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L'immarcescibile Peter Berg di Boston: Caccia all'uomo

Dietro Boston: Caccia all'uomo, meraviglioso titolo italiano modello Chuck Norris di Patriots Day, si nasconde il terzo film di Peter Berg (dopo Lone Survivor e Deepwater) inserito nel filone "Basato su storia vera molto recente, che altri considererebbero troppo recente ma Peter Berg no, perché Peter Berg ha la scorza dura come la sella di un cosacco e va dritto per la sua strada". Oppure è il quarto, se vogliamo infilarci pure Friday Night Lights, che però risale ormai a tredici anni fa. O magari è il quinto, se vogliamo considerare pure Battleship (ba dum tss!). Il metodo, bene o male, è sempre quello. Si prende l'avvenimento (recente), magari basandosi su un libro o un articolo che ne abbia già parlato nella maniera giusta. Poi si trova una chiave di lettura forte, che ruoti attorno al sentimento e, se reso possibile dagli eventi, all'eroismo delle persone coinvolte. Infine, come sempre fa il cinema, si lavora mescolando fedeltà ai fatti con svolte romanzate, personaggi basati su figure esistenti con creazioni composte da più persone mescolate assieme. E si tira fuori un film teso, appassionante, ben diretto, possibilmente con almeno una sparatoria, un po' di roba che esplode o quantomeno della gente che corre. Ebbene, Boston: Caccia all'uomo ci mostra un Peter Berg che al terzo tentativo consecutivo piazza finalmente il centro pieno, senza sbagliare una virgola. Oddio, volendola trovare, la virgola, si potrebbe dire che il trailer (perlomeno quello italiano, che mi sono sorbito l'altro giorno quando sono andato a rivedermi Fast & Furious 8) non gli fa un gran favore: vende il film a gente che rischia di rimanerne delusa e non lo vende a gente che magari potrebbe apprezzarlo. D'altra parte, è il trailer perfetto per il titolo che gli abbiamo messo in Italia e in ogni caso quelle sono scelte del reparto marketing, che ci dobbiamo fare? Ma insomma, sto divagando.

Il punto è che l'ultimo di Berg è un film sorprendentemente equilibrato. Per esempio, schiva in larga misura quegli eccessi di retorica al rallentatore che rendevano molesta la pur divertente seconda metà di Lone Survivor, trovando anzi un gusto sorprendente nel piazzare scelte eleganti dove altri metterebbero la scivolata nel pacchiano. Certo, poi, per compensare, ti mette il rigurgitino di pippone quando meno te l'aspetti, ma sempre con un senso della misura e una delicatezza che magari non ti attenderesti dal regista di Battleship e/o da questo genere di film. Il genere, si è più o meno detto, è quello del thriller basato su fatti recenti, vale a dire l'attentato alla maratona di Boston durante la festa del Patriots Day 2013, cui il titolo originale si aggancia senza girarci minimamente attorno. E che thriller! La prima ora di film è una, ehm, bomba di tensione che cresce senza tregua, mozza il fiato e colpisce come un cazzotto quando deve farlo. Poi si tira un attimo il fiato quando scatta la parte più procedurale delle indagini, comunque interessante e coinvolgente, ma subito torna il crescendo con l'episodio assurdo di Dun Meng (eroe improbabile che ha di fatto impedito ai terroristi di raggiungere e attaccare indisturbati anche New York) e si scatena poi una sparatoria enorme, un improvviso e bellissimo momento di guerriglia urbana, girato a meraviglia.

Inoltre, Berg fa funzionare alla perfezione, come forse nessun altro riesce a fare nel cinema di cassetta, una storia corale davvero piena di personaggi, tutti gestiti benissimo e capaci di raccontare quel che serve in un film del genere, spaziando fra eroismi, follia e quotidiano. Al centro di tutto, ovviamente, c'è il personaggio "composto" di turno, interpretato dal bicipite di Mark Wahlberg, che unisce due figure reali per offrire qualcuno che possa seguire le vicende per intero e dal piano terra. Poliziotto un po' ribelle e un po' bravo ragazzo, col muscolo guizzante ma il ginocchio sfondato nel tutore, lascia a casa il sorrisone di Michelle Monaghan e la figlia adorabile per ritrovarsi nel bel mezzo della peggior giornata possibile per un bostoniano. Circondato da tante piccole figure che fanno tutte il loro (Rachel Brosnahan ♥), incarna la spremuta di cliché che serve per portare a casa il risultato, in un film che non concede dubbi o riflessioni, mostra il lato umano dei terroristi ma li inquadra comunque come due animali e non vuole rischiare neanche per mezzo secondo di dare loro giustificazioni o motivazioni comprensibili. Boston: Caccia all'uomo è quello che è, non se ne vergogna mai, mira dritto al risultato e lo colpisce fortissimo. E va bene così.

In lingua originale, chiaramente, sfoggiano tutti l'accento e la carica moralpatriottica che servono. In lingua italiana, se il trailer deve fare testo, è brutto. Così, mi lancio in questi giudizi a caso. Però, ehi, Peter Berg si merita lo schermo grosso. Boh.