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Outcast FOTY 2022

Outcast FOTY 2022

Ed eccoci al secondo giorno di OTY, chiaramente dedicato ai FOTY. Ieri, infatti, vi abbiamo parlato delle serie che assolutamente ci hanno più fatto provare piacere fisico nel 2022, oggi si passa ai film.

Buona lettura e buon 2023!

Stefano Talarico

I film di formazione (tutta la narrativa di formazione… o forse tutta la narrativa tout court), hanno un po’ un grande problema di fondo: se non ti rivedi nella formazione dei personaggi sullo schermo, beh, finisci per romperti le scatole per due ore e passa. Non tanto per le storie in sé… un po’ tutte le storie meritano di essere raccontate, soprattutto se si è arrivati al punto di decidere che valesse la pena farci sopra un film, quanto più perché c’è sempre il rischio di finire nell’abisso di Avatar: La via dell’acqua: non ho assolutamente nessun legame emotivo con i personaggi su schermo e non vedo l’ora di tornare alla mia vita. Mi capita di continuo, anche con le storie di formazione più incensate, e di base mi dispiace, ché non godersi le robe ti rende facile scrivere le recensioni negative, ma per il resto è davvero una scocciatura. The Fabelmans è il mio film dell’anno, perché pur essendo la storia di formazione di uno dei più grandi registi viventi, è lo splendido viaggio di un ragazzino che ha un sogno, e decide di andare fino in fondo. È la storia di un prozio che si mangia il film, e che ci dice che quel sogno finirà per mangiarsi tutto. È la storia di una famiglia allucinata e allucinante, ma per questo verissima da star male, e di tutti quei comprimari che vedi una volta nella vita e ti rimangono dentro per sempre, nonostante una memoria da pesce rosso. È la storia di quando conosci uno dei tuoi idoli, che ti dice delle cose molto semplici ma molto vere, e che finisci per portarti dietro da quando il tuo sogno è diventato la tua realtà, perché s’è mangiato tutto. Oh no, ho fatto un contributo con la sindrome di Return to Monkey Island!

Davide Moretto

Il 2022 non è stato avaro di buoni film, anche se non è stata un'annata strepitosa. Comunque, tra quelli che ho visto, premio il film che mi ha emozionato di più facendo leva sul fatto che sono un vecchio bacucco e quindi dico Top Gun: Maverick. Si tratta di un film "clone" del primo con personaggi scambiati di ruolo? Certamente. siamo davanti a un'operazione di fan service clamorosa? Assolutamente. Ma forse proprio per questo, quando ho iniziato a sentire il tema musicale ormai immortale di Top Gun il mio cervello e il mio cuore si sono liquefatti e mi sono goduto, per fortuna in una sala come si deve, un gran blockbuster americano di quelli che hanno accompagnato gli anni andati. Grazie Tom, sei pazzo e per questo ti adoro.

Andrea Peduzzi

Sono stato leggermente indeciso fra tre film, due dei quali - Licorice Pizza e The Fabelmans - per certi versi spingono nella medesima direzione, andando a pescare nel vissuto dei rispettivi autori, mentre il terzo, Everything Everywhere All at Once, costituisce un eccellente esempio di cinema puro, in quando opera possibile esclusivamente attraverso montaggio e movimento. Alla fine, incapace di risolvermi ho fatto ricorso a un sorteggiatore online (vale, a proposito, il termine “sorteggiatore”?) dal quale è emerso vincitore Everythingcoso; e mi sta bene così, anche perché sono ragionevolmente sicuro di aver generato due universi paralleli comandati, rispettivamente, da Spielberg e Paul Thomas Anderson.

Alessandro De Luca

Il 2022 è stato l’anno in cui ho ripreso a guardare film con regolarità, ed è stato anche l’anno in cui sono tornato al cinema per andare a vedere Avatar: The Way of Water. Non entravo in una sala da prima della pandemia ed è stato emozionante, lo confesso. Ma per quanto mi sia piaciuto assai, il nuovo colossal di James Cameron non è il mio film dell’anno. Ho visto tanti bei film, nel corso di questo 2022, e sono felicissimo di aver ritrovato il piacere del cinema, sia a casa che in sala.

Il mio FOTY, il film che mi è piaciuto di più in questo 2022, non è forse il più bello di quelli usciti quest’anno, ma è sicuramente quello che mi ha emozionato di più e a cui ripenso spesso a diversi mesi dalla visione: Athena di Romain Gavras, un film francese mostrato in anteprima al festival di Venezia di quest’anno e poi uscito immediatamente su Netflix. Ci sono due aspetti in particolare che mi hanno conquistato. Il primo è la realizzazione tecnica davvero fuori di testa (a questo proposito straconsiglio il “dietro le quinte” che si trova sempre su Netflix, ovviamente dopo aver visto il film), con dei lunghissimi piani sequenza che, grazie a dei veri virtuosismi di regia, arricchiscono la visione e rinforzano l’impatto emotivo della vicenda. Il secondo invece è la storia e i suoi personaggi, una tragedia greca moderna (come dice il regista in varie interviste) che racconta una vicenda di purtroppo sempre attuale rilevanza sociale e che mette in scena dei veri e propri conflitti (interiori e non) che non possono lasciare indifferenti. Ho guardato Athena senza saperne molto, avevo solo letto di sfuggita alcuni pareri positivi, e quindi mi ha sorpreso trovarmi davanti a un film così potente e memorabile. Se non lo avete fatto, correte a guardarlo perché ne vale davvero la pena.

