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Facendo cose al Biografilm Festival 2017

Vivo a Bologna solo da qualche mese e gli aspetti positivi che questa città mi sta offrendo sono veramente tanti. Fra tutti, quello che più è riuscito ad entrare nel mio cuoricino è probabilmente riconducibile alla moltitudine di festival cinematografici organizzati da queste parti. A maggio c’è stato il Future Film Festival, ad esempio. A giugno, invece, il Cinema Ritrovato ed il Biografilm Festival. Del Cinema Ritrovato avremo modo di parlarne più dettagliatamente durante le prossime settimane, sempre sulle pagine di Outcast; ora è invece il turno del Biografilm Festival, svoltosi dal 9 al 19 giugno e giunto alla sua tredicesima edizione. Ma cos’è il Biografilm Festival? Intuitivamente si potrebbe rispondere con “un festival del cinema”; nì. O meglio, non è solo questo. Da anni, la manifestazione include infatti non solo una sempre più ampia rosa di proiezioni, tutte contraddistinte da un piglio documentaristico e/o intellettuale, ma anche concerti, workshop e addirittura pure un’area dedicata alla ristorazione.

Il Biografilm Festival anche quest’anno ha coperto, per tutta la sua durata, una buona parte del centro di Bologna. Al Parco del Cavaticcio si sono svolti ad esempio quasi tutti i concerti, dove si sono esibiti ogni sera, dal 1 al 20 giugno, svariati artisti più o meno famosi: Cristina Donà, Dente, Zen Circus, Guido Catalano, Motta, Ex-Otago e compagnia cantante. Sì, roba indie italiana, di quelle che di solito non ascolto manco per sbaglio; però tutti i concerti erano gratuiti, dunque belli per definizione. Sempre al Parco del Cavaticcio, durante gli orari diurni, spazio al Biografilm Food District, dove era possibile rifocillarsi con leccornie da svariati angoli d’Italia a prezzi nemmeno troppo alti (in media, un menù stava circa a otto euro); io, che sono ahimè un nazista del cibo ‘sano’, mi sono concesso solamente due sgarri: arrosticini con formaggio fritto e un paio di friselle con carpaccio di polpo che mamma mia.

In ogni caso, a parte tutto questo bel ambaradan di contorno, la ciccia del festival riguarda, come facilmente intuibile, la parte cinematografica. Come accennato in apertura, il Biografilm Festival ha da sempre questa vocazione intellettuale che si traduce in proiezioni di documentari e di quei film cosiddetti ‘impegnati’. Il numero di pellicole presenti quest’anno era enorme; oltre 70 film, che aumentano ulteriormente se si contano anche i cortometraggi, distribuiti in cinque delle tante sale cinematografiche su cui il centro di Bologna può contare. Purtroppo, per una serie di coincidenze con altri miei impegni personali, ho potuto prendere visione solamente di una piccola parte dei film presenti. Ho mancato ad esempio quello che poi si è aggiudicato il premio del concorso internazionale, cioè To Stay Alive: A Method, un documentario in cui Iggy Pop legge e interpreta gli scritti più famosi di Michel Houellebecq, autore francese noto al pubblico generalista soprattutto per Sottomissione, romanzo di fantapolitica. In ogni caso, nel film, i due protagonisti intraprendono, traendo spunto dalle parole di Houllebecq, un lungo discorso dai tratti introspettivi. Cercherò di recuperarlo nei prossimi mesi, anche se qualche amico non me ne ha parlato proprio benissimo.

