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Bokida - Heartfelt Reunion: Manicheismo e Ricongiungimento

Contrasto, separazione e, infine, ricongiungimento: queste sono le colonne fondanti della poetica di Bokida - Hearthfelt Reunion. Sul piano meramente grafico, c’è il contrasto fra il bianco e il nero dei colori del mondo di gioco, la separazione dettata dalle sottili linee che rappresentano i contorni degli oggetti e il ricongiungimento fra questi due estremi manichei, che lentamente si palesa nel corso del gioco. Dal punto di vista narrativo, abbiamo il contrasto fra la natura di due astri dai colori opposti ma indissolubilmente legati, la separazione cui misteriose forze li ha costretti per eoni e il ricongiungimento a cui anelano e che, da giocatori, bisogna far avvenire. Su quello meta-narrativo il contrasto fra la semplicità di un’idea di gameplay, nato come poco più di un esperimento, e la realizzazione vera e propria, la lunga separazione concettuale e temporale fra quell’idea e un gioco finito e infine il ricongiungimento in un prodotto finale talmente bello, delicato, unico, raffinato e profondo da spingermi a raccontarvi tutte queste fregnacce zen.

Nell’essenza, Bokida è un po’ puzzle game, un po’ walking simulator, un po’ sandbox in un mondo etereo e onirico, dove il mindfuck e lo straniamento da geometrie escheriane sono sempre dietro l’angolo. La trama è esile quanto basta a darci una direzione ma non c’è nessuna fretta imposta, nessun senso di urgenza, in quanto ci viene chiesto di fare, e si è liberi di esplorare liberamente la stramba superficie del candido astro sul quale veniamo risvegliati, fragili messaggeri di una riunificazione tanto desiderata quanto non particolarmente impellente.

Qui trovate anche me che provo i primi 40 minuti del gioco.

Perfino il gameplay riesce ad essere un esercizio quasi filosofico: a disposizione del giocatore ci sono, fin dai primi momenti di gioco, praticamente tutti gli strumenti necessari alla risoluzione dei puzzle, ma via via che il gioco procede, ci si vedrà assegnare nuovi poteri, spesso e volentieri del tutto inutili ai fini del nostro obiettivo. È quasi una riflessione sui nostri bisogni, su come spesso ciò che serve al raggiungimento dei nostri fini sia con noi fin dall’inizio, senza bisogno di inutili ma piacevoli fronzoli. Dicevo che Bokida è anche un sandbox, anzi, in fondo è così che è partito, una umile e semplice demo del 2013 (!!!) che mostrava le potenzialità di questo compatto motore fisico, in grado di simulare, con relativa semplicità, la creazione di blocchi a schermo e la loro successiva distruzione in decine e centinaia di frammenti tagliati da una lama virtuale. Tutto l’accrocchio narrativo e ludico attorno a questo semplice concetto è arrivato ben dopo nelle menti e nelle righe di codice degli sviluppatori francesi e coreani di Rice Cooker Republic.

Non avrebbe senso rovinarvi la sorpresa dei puzzle e dell’esplorazione, spesso e volentieri fine a se stessa, di amene località, vi basti sapere che gli strumenti utili messi a disposizione del giocatore sono pochi ma efficaci: la possibilità di creare cubi à la Minecraft, la capacità di tagliarli grazie a una lama di luce che farebbe invidia a Goemon, l’abilità di planare e muoversi velocemente verso uno dei cubi che abbiamo creato. Questi gli strumenti che bisogna utilizzare per un buon 90% del gioco. Il resto è quasi puro divertissement, tuttavia fortemente essenziale, come tutte le cose superflue, parafrasando una trita citazione di Oscar Wilde. Bokida è questo: allo stesso tempo celebrazione dell’essenziale ed esaltazione della bellezza del superfluo, bianco e nero, sandbox e puzzle, manicheismo e ricongiungimento.

Ho giocato a Bokida - Heartfelt Reunion grazie a un codice Steam fornito dagli sviluppatori, completandolo al 90% in poco meno di tre ore. Rimangono solo un po’ di collezionabili da cercare per sbloccare chissà quale area segreta ma, per quanto l’esperienza esplorativa sia estremamente piacevole, non ho mai avuto la pazienza di platinare i giochi.