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Porco Rosso: meglio maiale che fascista

Porco Rosso: meglio maiale che fascista

… sempre!

Pam! Una bella proposizione politica per iniziare argutamente un articolo.

Ma sapete che c’è? Che questa è la proposizione politica più spiccia di Porco Rosso (Kurenai no Buta): importante (soprattutto di questi tempi) ma non la più importante.

Ma ricordarlo non fa mai male.

Perché Miyazaki (a proposito: qui trovate un lungo speciale acconcio) nel suo cinema ha quasi sempre fatto politica. Le eccezioni si contano sulla punta delle dita e sono quasi sempre i film in cui domina l’infanzia (Totoro, Ponyo e Kiki) e Porco Rosso è, con Mononoke Hime, Conan e Nausicaa, senza dubbio la sua opera più politica. Ancora più del nostalgico testamento Si alza il vento che è prima di tutto una assoluzione dovuta a tutti gli idealisti che hanno lastricato le strade dell’inferno anche se in realtà volevano solo agguantare una fugace bellezza.

E non è un caso che quando deve parlare di politica, la prima cosa che Miyazaki fa è distaccare il protagonista dall’umanità: Marco Pagot (il vero nome di Porco Rosso la cui origine è per me motivo di vanto e orgoglio patrio) è afflitto da una maledizione mostruosa come il Principe Ashitaka e si libra nel cielo incontaminato sopra una terra su cui spirano venti di guerra come Nausicaa. Ma al contrario dei due coraggiosi e incoscienti portatori di pace, Marco è un adulto, come la Padrona Eboshi (prima in classifica delle mie mogli ideali… ma passiamo oltre) e la Principessa Kushana, e in quanto tale non può più portare nulla: ha perso l’innocenza, ucciso e visto uccidere, e impegnandosi al massimo tutto quello che può fare è al massimo proteggere. Creare, riportare armonia resta per sempre al di là della sua portata.
Marco Pagot è stato in guerra e non potrà mai essere assolto da questo peccato senza colpa come milioni dei nostri nonni e bisnonni, come gli zii di Miyazaki, come gli amici di suo padre.

Il trailer originale

Miyazaki quasi spaventa nella sua condanna piena di compassione verso coloro che vengono rappresentati dal monumento vivente che è il suo personaggio. Porco Rosso è maledetto due volte: perché è andato in guerra e perché non è morto. E’ l’unico sopravvissuto della sua squadra, ha ucciso, ha visto morire ma è ancora vivo, il suo aspetto mostruoso lo stacca dagli esseri umani come il ricordo della guerra e della prigionia nei campi nazisti staccò mio nonno materno dalla sua famiglia, uno qualsiasi tra milioni di reduci ridotti allo stesso modo.

C’è una singola scena meravigliosa che dimostra la maestria e contemporaneamente rende palese il messaggio di Miyazaki: la notte prima del duello con il baldanzoso Curtis, Fio si sveglia e alla scrivania da campo coglie Porco Rosso che sta verificando meticolosamente una per una le munizioni che il giorno successivo dovrà usare per proteggerla. Alla luce incerta della lampada, il gioco di luci ed ombre le mostra il volto di Marco Pagot: non il mostro ma l’uomo. L’illusione dura per un attimo in quanto non esiste buona azione o gesto eroico che possa cancellare il passato: la pace è un affare da uomini, la guerra un trogolo per porci.

Il trailer italiano… vi dovete vergognare. VERGOGNARE!!

L’altro messaggio politico potente è quello che Miyazaki carica sulle spalle di Fio Piccolo e di tutte le donne del film. Mentre i maschi litigano e spaccano, le donne costruiscono.
Che Miyazaki, nato e cresciuto in un paese maschilista esattamente come il nostro, abbia riempito il suo cinema di figure femminili tutt’altro che deboli ha quasi del miracoloso, ed è probabilmente il marchio di una testaccia dura incapace di avere pensieri e convinzioni che non siano radicate nell’esperienza personale. Quante donne avrà visto il bambino Miyazaki (classe 1941) caricarsi sulle spalle il peso intero di una famiglia rimasta senza uomini? Quante nonne che si fecero carico dei nipoti dopo aver seppellito i figli, quante madri rimaste contemporaneamente prive di marito, padre, fratelli, quante figlie diventate capofamiglia a sedici, quattordici o dieci anni?