I film dai nomi più altisonanti presenti al Biografilm 2017, tuttavia, sono due: Civiltà Perduta, una pellicola mozzafiato gustata, in tutta tranquillità, ad un’anteprima stampa fissata alle nove del mattino; il film mi è piaciuto molto, e sostanzialmente sono d’accordo con giopep, che ne ha parlato sia in podcast che per iscritto. L’altra pellicola che ha avuto più eco durante il Biografilm è stata Manifesto, che dovrebbe essere distribuito regolarmente in Italia il 20 novembre prossimo. Il film, diretto da Julian Rosefeldt, negli scorsi mesi ha destato l’attenzione della stampa specializzata per la performance di Cate Blanchett, qui nelle vesti di ben tredici personaggi diversi, ognuno dei quali recita, in incarnazioni molto diversificate, una propria interpretazione di altrettanti manifesti politici o artistici. Esempi: c’è la Cate Blanchett senzatetto che blatera sui valori della società comunista, la Cate Blanchett vedova che, al  funerale del proprio marito, sbrocca citando motti dadaisti o ancora la Cate Blanchett coreografa nazista, che impartisce alle proprie ballerine dei diktat su come incarnare al meglio il movimento Fluxus. Il film è sostanzialmente un’alternarsi di queste tredici Cate Blanchett, ritratte con inquadrature ispirate mentre straparlano, in contesti diversi, delle proprie interpretazioni artistiche-politiche. Nonostante il profluvio di applausi al termine della proiezione, ho avuto la sensazione di aver assistito non dico ad un’enorme supercazzola, ma insomma, quantomeno ad un film un po' autoreferenziale, che si propone di parlare ad una nicchia decisamente ristretta; cosa che fattualmente poi fa, ma in maniera nemmeno troppo convincente. Per approccio, ad esempio, mi ha ricordato parecchio Under The Skin, che però aveva tutto un altro impatto e una sceneggiatura anche più quadrata.

Altra pellicola che non mi ha convinto pienamente è Una Mujer Fantastica, film cileno che vai a sapere se arriverà mai ufficialmente in Italia. Comunque, diretto da Sebastian Lelio e prodotto da Pablo Larrain, Una Mujer Fantastica ha come protagonista una transessuale che, dopo una manciata di minuti dall’inizio del film, vede il proprio compagno morire per un infarto. Un evento che darà poi il via ad una serie di vicende che, inevitabilmente, andranno a calcare la mano sul suo status da transgender. Voglio sbilanciarmi, rischiando magari di fare una figuraccia: secondo me il cinema contemporaneo ancora non è pronto a rendere convincentemente a schermo una tematica spinosa come questa. Mentre sul versante omosessuale abbiamo avuto, nell’ultimo decennio, un gran numero di film riuscitissimi, per quanto riguarda la tematica della transessualità c’è forse ancora un po’ di strada da fare (andando a memoria, una delle poche pellicole, in tal senso, degna di nota è Laurence Anyways di Xavier Dolan). La sensazione che ho avuto, guardando Una Mujer Fantastica, è stata infatti non quella di attraversare il dramma di una persona che cerca l’accettazione altrui del proprio essere, quanto piuttosto quella di assistere alle vicende di una transessuale abbastanza rincoglionita, che cerca di arrabattarsi in un modo o in un altro, senza particolari vezzi personali, ma anzi in modo parecchio passivo. Gli unici momenti di pathos, ad esempio, corrispondono alle vessazioni che la protagonista subisce. Poi basta, o comunque poco altro.

Decisamente più riuscito è Cherchez la femme, che dovrebbe essere distribuito dalle nostre parti il 7 dicembre prossimo, col titolo di Due sotto il burqa. Il film, scritto e diretto dal regista iraniano Sou Abadi, è una commedia che fa ironia su un tema che, sempre più spesso, viene ignorato per timori di sorta, cioè l’Islam. La trama ruota attorno a Armand e Leila, una giovane coppia d’innamorati che sta preparando il proprio viaggio a New York. A metter loro i bastoni fra le ruote ci penserà però Mahmoud, il fratello di Leila appena rientrato da un soggiorno spirituale in Yemen, che ne ha radicalizzato la propria posizione religiosa, impedendo così alla sorella di vivere il proprio amore secondo il suo stile di vita occidentale, considerato oltraggioso nei confronti del Profeta. Lo snodo del film arriva quando Armand decide di indossare un niqab (il velo integrale, quello che lascia scoperti solamente gli occhi) e di presentarsi a casa di Leila come sua conoscente, permettendo così ai due di continuare ad amoreggiare in pace. Se non fosse che Mahmoud finisce per innamorarsi di questa fedele ‘donna’ in niqad, dando così il là ad una serie di eventi che si tradurranno in intelligenti gag a sfondo religioso. Non c’è nulla di oltraggioso o irrispettoso in Due sotto il burqa, sia chiaro; è semplicemente una commedia riuscita su un tema troppo spesso lasciato da parte per paura di possibili ritorsioni, e solo questo vale il prezzo del biglietto.

