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I trent'anni di Mother, con una lacrimuccia (anzi, un bel pianto) a far loro da contorno | Racconti dall'ospizio

I trent'anni di Mother, con una lacrimuccia (anzi, un bel pianto) a far loro da contorno | Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Trent’anni fa, nasceva un franchise che avrebbe lasciato un segno profondo nei fan degli RPG fuori dalle righe, negli appassionati Nintendo e, soprattutto, in chi non pensava che un videogame potesse far vivere emozioni talmente profonde da ritrovarsi con gli occhi lucidi e il magone.

Andiamo con calma.

Prima di tutto, un bel clic qui accanto, sul tasto Play, per l’arrangiamento jazz di Pollyanna, il brano che fa da tema della serie da sempre (presente in mille arrangiamenti anche in ogni Super Smash Bros.):

Fatto? Partita la musica? Cominciamo.

Una mattina del 1989, Shigesato Itoi, noto (in Giappone) copywriter, stava visitando la sede Nintendo per tutt’altre ragioni.

Incontrato Shigeru Miyamoto, gli presentò la sua idea di un RPG ambientato nell’era moderna. Un fatto nuovo e originale, per l’epoca, piena di RPG fantasy e ambientati nel passato.

Miyamoto, sebbene interessato all’idea, congedò l’idea di Itoi sventolando la mano, sapendo che quest’ultimo era strapieno di impegni lavorativi. Shigesato, però, non stava scherzando.

Si ritagliò un bel po’ di tempo libero, trovò un po’ di volontari, si mise di buona lena a scrivere la sceneggiatura del gioco e, con l’aiuto di Nintendo, che considerò il gioco non come una produzione primaria ma come un progetto secondario di appassionati, riuscì a far completare e pubblicare Mother in madrepatria il 27 luglio 1989.

Che soddisfazione, per Itoi.

Nintendo preparò un adattamento in inglese del gioco, ma non lo pubblicò nel resto del mondo per un bel po’ di anni. Complici il Super NES che richiedeva tutte le sue attenzioni, la difficoltà nell’adattare situazioni scomode per il mondo occidentale (religione, politica, riferimenti che richiedevano licenze e autorizzazioni di ogni tipo, giochi di parole difficili da rendere) e la mole di testo presente, il progetto fu abbandonato o, per meglio dire, accantonato.

Il primo prototipo, da cui fu acquisita la rom grazie ai fondi raccolti su un forum dagli appassionati. Il proprietario della cartuccia si chiamava Mariotti, per dire, eh.

Il primo prototipo, da cui fu acquisita la rom grazie ai fondi raccolti su un forum dagli appassionati. Il proprietario della cartuccia si chiamava Mariotti, per dire, eh.

Nel 1998, grazie a 400 dollari raccolti da appassionati su un forum, si riuscì a recuperare una delle cartucce prototipo e la ROM venne condivisa su internet, per la gioia degli appassionati del franchise occidentali, che poterono finalmente giocarsi il progenitore di Earthbound.

Nel 2003, in Giappone, Nintendo pubblicò per Game Boy Advance una raccolta (insieme a un magnifico Game Boy Advance Micro a tema), chiamata Mother 1+2, con i primi due episodi della serie. Si poté constatare solo allora che il prototipo era legittimo, perché tutte le correzioni che erano state aggiunte nell’adattamento inglese erano state implementate nella versione GBA. Questo fu il mio primo incontro con il gioco che inaugurò il franchise. Lo iniziai, nel 2006, sul mio adorato GBA SP, con una Flash2Advance (lacrimuccia), grazie a una traduzione amatoriale fatta da Mato, che aveva addirittura aggiunto un “Easy Ring” al gioco, per adeguare l’enorme e infinito grinding originale ai dettami del gameplay degli anni 2000 (nel gioco originale bisognava grindare un’ora circa per ogni avanzamento della storia, un compito improbo nella frenesia degli anni successivi).

Nota del Maderna: non so se la versione per la Virtual Console Wii U sia stata “aggiustata” in questo senso ma voglio segnalare che io mi sono messo a grindare solo in due punti del gioco.

La bellezza.

Dopo circa cinque ore di gioco, lo abbandonai. Non ero ancora emotivamente abbastanza legato al franchise, ma finalmente, una decina di anni dopo, lo ripresi e lo completai durante l’estate del 2013, nonostante il Mt. Itoi (Itoi si era scocciato e non calibrò adeguatamente la difficoltà dell’ultima area del gioco, rendendola una gara di resistenza al grinding. Ma con l’Easy Ring tutto questo non accade, tranquilli.)

Nel frattempo, altri prototipi avevano iniziato a spuntare: intorno al 2009, come riassunto in ogni minimo dettaglio da Earthboundcentral, ben cinque di questi circolavano su internet a prezzi non proprio accessibili.

Passò altro tempo e nel Giugno del 2015, qualche minuto prima che iniziasse l’E3 direct, dopo appena ventisei anni, Nintendo annunciò la pubblicazione in tutto il mondo di Earthbound Beginnings.

Ricordo bene il brivido che mi scese sulla schiena, il sorriso che inconsciamente mi si stampò sul volto… e basta, l’avevo già vissuto, giocato e adorato. Volevo che pubblicassero Mother 3, insieme a tanti altri, ma Reggie non ha mai voluto saperne. Ora che è andato in pensione, potremmo cominciare a fare un po’ di pressione su Doug Bowser, che ne dite?

Dicevamo, prima di questa lunga digressione (chiamatemi Lars), dei temi già presenti nel capostipite del franchise: la famiglia, l’affetto, gli amici, l’abbandono, la ricerca, gli alieni, i paradossi temporali. L’introduzione del gioco, in cui viene raccontata una storia apparentemente estranea alle vicende del protagonista, fa venire un bel groppo in gola.

Andiamo con calma. Sentite come l’atmosfera di magone e tristezza parta sin dall’avvio. Nel 1989, sul NES, in meno di un minuto, si entra nel mood giusto.

Si fa iniziare la partita e, subito dopo, appare questo testo:

E qui comincia la nostra avventura, completamente scollegata da questo prologo.

Essendo passati ottant’anni da questa introduzione, Ninten è completamente estraneo alle vicende narrate. Tra l’altro, già nel nome del protagonista si vede l’estro di Itoi: i primi due ideogrammi di Nintendo, nin 任 e ten 天, significano, rispettivamente, affidarsi e cielo/paradiso; mai fu più corretto l’adagio nomen omen.

La mappa del mondo nella versione giapponese.

Ninten è un bambino, il gioco inizia in casa sua, con una specie di poltergeist: una bambola che prende vita e ci introduce al sistema di combattimento.

Viaggiando tra i luoghi del gioco, che in giapponese prendono i nomi delle festività del calendario ma sono stati adattati in modo classico nella versione inglese, prende forma una storia di affetto, amicizia, che rivela la verità pian piano, con colpi di scena devastanti.

Rendete onore al trentesimo anniversario di questa perla: è sulla virtual console della Wii U… e se non ci riuscite, non dimenticatevi della traduzione di Mato.

Se avete voglia di approfondire, c’è un bel libro che si è già letto anche il Maderna e che, volendo, potete acquistare su Amazon con il nostro pratico link convenzionato. Che aspettate?

Grazie di tutto, Shigesato Itoi… e visto che di lacrime si parlava, vi lascio con un suo ricordo di Satoru Iwata.

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