Fio, che vive (ancora) in un tempo di pace, è la nipote, figlia, sorella di tutte loro: non è una cacchio di principessa in pericolo ma decide di esserlo pur di mettere fine ad uno stupido conflitto tra perdenti immaturi, poiché questo sono il “cavaliere dell’aria” Porco Rosso, mercenario assoldato per proteggere, e i Pirati Mammaiuto, avanzi di guerra e di galera. Entrambi “scarti” sprezzati dai professionisti della guerra ormai pronti a portare la guerra aerea ad un ulteriore salto di qualità: non più scontro tra cavalieri e flagello delle trincee, ma velo mortifero da stendere su intere comunità con i bombardamenti a tappeto.

Porco maschilista rimesso in riga

Fio Piccolo, che viene spacciata per una “donna liberata” per le sue doti di ingegnere, riconosciute per il fatto che i fratelli maschi sono altrove (esattamente come i padri, fratelli, figli delle donne giapponesi che Miyazaki dovette vedere ai tempi dell’infanzia), è in realtà una donna libera proprio perché decide liberamente, di sua volontà e nel generale stupore di tutti di offrirsi come “premio” al vincitore di un duello di cui lei è la promotrice.

Non è rapita, non è scambiata, non c’è un mediatore: è lei il mediatore, è lei il paciere è lei la politica che rendendosi conto che i bambinoni non la smetteranno fino a che non sarà stabilito “chi ce l’ha più lungo” evita che qualcuno si faccia davvero male riportando lo scontro dal piano della violenza a quello dello sport.
E’ l’ennesima “Principessa Ghibli” che si mette in gioco in prima persona e si attira immediatamente il rispetto della donna adulta (in quest’opera rappresentata dalla sensuale Gina che… ma cosa ve lo dico a fare?)

Shhhhhhhh…

In tutto questo ricordiamo anche banalmente che Porco Rosso è un anime di una bellezza pazzesca, tra quelli che esprimono meglio tanto la vocazione “alta” di Miyazaki, con scene di volo di una perfezione e leggiadria tale che i corrispondenti live action possono solo andarsi a nascondere piangendo (e, sì, dubito fortemente che l’esibizione muscolare ammeregana del venturo Top Gun cambi questa percezione), quanto il suo spirito goliardico, cialtronesco e gigione, espresso perfettamente non solo dai buffoneschi Mammaiuto, ma anche dallo stesso Curtis, citazione tanto dei bellocci hollywoodiani del cinema in bianco e nero quanto di tutti gli “antagonisti bellocci” messi su celluloide in precedenza, dal Conte di Cagliostro al pragmatico Kurotowa.

Un anime peraltro benedetto, nella generale piattezza di un adattamento italiano “google translate” su cui non spenderei troppe parole, da uno degli ultimi doppiaggi davvero emozionanti in quello che sembra essere il tramonto di una delle più grandi tradizioni mondiali, con Massimo Corvo in grado di dare a Porco Rosso una risata ancora più coinvolgente del doppiatore originale ed una Roberta Pellini che rende Madame Gina… ma cosa ve lo dico a fare?

E infine, tutta questa bellezza, che è l’unica cosa che la vita, la politica, l’umanità, dovrebbe onorare e proteggere, alla fine i duellanti, le donne vittoriose, i Pirati Mammaiuto e tutte le comparse festanti e chiassose, se la caricano sugli idrovolanti e la portano via. Che non ne resti briciola per i fascisti e i guerrafondai.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata alle gioie del volo, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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