Il Biografilm Festival ha, come già accennato, da sempre un focus sui documentari, e anche questa edizione non è stata da meno, per esempio con la presenza di Risk. Diretto da Laura Poitras e presentato per la prima volta al pubblico durante il festival di Cannes del 2016, il film è incentrato sulla figura di Julian Assange, il fondatore di Wikileaks, di cui vengono narrate in presa diretta le vicende che lo hanno visto protagonista a partire dal 2012 (con lo scandalo sessuale ed il successivo asilo politico nell’ambasciata londinese dell’Ecuador). Il documentario si inserisce nel solco già tracciato da film come Citizenfour, di cui però non ha la stessa visione d’insieme. Se quest’ultimo era un documentario ragionatissimo e ben incentrato sulla figura e sulle vicende di Edward Snowden, qui in Risk si ha la sensazione di assistere (cosa peraltro confermata dalla stessa regista già dal trailer del documentario) ad un film che, inizialmente, aveva l’obiettivo di ritrarre le sfaccettatute di tutta l’attività che sta attorno a Wikileaks e si è poi trasformato in qualcosa di più grande, inglobando eventi che sì riguardano la figura di Assange ma fanno perdere un po’ il filo del discorso, sfociando in considerazioni che si concludono nella stretta attualità. Risk, infatti, è stato rimontato in più occasioni, fino a quella che dovrebbe essere la sua definitiva edizione pubblicata nel maggio 2017 e che tocca fatti molto recenti come la grazia di Chelsea Manning e, soprattutto, il Russia gate che vede tutt’ora protagonista il presidente Donald Trump. Quel che ne esce fuori è un racconto che abbraccia fin troppi argomenti ma ha il merito di far un po' più luce su una figura criptica come quella di Assange, solitamente filtrata in modo molto meno limpido rispetto a quella di Snowden.

C’è stato ovviamente spazio anche per lavori italiani. Come I Am Not Alone, documentario diretto da Veronica Santi che ricostruisce la storia, quasi dimenticata, di Francesca Alinovi, critica d’arte nota soprattutto per aver avuto l’intuizione di portare per prima in Europa gli artisti americani della New Wave, Keith Haring su tutti. Molto carino, come anche Spettacolo, che parla di una storia tutta italiana pur essendo stato diretto da due registi americani: il film segue infatti da vicino la preparazione di uno spettacolo teatrale che gli abitanti di Montichiello, piccolo borgo toscano, organizzano puntualmente, ogni estate, dagli anni Sessanta. Spettacolo ha dei punti morti sparsi qua e là, ma ha soprattutto il merito di restituire allo spettatore l’importanza, che spesso noi italiani non diamo, delle tradizioni locali.

In conclusione, il film che più mi ha eccitato dell’intero Biografilm Festival. Probabilmente non saranno in molti ad essere arrivati fino al fondo di questo lungo recap, quindi mi lascio un po’ andare. Non so se è per gli anni che passano, l’essere più maturo e via discorrendo, ma insomma, non mi arrapo più facilmente come una volta. Senza scadere nelle mie varie perversioni personali e rimanendo, più o meno, nel tema del pezzo in questione, vi posso però dire che, fra i pochi porno che riescono ancora stuzzicare la mia libido, c’è il filone dei casting. Avete presente quei video in cui fanno le interviste alle aspiranti pornoattrici e poi concludono? Ecco, io vado letteralmente pazzo per la prima metà, quella in cui intervistano le donne. Adoro sentire tutte le confessioni compiaciute, la narrazione delle loro esperienze a tutto tondo; insomma, è la mia categoria preferita. E Venus, documentario danese diretto da Mette Carla Albrechtsen e Lea Glob, fa esattamente questo (escludendo le parti riguardanti il sesso esplicito, va da sé); intervista cioè diverse donne che, sole davanti alla telecamera, si lasciano andare, raccontando le proprie esperienze e le proprie fantasie riguardanti il sesso. Prendere però Venus come un film che ha nei pervertiti il proprio unico target sarebbe molto sbagliato. L’aspetto più positivo che infatti il documentario ha è quello di rendere pienamente l'idea, attraverso le parole delle intervistate, di come il sesso sia realmente un’esperienza che varia da persona a persona, e che tutti, soprattutto in Italia, dovremmo vivere in modo decisamente meno sacrilego.