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Twin Peaks come (non) lo ricordavo

Quello che segue è un pregiudizio completamente senza spoiler sui primi due episodi della nuova stagione di Twin Peaks. Ah, purtroppo, le considerazioni all’interno di parentesi quadre, che io mal sopporto, saranno diverse; prendetevela con Lynch e le sue mille chiavi di lettura, non con me.

Fa strano, per me, scrivere di una roba che ha visto il suo ultimo atto più di un quarto di secolo fa, qualche anno prima che io nascessi. Eppure eccomi qui, a parlare (bene, già lo anticipo) della terza stagione di Twin Peaks, che inizia proprio da dove la serie ci aveva lasciato, con lo spirito di Bob che si impossessa dell’agente Dale Cooper, che perde la capoccia e via discorrendo. Prima, però, qualche altra considerazione personale, soprattutto perché, nei lavori di Lynch, la narrazione in senso stretto ha sempre avuto un ruolo marginale, quindi avrebbe poco senso soffermarvisi più del dovuto. Sarà perché ho recuperato la serie TV originale, logicamente ben dopo il suo iniziale arrivo sugli schermi televisivi, però sì, ecco, Twin Peaks non l’ho mai particolarmente amato. Per quanto riconosca l’impatto che ebbe all’epoca, riuscendo a riformulare (anche se meno di quanto generalmente si creda) i codici e tutta un’altra serie di tecnicismi vari, trovai la serie TV invecchiata veramente maluccio, anche più di altri prodotti pure più anziani. Soprattutto la seconda stagione, mamma mia, la trovai a tratti una vera palla al cazzo. Il film, invece, Fuoco cammina con me, rimane a tutt’oggi una delle mie pellicole preferite. Una decostruzione puramente lynchiana di quanto fatto vedere con l’iterazione televisiva, che prendeva quanto proposto su ABC (network produttore della serie) e lo ribaltava come un calzino. In apertura dicevo che avrei parlato bene di questo ritorno di Twin Peaks: è perché abbiamo a che fare con un prodotto decisamente più lynchiano che twin-peaksiano, se mi passate il termine.

Se infatti nella serie TV originale tutto si basava, anche nei pochi episodi diretti da Lynch stesso, sulla costruzione thrilling, e cioè su chi avesse ammazzato o no ‘sta benedetta Laura Palmer (in questo senso, sì che Twin Peaks è stato seminale), qui di creare una specie di more of the same, Frost e Lynch se ne sono un po' sbattuti le palle. Anzi, riformulo: seppur proseguendo in termini meramente narrativi, questo ritorno di Twin Peaks ha dato più l’impressione di essere una nuova roba di Lynch che la prosecuzione di una serie TV di oltre venticinque anni fa. Magari i prossimi episodi (diciotto in totale, ne avremo quindi almeno fino a settembre) mi smentiranno, ma l’impressione è che il regista abbia avuto, e ottenuto, carta bianca da parte dei produttori, per via anche alla natura premium del network su cui la serie viene trasmessa (Showtime), creando un qualcosa che fosse la summa del proprio percorso artistico, più che il più classico ritorno di fiamma / minestra riscaldata, e questo a dispetto soprattutto dei vari puristi del settore. Gli anni sono passati e Twin Peaks non ha più la forza per imprimere un nuovo trend ad un mercato sempre più saturo come quello delle serie TV; consci di ciò, i produttori hanno evidentemente deciso di togliere le briglie agli autori, che hanno messo in piedi un prodotto che si rifà solo alla lontana a quanto visto in passato, che era a sua volta dovuto ai mille compromessi col network produttore.

Spoiler: non è invecchiata benissimo, e lo dice un amante delle cougar, eh.

Sì, per carità, ci sono le strizzate d’occhio, le citazioni, una certa atmosfera e via dicendo, ma questo ritorno di Twin Peaks si rifà decisamente più alla seconda parte della produzione lynchiana che alle precedenti avventure dell’agente Dale Cooper. E non lo fa con piglio rivoluzionario, come ad esempio ha fatto un lavoro per certi versi simile qual è Legion, che però ha la differenza di essere nuovo, fresco sul mercato. No, piuttosto si cerca di imprimere all’industry televisiva un determinato tipo di linguaggio, che spesso è stato relegato solo ai salotti buoni dei festival del cinema. Ecco, insomma: chi ama Lynch troverà in questo ritorno di Twin Peaks tanti degli stilemi propri del regista statunitense, quindi visioni oniriche a cascata, lunghe sequenze visive apparentemente insensate e rumori e immagini inquietanti che si susseguono senza grandi soluzioni di sosta; il tutto, però, senza mai dare la sensazione di stantio, bensì di piacevole evoluzione rispetto a quanto visto in passato da un regista che ha comunque già dato il meglio di sé. Chi invece ama Twin Peaks ritroverà in questi due primi episodi un prodotto che riprende sì certi aspetti, sia narrativi che stilistici, dell’opera originale (il finale del secondo episodio è a tal proposito emblematico), ma che deraglia rispetto ai canoni classici che proprio allora erano stati fissati, in direzione non di una nuova strada da tracciare, quanto piuttosto come testamento di un artista arrivato a quello che, probabilmente, è il suo ultimo lavoro dietro a una cinepresa. Dal canto mio, mi sono divertito tantissimo guardando questi due primi episodi di Twin Peaks, in attesa di vedere dove il progetto andrà a parare, consapevole che ne vedremo delle belle.

Ho visto questi due prime puntate di Twin Peaks in lingua originale, ed è stato un po’ strano, visto che guardai le due stagioni precedenti cinque o sei anni in versione doppiata. Si è quindi creata tutta quella situazione ambigua da “Ma quindi ‘sto tizio in realtà c’ha questa voce?”. In Italia la serie è trasmessa, in contemporanea con gli Stati Uniti, su Sky Atlantic, ma è reperibile anche su NowTV, che è appunto l’internet TV di Sky. Ah, nel frattempo in Italia è stato da poco pubblicato con Mondadori Le vite segrete di Twin Peaks, un romanzo epistolare sotto forma di dossier scritto da Mark Frost, in cui vengono approfonditi diversi aspetti, soprattutto sulle prime due stagioni della serie TV. Come al solito, se lo comprate su Amazon da questo link, una piccola percentuale di quello che spendete andrà a noi, senza sovrapprezzo per voi.