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Librodrome #82: Generazione 64

Attenzione, in questa rubrica si parla di cultura. Niente di strepitoso, o che ci farà mai vincere il Pulitzer, ma è meglio avvertire, perché sappiamo che siete persone impressionabili. E tratteremo anche dei libri. Sì, quelle cose che all’Ikea utilizzano per rendere più accattivanti le Billy. E anche le Expedit.

Generation 64 è un libro dall’argomento molto specifico e, teoricamente, molto poco interessante, perlomeno se non si vive e soprattutto non si è cresciuti in luoghi dove l’estate dura un paio di giorni e nei mesi invernali il sole diventa un miraggio. Voglio dire, per farla semplice: ma che ce ne dovrebbe fregare, a noi italiani bagnati dal sole e dal mediterraneo, immersi nella pasta e nella pizza, accompagnati dalle placide note del mandolino, di leggere dell’impatto storico che il Commodore 64 ha avuto sulle vite di un’intera generazione di svedesi? Niente, giusto? E invece, guarda, è proprio così: Generation 64 è una gran bella lettura, piacevole, appassionante, ricca di spunti, fascinosa nei riferimenti e, sì, ogni tanto permeata da una sana dose di sticazzi. Ma i piatti della bilancia dicono che ne vale la pena.

Pubblicato originariamente in Svezia nel 2014, il libro curato da Jimmy Wilhelmsson e Kenneth Grönwall ha riscosso subito un buon successo di pubblico e critica, con conseguente improvvisa richiesta di una versione in lingua intellegibile. Da lì a Kickstarter, ormai luogo fondamentale per la crescita della letteratura videoludica, il passo è stato piuttosto breve e in pieno 2015 è scattata una campagna di raccolta fondi che ha fruttato oltre ventottomila sterline (su un traguardo di venticinquemila). Fast forward ancora di qualche mese e a inizio 2016 viene data alle stampe l’edizione internazionale del tomo, un bel cartonato rettangolare di quelli che se li piazzi sul tavolino o in bella mostra nello scaffale fanno sempre un figurone.

L’argomento al centro del volume, come detto, è un’intera generazione di svedesi flippatissimi, videogiocatori ma non solo, che si è vista cambiare la vita dall’arrivo del Commodore 64 e ha finito per generare quella che viene definita la Swedish IT-wonder, un ampio gruppo di virtuosi del codici formatisi sulla macchina Commodore e poi giunti a conquistare il mondo. E se da un lato molta di quella gente è rimasta nel settore, inevitabile pensare a chi è finito a fare il designer in DICE o a chi addirittura ha fondato King, c’è anche chi, pur ricordando con affetto quegli anni e conservando la passione per il codice, si è costruito tutt’altra carriera. Tipo, che so, Tony “Strider” Krvaric, figura mitologica nella demo scene dei bei tempi e oggi capo del partito repubblicano nella contea di San Diego, in California.

Il libro racconta quegli anni e quelle persone in maniera molto schematica, dando prima un’infarinata storica, con un breve racconto sulla diffusione tecnologica in Svezia, e passa poi a catalogare i singoli personaggi, schedandoli in grupponi (gli hacker, i videogiocatori, i musicisti, la demo scene… ) e proponendo per ciascuno di loro un mix di racconto e dichiarazioni nostalgiche. Il tutto, poi, è accompagnato da una documentazione fotografica mozzafiato, tra pubblicità d’epoca, schermate e scatti di famiglia. Ne viene fuori il ritratto affascinante di una generazione folle, raccontato con gusto e passione. E a conti fatti, il suo focalizzarsi su una nazione specifica e particolare finisce per essere un grosso pregio, perché evita la dispersività tipica dei testi dedicati al passato e non impedisce di trovare una chiave di lettura universale. Insomma, molto bene.

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