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Personal Shopper: fantasmi, alta moda, scazzo

Personal Shopper appartiene in larga misura alla categoria dei film in cui non succede nulla dall'inizio alla fine ma che, se non hai problemi coi film in cui non succede nulla dall'inizio alla fine, ti coinvolgono e ti trascinano fino in fondo senza che tu capisca bene come mai stia accadendo. Racconta, lo dice il titolo, di una tizia che si guadagna da vivere curando abbigliamento, accessori e acquisti vari per le celebrità che non hanno tempo, forza e voglia di dedicarsi ad attività tanto mondane. Ma in realtà la tizia in questione si presenta recandosi in una villa semi abbandonata per trascorrervi la notte nella speranza di entrare in contatto con lo spirito di un defunto. Perché la nostra amica è anche una medium, o quantomeno è abbastanza convinta di esserlo, capace di entrare in contatto coi fantasmi ma non troppo in grado di gestire le modalità della cosa. E Personal Shopper ruota attorno a questa sua (presunta?) capacità per sviluppare alcuni misteri.

Ma il film di Olivier Assayas non è solo una ghost story, anche se il suo esserlo infesta l'intero racconto e avvolge tutto in un'atmosfera di vaga incertezza un po' inquietante. È soprattutto la storia della sua protagonista, che affronta un momento molto specifico della propria vita e cerca di trovare un senso in un lutto recente che la perseguita. Assayas fa insomma un po' il furbetto, aprendo con una lunga scena a base di inquietudini paranormali, piuttosto riuscita ed efficace, per poi spostarsi su un forte dramma personale, vissuto cazzeggiando fra le pieghe di un lavoro facile, remunerativo ma tollerato a fatica e cercando di sopravvivere agli strascichi che l'altra sua attività riversa addosso alla protagonista. Ne viene fuori una roba veramente strana, un "character study", se vogliamo, immerso però in un'atmosfera quasi costantemente inquietante, anche quando ti mostra una tizia che sta scegliendo vestiti al negozio di grandi firme, e che svirgola continuamente fra il dramma della protagonista e una svolta da thriller, giocando oltretutto sul dubbio perenne riguardo alla natura paranormale (o meno) di quasi tutto quel che avviene.

In mezzo a tutto questo c'è la migliore Kristen Stewart, quella che rende con naturalezza e semplicità il senso dei suoi personaggi, interpretandoli in una maniera poco appariscente, che non offre magari spunti per il montaggino della nomination agli award di fine anno ma funziona molto bene in un film di questo tipo. Al secondo lavoro con Olivier Assayas, sembra aver trovato un'intesa di ferro col regista francese e restituisce davvero il senso di dolore e rassegnazione del personaggio, funzionando però benissimo anche nei momenti di panico e tensione. Poi, certo, un approccio attoriale così dimesso può non convincere o dare poco, ma si scivola anche in un discorso di percezione personale ed è in fondo applicabile al film tutto, che è particolare e può respingere, ma ha un fascino abbastanza innegabile.

Fun fact: Kristen Stewart passa tutto il film a tirare continuamente su col naso, cosa che immagino si perda nel doppiaggio italiano. Era raffreddata? Nasce nella sceneggiatura perché fra Parigi e Londra il clima ti fa prendere i malanni? Ci devo leggere altro? Vai a sapere.