur mantenendo intatto il canovaccio robotico inalterato [mostro episodio - scontro - colpo finale] - introdusse una mitologia di fondo e il dramma dell'eroe con sua madre. Lo stile di Raideen gettò le basi per le successive opere sulla narrativa robotica come il famosissimo Gundam, e ancora una volta l’anime robotico modificò i suoi componenti, assemblandosi in nuove strepitose forme evolutive.

Yuusha Raideen introdusse elementi decisamente originali nel genere meka; per esempio fu la prima serie ad avere un triangolo amoroso, oltre a momenti sentimentali inaspettati e introspettivi. Raideen ha un’origine mitologica, più che scientifica: proviene dal perduto e mistico Regno di Mu, è non è stato costruito dagli esseri umani. Quando viene danneggiato è la piramide stessa in cui dimora che, grazie al suo misterioso potere, lo ripara.

Molti nell'industria degli anime derisero questi spettacoli robotici, liquidandoli come volgari spot pubblicitari, ma un'innegabile vitalità e libertà creativa era iniziata a emergere nel genere, finché i robot vennero messi al centro dell'attenzione mondiale, attraverso una nobiltà di genere. Anche l’introduzione progressiva di drammi originali ed imprevedibili, giocò un ruolo di primo piano nella narrazione. Questa libertà servì a stimolare ancora di più i creatori degli spettacoli, mentre con la loro magnanimità supposta gli sponsor erano diventati come “patroni” degli artisti.

A seguito di Raideen, Chodenji Robo Combattler V (Supermagnetic Robo Combattler V) debuttò nel 1976 con praticamente lo stesso staff, tra cui Tadao Nagahama al timone e Yoshikazu Yasuhiko alla guida del design dei personaggi. Il nuovo anime robotico era incentrato su cinque veicoli che si combinavano in un imponente robot gigante, con l'idea che i giocattoli avrebbero replicato la combinazione così come appariva sullo schermo.

L'animazione risultante finì per prendersi alcune libertà stilistiche che erano difficili da eguagliare nella realtà, ma il sequel, Supermagnetic Robo Voltes V, propose un eccellente abbinamento tra giocattoli e relativa rappresentazione su schermo. Il regista Nagahama trasformò Combattler V in un'opera teatrale di grande moralità, concentrandosi sulle tragiche circostanze dell'antagonista generale Garuda al punto da mettere praticamente in ombra il dramma degli eroi terresti. L'uso di disegni di personaggi bishounen (”bellissimo ragazzo”) si rivelò inoltre estremamente popolare tra le giovanissime, che magari incrociavano le puntate poco prima di portare i fratellini ai corsi di baseball pomeridiani.

Combattler V, Voltes V e General Daimos, la cosiddetta “Romance Trilogy” di Saburo Yatsude, pseudonimo dietro al quale si celava uno staff della Toei/Sunrise. Il trittico meka si schierava apertamente contro la guerra e il razzismo, in ogni serie assistiamo a discriminazioni tra umano e androide oppure fra coloro che sfoggiano corna e chi invece non le possiede. La base di tutto sta nella volontà di sopraffazione sul proprio simile, per interesse, denaro e potere.

Nagahama alzò questo diffuso interesse di un altro gradino nel sequel Voltes V/Vultus 5 Interpretando un melodramma di fratello contro fratello in cui il nobile cattivo Prince Heinel (noto all’estero come Zardoz o Principe Sirius da noi) è stato pressoché fuso con la metafora del leggendario eroe giapponese Yamato Takeru. In questo modo, i robot mostrano un nuovo percorso per la narrazione drammatica negli anime, un percorso che si ingigantisce di elementi a vista d’occhio, non rinunciando mai però alle sue origini. Il picco dell'anime robotico come pilastro della programmazione televisiva per bambini arrivò nel 1976. Sette nuove serie di robot giganti dalla qualità alterna debuttarono in quell’anno: Daikūmaryu Gaiking, Gowappa 5 Gōdamu, UFO Senshi Daiapolon, Chōdenji Robo Combattler V, Groizer X, Blocker Gundan (Gaiking, God Sigma, Diapolon, Combattler V, Gloizer X e Astrorobot).

