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Parto per Aven Colony, perché il mondo fa schifo

Mi piacciono i city builder. Mi appagano, mi rilassano, mi mandano in standby il cervello. Forse perché il piacere di costruire cose è insito nella natura umana? Forse perché mi sono chiuso dentro SimCity a otto anni e ci sono rimasto sotto? Vai a sapere. Però, ecco, ci sono dei vizi peggiori dei city builder, tipo l'abuso di barbiturici. E visto che qua su Outcast siamo molto attenti al consumo responsabile delle sostanze e la calura estiva si fa sentire, oggi parliamo di un city builder rinfrescante come un chinotto freddo di frigo: Aven Colony.

Aven Colony è un city builder nello spazio, su un pianeta moderatamente ostile che mette costantemente alla prova la sopravvivenza dei coloni. Il primo impatto, quello con la grafica, non è niente di che. Una fantascienza un po' anonima, leggermente slavata, ma che si lascia guardare e alla quale ci si abitua in fretta. Anche i primi momenti di gioco sono un po' da sbadiglio, con un tutorial che ti prende per mano come se fossi un idiota e delle prime "missioni" che di fatto lo prolungano un po' troppo. Ricordiamo che Aven Colony al momento è in beta, e che dettagli come la durata del tutorial possono essere ritoccati senza stravolgere il gioco. Il che è un bene, perché superata la noia iniziale, che comunque spiega alcuni concetti importanti, la costruzione di colonie in mondi bizzarri inizia a divertire.

Mentre nei city builder del mondo reale i problemi riguardano i soldi e le tasse, nello spazio si lotta contro l'ambiente. Gli inverni sono rigidi e riducono l'efficienza delle serre, l'aria sotto le cupole e nelle gallerie degli habitat deve essere respirabile e tutti i coloni devono avere accesso a dosi adeguate di acqua e cibo. Il denaro non conta, perché per costruire si usano i naniti, delle nanomacchine (o qualche fregnaccia sci-fi del genere) che si ottengono dai minerali estratti dal terreno. I concetti di gameplay sono gli stessi dei classici city builder, ma l'ambientazione aliena rende il tutto più intrigante. Un veterano del genere riconoscerà elementi noti travestiti da Asimov, ma l'illusione funziona e le mezz'ore si trasformano agevolmente in ore di relax spaziale.

Sarò sincero, come lo sono stato in Outcast Magazine: l'appeal di Aven Colony è così di nicchia che mi stupisce che sia stato realizzato. Non è un gioco che ti conquista con uno screenshot, né un gioco che si vende da solo con la quarta di copertina. Detto questo, non posso che apprezzare il lavoro dei texani di Mothership Entertainment (e del Team17, che pubblica il tutto). Aven Colony ha grandi potenzialità, soprattutto per quello che riguarda le interazioni col pianeta alieno, che di fatto permettono di superare la noiosa etichetta di "SimCity nello spazio". Si possono studiare tecnologie per trasformare i vegetali alieni in alimenti commestibili per i coloni, anche per sviluppare cibi di dubbio gusto: il mio esempio preferito sono delle barrette dolci da americanazzi, dei Twix alieni che aumentano la felicità del popolo ma riducono la salute media. Aven Colony è pieno di piccole idee sfiziose come questa, che senza dubbio regaleranno soddisfazioni agli appassionati del genere. Al momento, però, Aven Colony è ancora incompleto su più fronti, quindi consiglio l'acquisto della beta solo ai più scimmiati tra i sindaci virtuali, ma il gioco è da tenere d'occhio. Se Mothership saprà ascoltare il feedback dei giocatori, inserendo più contenuti e rifinendo un po' l'interfaccia (un po' confusa e poco accattivante), avremo per le mani qualcosa di memorabile. O se non altro di imprescindibile per gli appassionati.