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Vent'anni di MAME (1997-2017)

Il 5 febbraio 1997 Nicola Salmoria coagulava insieme un paio di emulatori sparsi e buttava su Internet il Multiple Arcade Machine Emulator. Il MAME. Fin dal nome, per gli amanti del retrogaming, una bomba. Un emulatore di giochi da sala giochi. Un programma in grado di convincere il tuo 486 o Pentium che essere uno Zilog Z80 è assolutamente normale. E che, pertanto, leggere i dati di una scheda PCB del 1980, restituendo al giocatore moderno le emozioni d'antan 1:1 è totalmente sensato.

Pac-Man non poteva non essere nella primissima release del MAME. Ancora oggi è il gioco di default se fai una clean install del MAME!

Certo, da anni esistevano emulatori di macchine casalinghe come il Commodore 64 o lo Spectrum (già su Amiga, ricordate? No). Ma l'emulazione dei giochi da sala sembrava una roba un po' voodoo, perché bene o male un MSX o un Colecovision potevi averlo nello sgabuzzino, toccarlo, rigirartelo tra le mani, ma un scheda da sala? Che è? Come funziona? Dove trovare la documentazione?

Internet aveva subito fugato questi dubbi, giacché si era dimostrato molto più capace di preservare informazioni legate all'intrattentimento effimero piuttosto che, per esempio, forgiare un nuovo e virtuoso idem sentire per l'umanità come tutti pensavano. Così, già nel 1996, alcuni volenterosi cominciarono a studiarsi schematics, pinout e opcode, dando alla luce emulatori arcade, condividendo prontamente le informazioni e i codici sorgente nei circolini dei cervelloni. L'idea di Salmoria fu un successo immediato perché semplice ed efficace: prendiamo i vari emulatori arcade, devoti ciascuno a una manciata di giochi al massimo, e fondiamoli in un unico programma.

Se c'era Pac-Man, come poteva non esserci la signora? Il gioco girava sullo stesso medesimo hardware sputato lui proprio.

Tanto i chip da emulare sono grosso modo sempre quelli – Z80, 68000, 6509, AY8910, YM2203. Tenendo un core di emulatori hardware e scrivendo driver singoli per ogni specifica famiglia di scheda madre, MAME generava (e genera!) delle economie di scala virtuosissime.

Codici sorgente sempre disponibili, build per quasi qualsiasi sistema operativo e hardware dell'universo, MAME diventò in zero secondi l'emulatore di videogame retrò per antonomasia, giungendo al punto in cui nessun coder che volesse emulare un gioco si sarebbe sognato di farlo per i cavoli suoi... perché reinventare la ruota ogni volta?

Se Salmoria pare oggi refrattario a qualsivoglia discussione sul MAME (tipo che ha rimbalzato agevolmente le nostre richieste di intervista) è forse perché, con l'umiltà dei geni, sa che aver dato il "la" a un progetto del genere è sì tanto, ma è poco rispetto a ciò che il MAME è diventato. Con gli anni, MAME ha esteso le proprie competenze e oramai, oltre a migliaia di coin-op, ci potete emulare anche un Vic 20, una calcolatrice scientifica, una tonnellata di inutili videopoker e una tastiera MIDI della Yamaha.

E fin da quella prima release, arrivavano i tuffi al cuore di nicchia che solo "chi c'era" poteva capire. Come il "celebre" Crush Roller.

L'accuratezza dell'emulazione è sempre rimasta una delle vocazioni primarie e ciò continua a rendere il MAME il più importante progetto di documentazione "giocabile" dell'hardware ludico dei tempi andati. Allo stesso tempo, questa vocazione universalistica (emulare TUTTO e AL MEGLIO) ha reso con gli anni l'emulatore più pesante, con l'interfaccia che, per comprendere sempre più informazioni e opzioni, è diventata un labirinto iniziatico. Ci sono state faide interne tra responsabili e collaboratori, litigi, personaggi che hanno lucrato in un modo o nell'altro sull'emulatore contro i precetti ispiratori del medesimo. Inoltre, la curva di "nuovi vecchi giochi emulati e quindi nuovamente accessibili" si è molto addolcita, nel senso che ai suoi albori MAME garantiva ogni pochi giorni un nuovo batch di vecchi capolavori sottratto all'arbitrario oscurantismo dell'obsolescenza tecnologica. Un giorno pensi che Lady Bug sia per sempre perduto e solo un ricordo, il giorno dopo ce l'hai sul MAME ed è per sempre con te, pronto ad essere giocato. Moltiplicare quest'emozione per migliaia di giochi. Questo è stato il MAME degli albori: oggi le sorprese arrivano col contagocce, visto che quasi tutto è stato emulato, soprattutto i grandi classici riempipista.

Delizia e feticcio personale di Babich, al pari di Pengo, Lady Bug generava svolazzanti trallallà.

Ma intanto, a guardare indietro, la cultura stessa del retrogaming come oggi lo conosciamo sarebbe molto, molto meno figosa se non ci fosse stato quel molosso di reference che è il MAME. Stuoli di sviluppatori indipendenti e pixel artist starebbero tutti a guardare il soffitto. Il NES avrebbe un'egemonia irrealistica – più di quanta non ne abbia comunque – e la generazione di mocciosi incollati agli schermi dei coin-op non avrebbe spazio di rappresentazione nel presente. Il MAME è il monolito che ci ricorda soprattutto quanto i videogiochi sapessero essere differenti tra loro, per temi e gameplay, in quell'epoca magica che precede l'omologazione consolistica operata da SEGA, Nintendo e poi Sony.

Feticcio e delizia personale di Babich, al pari di Lady Bug, Pengo generava erezioni glaciali.

E insomma celebriamolo, questo MAME. Leggetevi il readme della prima release, quella uscita esattamente vent'anni fa. E poi scaricatevi l'ultima release e smadonnate perché le ROM di una volta non vanno più. Noi, su Outcast, non ci fermiamo. Babich, in terza persona, minaccia di scrivere un articolo, complementare a questo, in cui ricorda con un mini-racconto quei giorni di vent'anni fa – ma tipo prestissimo.

E non è tutto: insieme al suddetto racconto dall'ospizio, vi arriverà in regalo, first release ever, la tesi di laurea completa del Babich medesimo. Anno 1999, Scienze della Comunicazione feat. Umberto Eco, 110 e lode, titolo: Retrogaming. Un caso di digital preservation dei videogiochi, che sul MAME è evidentemente incentrata.

Lunga vita al MAME!