Muteki Chōjin Zanbot 3 (Super Machine Zanbot 3/L’invincibile Zambot3) presentava un robot gigante formato da tre veicoli più piccoli. Tre componenti anziché le cinque standard allora usati in Combattler V e Voltes V, che invece erano ritenuti un investimento più valido dal punto di vista commerciale di Sunrise.
Ma lo spettacolo divenne molto noto per l'impulso e la verve del regista Yoshiyuki Tomino. La sua rappresentazione della ricaduta della guerra - i soldati, le vittime civili, i rifugiati, l’odio, la discriminazione, il razzismo - suscitò un'enorme ondata d'urto morale attraverso i fan di anime adolescenti che si erano stancati di melodrammi scenici incentrati su bellissimi e giovani personaggi e sull’aspetto melodrammatico, ispirato al Teatro Tekarazuka. Per questo aspetto e una varietà di ragioni, non ultimi i disegni di Yoshikazu Yasuhiko, Zanbot 3 rappresenta l'antenato diretto del Mobile Suit Gundam del 1979.

Nello stesso periodo erano in onda anche una manciata di spettacoli incentrati su protagonisti robotici di dimensione umana. Questi includevanoRobokko Beeton”, una coproduzione Sunrise del 1976 con il lavoro manuale di Yasuhiko; il titolo gemello di Tetsuwan Atom, Jetter Mars del 1977; e un remake di Tetsuwan Atom stesso nel 1980.
Ma il vincitore indiscusso di questo sottogenere fu Doraemon di Fujiko F. pseudonimo della coppia di artisti Hiroshi Fujimoto e Motoo Abiko, la seconda serie divenne un enorme successo nel 1979. La prima serie dello spettacolo (del 1973) era stato uno spettacolo un po' in anticipo sui tempi, ma i suoi creatori avevano rielaborato e perfezionato il concetto trainante dello show, ovvero "il ragazzo e il suo robot" con grande successo nel 1979. In questo modo, gli anni Settanta segnarono l'evoluzione del robot in un veicolo o un amico, spingendo ai confini della cultura anime.

Protagonista di più di 1345 storie a fumetti, pubblicate originariamente dal 1969 al 1996, e di tre serie tv (prodotte rispettivamente nel 1973, 1979 e 2005), oltre a numerosi film e videogiochi, Doraemon è uno dei personaggi più celebri dell'immaginario d'importazione nipponica. Simbolo politico, ambasciatore degli anime, amatissimo gattone nipponico dalla fama intramontabile che incarna lo spirito d’inventiva e la coscienza ambientale di un intero popolo.

Concludendo, il genere meka non si è mai davvero fermato, ha invece consapevolmente introdotto nel suo corpus mitologico tutto quello che poteva servire al genere stesso per migliorarsi, ampliarsi ed evolversi progressivamente agli occhi del pubblico che, repentinamente, cambiava sotto i suoi occhi meccanici. La varietà e la qualità delle tecniche narrative introdotte anche dal punto di vista delle storie o dei personaggi coinvolti ripagarano ampiamente i produttori, gettando le basi per quello che nel decennio successivo arriverà, registrando nuovi terremoti culturali.

Un'esplorazione dettagliata e attenta di ciascuno di questi singoli elementi è probabilmente un argomento per i futuri approfondimenti che scriverò per Outcast.
Gli anni Ottanta vedranno poi una co-evoluzione del genere robot dal quale non vi sarà più alcuna soluzione di ritorno: lo storytelling maturo e profondo, l'hardware militare posto in gran rilievo nelle produzioni, il conflitto umano dentro e fuori gli eroi , il nazionalismo esasperato, l’evoluzione dei personaggi delle storie, le tematiche umaniste e pacifiste, la geopolitica, l’ucronia spaziale, l’introduzione di grandi protagoniste, l’opposizione alle federazioni autocrate, il terrorismo nei generi, e naturalmente l’abbandono di buona parte degli stereotipi iniziali (anche se qualcosa, inevitabilmente resterà) per abbracciarne di nuovi.

Proprio come la teoria dell'evoluzione passa attraverso sia la sopravvivenza, che la riproduzione e l’adattamento a nuovi ambienti, nessuna tendenza anime si è sviluppata così spontaneamente e con estrema efficienza come quella degli anime meka. Non finiremo mai di analizzare, ammirare e guardare queste opere adottando sempre nuove e stimolanti prospettive e forse questo le renderà per sempre anime d’acciaio.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata agli anni Settanta, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.