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Racconti dall'ospizio #114: Tempest, ovvero l'Atari che amavo

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Uno dei tanti corto circuiti mentali che affliggono il mio pensiero riguarda Tempest. Per un motivo che faccio fatica a capire, associo il super classico Atari con Jeff Minter, che sì è stato il responsabile dei porting e sequel negli anni Novanta, ma che con il gioco originale del 1981 non ha proprio nulla a che vedere. Il genio dietro ad uno dei giochi più bizzarri (e tecnologicamente più spettacolari) della prima era d’oro dei videogiochi è Dave Theurer, lo stesso personaggio responsabile di altre pietre miliari Atari come Missile Command o I, Robot. 

Tempest era nel 1981 un po’ lo stato dell’arte tecnologico nel mondo dei videogiochi. Quel feeling futuristico della grafica vettoriale, un’azione frenetica, sonoro di sicuro impatto, livelli uno diverso dall’altro (cosa non proprio banale a quel tempo, pensiamo a Pac-Man)... insomma il gioco di Atari era una cosa “diversa”.

Al contrario di tantissimi giochi usciti in quel periodo, fidi compagni dei miei pomeriggi nel bar attiguo al negozio del babbo, Tempest è stato uno di quelli che ho conosciuto, amato e abbandonato nella sala giochi del mare. Assieme alle mie mille lire pomeridiane, subito dopo pranzo, in attesa che passasse il tempo per rituffarmi in acqua, andavo dritto in questo open space piazzato al piano terra, di fronte ad un parchetto giochi, e per un motivo che ignoravo, in questo piccolo spazio di un paesino della Liguria, si potevano trovare sempre le ultime novità tecnologiche in fatto di cabinati. È lì che ho giocato ai cabinati deluxe di Out Run e Chase HQ con tutti i motori e motorini che facevano muovere il sedile, è lì che per la prima volta ho provato Firefox (il laser game basato sul film con Clint Eastwood) e curiosamente è sempre lì che oltre a Tempest ho giocato ad altri titoli Atari basati sulla medesima tecnologia, come i tie-in di Star Wars e The Empire Strikes Back (solo il primo, però, con il cabinato superfigo).

Il sottoscritto, però, al tempo, aveva un problema non banale con il gioco di Atari: Tempest non aveva un joystick ma una manopola, un potenziometro che permetteva alla nostra, vediamo come chiamarla, navicella a forma di chela, di spostarsi lungo il perimetro del livello. Questa soluzione, da un punto di vista di gameplay, era ottima, dato che la risposta della rotazione era velocissima e precisissima, ma essendo di metallo (e non avendo il pomello di plastica come i joystick degli altri giochi, almeno nella sala giochi di cui sopra) non era consigliatissima da utilizzare appena usciti dal mare con i piedi bagnati. Diciamo che una volta ho sentito una certa “tensione” durante la partita (no, neanche i posaceneri aiutavano a non prendere la scossa).

Avendo capito, prima di fulminarmi del tutto, che bastavano le ciabatte per salvarmi la vita, ero diventato abbastanza bravino, tanto da evitare la tipica frase “Questo livello te lo faccio io, OK?” da parte della variegata popolazione più grande della saletta giochi, certo non malfamata come quelle di città. Ma insomma, i bulli esistono dappertutto, anche al mare. Il segreto per piazzarsi davanti al cabinato per un bel po’ di tempo era non sfruttare l’innovativa selezione della difficoltà ad inizio gioco. Sì, Tempest, come anche Star Wars qualche anno dopo, permetteva di scegliere all’inizio il livello da cui partire. Questa selezione permetteva, se si superava la prima sfida, di avere un boost di punteggio veramente notevole. In questo modo, però, ovviamente, la durata della partita si accorciava drasticamente, e quindi, da bravo bimbo che aveva i soldi contati della mamma, e non essendo mai stato uno fissato nel fare punteggi stratosferici, mi ostinavo a ricominciare sempre daccapo per far durare il più possibile il gettone.

Essendo uno fra i giochi più iconici dell’Atari che i più anziani hanno amato ad inizio anni Ottanta, Tempest è stato convertito per qualsiasi sistema casalingo, sia come titolo singolo, soprattutto sugli home computer dell’epoca, sia piazzato in ogni compilation possibile e immaginabile che raccolga le vecchie glorie della casa un tempo americana.

Non mancano ovviamente dei sequel ufficiali (il cui sviluppo, come detto prima, è stato seguito da Jeff Minter): per esempio Tempest 2000, pubblicato su Atari Jaguar nel 1994 (poi diventato Tempest X3 su PlayStation), Tempest 3000 su lettori DVD Nuon (OK, non ne ero a conoscenza) e infine TxK per PsVita.

È un peccato che Atari, anche nella sua attuale incarnazione che non ha più nulla da spartire con l’originale, se non il nome e il logo, abbia in qualche modo stoppato qualsiasi conversione di TxK su altre piattafome. La psichedelia intrinseca in Tempest è perfetta per essere presa e rimescolata in versioni aggiornate per i palati odierni, come per esempio Bandai Namco ha fatto con Pac-Man e le spettacolari versioni Championship Edition DX, o Taito con Space Invaders Extreme, per altro pubblicato da pochissimo su Steam in occasione del quarantesimo anniversario.

Comunque la si veda, Tempest rimane una pietra miliare del videogioco e proprio grazie alle sue particolarità tecniche non potrà mai essere considerato veramente “vecchio”.

E ora fatemi trovare un joystick a rotella USB, che voglio rigiocarmelo come si deve (senza prendere la scossa).

Questo articolo fa parte della Cover Story su Ready Player One, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.