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Racconti dall'ospizio #50: Street Fighter II e l'invidia del Ken

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Street Fighter II era una cosa seria. Era l’incarnazione di tutto quello che non si poteva avere a casa, il frutto proibito della sala giochi e dei bar, l’ossessione. Ero uno di quei bambini che si esibivano negli hadouken d’acqua quando facevano il bagno e vivevano appiccicati al cabinato del bar. Ci giocavo coi piedi ancora bagnati, pieni di sabbia, e facevo una fraccata di perfect con Chun-Li, perché il pugno medio era abbastanza sgravato.

Ricordo un pomeriggio del febbraio del 1992, alla lega navale di Spotorno, di quelli in cui il cielo è plumbeo e il mare ha il sapore malinconico dell’estate finita da un pezzo. Ero lì con mio padre per qualche noiosa faccenda del mondo adulto, ma per fortuna c’era anche Piergiorgio, il mio amico proto-nerd che aveva ricevuto in sorte la fazione Nintendo. Un bambino fortunatissimo, con un Mac pieno di software affascinanti e un NES con una caterva di giochi. La nostra era una console war pacifica e infantile, ma in quel periodo i temi erano scottanti. Lui era rimasto bloccato nel medioevo degli 8 bit, mentre io già da due anni sfrecciavo nel futuro a 16 bit del mio Mega Drive. Le cose, però, stavano per cambiare.

Stava per uscire il Super Nintendo, suo padre glielo avrebbe regalato e ci sarebbe stato anche Street Fighter II. “Sì, proprio lui. Street Fighter II. Con tutti i personaggi. Tutti i livelli. Come in sala giochi. E il controller ha sei pulsanti!”

Sei pulsanti. Quello sì che era il futuro.

“Li hanno messi apposta per Street Fighter II, così puoi fare i pugni deboli, medi e forti.”

Avevano pensato a tutto, quei diavoli della Nintendo. E anche se oggi mi sembra un dettaglio insignificante, ai tempi avere sei tasti era una cosa fuori di testa. Che invidia. L’invidia stronza che puoi avere solo a dieci anni, quella che ti fa sembrare meno belle le cose che hai. Eppure dovevo farmene una ragione, stava per uscire Street Fighter II e io mi ritrovavo con il proverbiale cavallo sbagliato, il mio triste Mega Drive senza nemmeno il Mode 7.

Il buon Piergiorgio non stava facendo lo spaccone per impressionarmi. Street Fighter II uscì insieme allo SNES, rivelandosi una conversione eccellente, con tutti i pezzi montati nel modo giusto. Non era al 100% come al bar, ma le differenze iniziavano ad essere trascurabili. Fare i pugni forti con i pulsanti dorsali era scomodo e le musiche erano più lente (e ai tempi non sapevo perché), ma c’era soltanto da leccarsi i baffi. E poi c’erano F-Zero, Super Mario World, Pilotwings... il futuro aveva cambiato fazione.

Street Fighter II sarebbe arrivato anche su Mega Drive, ma con i suoi porci comodi. Sulle riviste non si parlava d’altro. Ricordo la recensione di Streets of Rage 2 su Game Power, un “power game” da 94, nel quale ci si poneva la futile domanda “Ma sarà meglio di Street Fighter II?”, seguita da un giro di parole per dire che no, non era meglio. Certo, in un paio di livelli sembrava che ci fosse quasi il Mode 7 di Nintendo, quindi la realizzazione tecnica era di grande livello. Ma era esattamente questo il problema: il Super Nintendo aveva spostato l’asticella e aveva cambiato lo standard. Per anni, tutto venne paragonato alle hit di Nintendo, e Street Fighter II fu la vera arma segreta del marketing del Regno dei Funghi.

Provate a giocarci adesso e scoprirete che è ancora perfetto. Stringete in mano il controller con i pulsanti colorati e pensate a che effetto potesse fare, nel 1992, avere finalmente Street Fighter II nella propria cameretta. Un po’ come perdere la verginità, ma se usavo Blanka duravo molto di più.

Questo articolo fa parte della Cover Story "Aspettando il Nintendo Classic Mini: Super Nintendo Entertainment System", che trovate riepilogata a questo indirizzo.