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Rebuild of Evangelion, non saprei da che parte cominciare (e forse nemmeno voi)

Rebuild of Evangelion, non saprei da che parte cominciare (e forse nemmeno voi)

Lo scorso lunedì, mentre gli appassionati si godevano la calata di Neon Genesis Evangelion su Netflix, o polemizzavano attorno alla stessa, oppure entrambe le cose, sul profilo Twitter ufficiale dell’anime è apparsa la notizia che il prossimo 6 luglio, in seno al Japan Expo di Parigi, saranno proiettati i primi dieci minuti di Evangelion 3.0+1.0, la cui uscita è prevista per il 2020.

Si tratta, per chi non lo sapesse, del quarto e ultimo episodio di una tetralogia cinematografica partita nel 2007 e prodotta dallo studio Khara. Scritta e supervisionata da Hideaki Anno ma diretta, stavolta, da due tra i suoi collaboratori storici: Masayuki e Kazuya Tsurumaki, affiancati nel terzo capitolo da Mahiro Maeda, che pure ha alle spalle un curriculum della Madonna speso, tra le altre cose, tra lo studio Ghibli e la Gainax, e persino tra le fila di Mad Max: Fury Road. A bordo del progetto sono saliti pure Ikuto Yamashita, che all’epoca curò il mecha design per la serie originale, e i fedelissimi Yoshiyuki Sadamoto (character design) e Shirō Sagisu (musiche).

Il tweet è in giapponese ma mi pare di capire che ultimamente sono tutti madrelingua.

Come prevedibile, l’enorme successo maturato da Evangelion ha finito per spingere i film pure dalle nostre parti, agevolandoli addirittura al cinema grazie alle solite Nexo Digital e Dynit. Evangelion: 1.0 You Are (Not) Alone e Evangelion: 2.0 You Can (Not) Advance sono stato proiettati in combo il 4 settembre del 2013, mentre il terzo, Evangelion: 3.0 You Can (Not) Redo li ha segui di un paio di settimane, rimanendo purtroppo nelle sale un solo giorno, in via di non ho ancora capito quale politica della minchia.

Ricordo perfettamente la tirata fino alla sala, al ritorno da una vacanza in Spagna, per procurarmi i biglietti. E ricordo ancora meglio quella verso casa nel tentativo di gestire un’attacco di sciolta madrileña (fun fact: non lo gestii).

Detto questo, se mi aveste incrociato allora e chiesto un’opinione riguardo ai vari film, probabilmente avrei detto “boh” dei primi due e riempito di parolacce il terzo.

In termini di design e animazioni, i primi due film sono pazzeschi.

Per fortuna non mi avete incrociato, risparmiandovi certe scemenze, perché dopo essermi rivisto i Rebuild in occasione della Cover Story di questo mese, con serenità e senza l’ansia da prestazione, devo dire di essermeli stra-goduti.

Chiacchierati inizialmente come dei remake della serie, i primi due film, noti in patria rispettivamente come Evangerion Shin Gekijōban: Jo e Evangerion shin gekijôban: Ha (i suffissi rimandano alla struttura in tre fasi “Jo-ha-kyū”, applicata in Giappone in diverse espressioni artistiche e, in particolare, nel teatro), non si limitano tuttavia a riassumere gli episodi originali perfezionandone regia e animazione, ma introducono diverse variazioni che aprono il lore di Neon Genesis Evangelion a nuove interpretazioni.

All’inizio, queste sono minime, ma poco a poco si fanno più vistose, fino alla comparsa di un nuovo pilota, la misteriosa Mari Makinami, che da un lato, per caratterizzazione e presenza, pare messa lì apposta per trollare certe derive del fandom. Dall’altro, però, in quanto variabile inedita, permette ad Anno di lanciarsi in un esercizio di mitopoiesi che lo porta a redistribuire ruoli, rivisitare situazioni o addirittura riscriverle da zero, in un continuo dialogo metalinguistico con lo spettatore che conosce a menadito la formula originale.

A oggi, il background di Mari Illustrious Makinami è stato esplorato soltanto da un capitolo extra del manga di Sadamoto, che però, almeno fino a prova contraria, non appartiene al canone regolare di Evangelion.

Questa costruzione rappresenta sicuramente un inestimabile valore aggiunto per i film, ma ne riduce l’autonomia rendendo imprescindibile la simbiosi con la serie originale. E, per carità, mi rendo che questa cosa capita spessissimo quando c’è in ballo la cultura pop, e personalmente non mi crea, né mi ha mai creato, particolari problemi, anzi. Era giusto per lanciare il sasso e nascondere la mano. :D

Le cose si fanno parecchio più spinose col terzo capitolo, vuoi per una sterzata in termini visivi, ma soprattutto perché – ta-daaan! - Evangerion shin gekijôban: Kyu è ambientato (apparentemente) addirittura quattordici anni dopo i film precedenti, rappresentando così la prima “roba nuova” dai tempi di The End of Evangelion.

Il tempo passa (quasi) per tutti.

All’epoca, dicevo, mi fece schifissimo, con tutta quella parte iniziale sull’aeronave abusata dalla computer grafica e la famigerata sequenza del pianoforte. Eppure, a riguardarlo oggi, per la prima volta dal 2013, sarà che non avevo grosse aspettative, sarà che con gli anni ho cambiato bocca, mi è andata decisamente meglio.

Visivamente, alcuni problemi restano, soprattutto per quel che riguarda la parte iniziale. Oltre a rompere la coerenza con i primi due film, la computer grafica condiziona pesantemente le scelte di una regia che, nel tentativo forse di sfruttare al massimo la novità, finisce per lanciarsi in movimenti ridondanti al limite del motion sickness.

A livello di scrittura, poi, il film mostra il fianco a problemi di armonia e finisce per coagularsi attorno ad alcune sequenze, mentre continuo a non digerire trovate come la “maledizione degli Eva”, lo scarso respiro di certe situazioni e l’involontaria comicità di altre. Penso a Fuyutsuki, che ha un paio di momenti da umarell da cantiere, o a Gendo che, di fronte a tutto e al contrario di tutto, sottolinea sempre che «il piano sta andando come previsto».

Vi torna, sì?

Eppure, quella famosa sequenza al pianoforte con Shinj e Kaworu, che tanto mi era pesata al cinema, a ‘sto giro non mi è parsa così malvagia. Anzi, assieme ad altri indizi disseminati qua e là, ribadisce i concetti di ripetizione e circolarità attorno a cui ruota buona parte del film, se non l’intera saga. In più, da lì in avanti, Evangelion: 3.0 You Can (Not) Redo accende un crescendo di trovate visive e ritmiche azzeccate, persino spregiudicate, fino a un finale potentissimo, che ne mette in discussione la natura di sequel e obbliga il fan a ripensare buona parte del lore di Eva (lore che, se lo chiedete a me, sta diventando sorprendentemente simile a quello del nuovo Twin Peaks, ma qui lo dico e qui lo nego).

Così, quei Rebuild partiti in odore di remake, oggi, costituiscono un tassello cruciale della saga, oltre che delle opere animate di tutto rispetto. Tra l’altro, se dopo la visione dovesse avanzarvi un poco di cervello da mandare in pappa, consiglio vivamente un giro sul mio sito di analisi e teorie preferito.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata all’arrivo di Neon Genesis Evangelion su Netflix e ai robottoni in generale, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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