Marco Esposto

Top Gun: Maverick. The Batman capolavoro, punto. Ad Avatar: La via dell’acqua ho preferito il primo ma è stato un viaggio di quasi 3 ore e mezza che non mi ha mai gonfiato lo scroto quindi non puoi dirgli nulla. Doctor Strange nel multiverso della follia mi ha fomentato e divertito come Marvel non faceva da un po', forse merito di Raimi. Ma il film di Tom Cruise (sì, il regista è Kosinski, ma Cruise addestrava gli attori a volare nel cielo con gli aerei in maniera da sfruttare i 20 minuti che avevano per stare in quota, riprendersi e scendere, oltre che supervisionare praticamente ogni secondo di pellicola) è qualcosa che mi ha fatto esplodere il cuore. Arcadia di Melzo, sala enorme, Dolby Atmos, a ogni accensione di un aereo tremava la sala. Sì, poi è un film americano su un americano che fa l'americano ed è il migliore perché è americano, ma non mi importa, tornare in sala dopo trentacinque anni in questa maniera qui è una roba che non sanno fare tutti, anzi credo non ci sia riuscito nessun altro. E Tom Cruise è così matto nel culetto che lo amo, nonostante tutto, nonostante Scientology, nonostante Jack Reacher. Il momento con Val Kilmer che porta in scena letteralmente sé stesso con la sua malattia mi ha distrutto. Ora ho voglia di rivedere il film.

Andrea Maderna

Secondo Letterboxd, e chi sono io per dare torto a Letterboxd, specie quando sono stato io a inserirci i dati, in Letterboxd, il mio film preferito del 2022 è Avatar: La via dell'acqua. Perché? Mah, mi sento di dire che sia perché mi ha tenuto con gli occhi spalancati e la bocca pure dall'inizio alla fine, è riuscito a farlo per tre ore abbondanti, m'ha appassionato a livello emotivo, mi ha comunicato qualcosa ed è stato completamente nelle mie corde. Poi, oh, probabilmente è anche perché l'ho guardato proprio a fine 2022, mentre Licorice Pizza, che era l'altro candidato forte, ormai chi se lo ricorda? E quindi a posto così.

Angelo Di Franco

La trilogia di Matrix l’ho amata alla follia. E quando dico che l’ho amata alla follia, vuol dire che, oltre ad aver visto e rivisto i film, ho comprato tutto il comprabile in termini di merchandise: locandine, occhiali da sole, spolverini neri, colonne sonore e i due tie-in dedicati, Enter The Matrix e The Matrix: Path of Neo, cercando di trovare un filo logico in quell’immenso e bizzarro universo crossmediale messo in piedi all’epoca. Ancora oggi, ogni tanto, mi riguardo le scene di The Matrix Reloaded in cui Neo prende a calci i cloni dell’agente Smith e gli scagnozzi del Merovingio. Quando è stato annunciato il quarto capitolo, da una parte ero esaltato all’idea di rivedere gli attori originali riprendere i loro ruoli sotto la guida di Lana Wachowski, dall’altra avevo paura di trovarmi a fare i conti con un film potenzialmente deludente. Avevo la consapevolezza, in cuor mio, che Matrix prima o poi sarebbe tornato e che dopo un finale abbastanza netto come quello di The Matrix: Revolutions, un quarto capitolo sarebbe stato superfluo. E The Matrix: Resurrections, in effetti, è così: un film assolutamente non necessario, fatto soprattutto e prima di tutto per permettere alle creatrici originali di mantenere il controllo sull’universo da loro creato. Ma è un film a cui non si può non voler bene: perché Resurrections, che è allo stesso tempo sia un sequel che una sorta di soft reboot, è prima di tutto un film sull’amore. Da una parte, è un affettuoso omaggio - ricco di citazioni, strizzatine d’occhio e tutte quelle cose tanto care a noi nostalgici – al “Matrix Universe”, e poi è un film che mette al centro Neo e Trinity (riportati in scena in maniera assolutamente non scontata) e la loro voglia di stare insieme contro tutto e contro tutti, come due anime gemelle legate a doppio filo che prima o poi il destino fa incontrare nuovamente. La scena più rappresentativa di tutto il film è proprio quella in cui i due si ritrovano a bere un caffè in un diner, senza conoscere la loro vera identità ma consapevoli di non essere due estranei. Poi, beh, non mancano certo i difetti alla pellicola: i soliti spiegoni filosofici, un bassissimo tasso di “scene di menare” (la mancanza più grave del film, a mio parere) e una certa prolissità a cui si poteva rinunciare. L’assenza di Fishburne e, soprattutto Weaving, si sente parecchio, ma sono sicuro che li rivedremo nei prossimi sequel, che prima o poi arriveranno. Matrix è vivo, che vi piaccia o no.

Natale Ciappina

Amo i film in cui si menano le mani, soprattutto quelli con regia e produzione di un certo spessore. Amo dunque guardarli al cinema, specie se in compagnia di un amico con cui condividere, già che ci sono, una canna di erba o fumo, o magari entrambi, da fumare prima di entrare in sala -- la bottiglietta d'acqua a quel punto è d'obbligo, meglio se frizzante. Un climax bagordo per me meglio di qualunque scopata, oltre che talmente demenziale da convincermi a dargli forma con una lista su Letterboxd in costante aggiornamento, e rimpolpata quest'anno da un diverse pellicole: RRR, Top Gun: Maverick, addirittura Dragon Ball Super: Super Hero, ma soprattutto The Northman, visto in un multisala nel centro di Roma insieme al mio amico Daniele. Sfattissimi, abbiamo visto il Valhalla insieme, ma solo dopo aver messo in dubbio la nostra eterosessualità a causa, com'è intuibile, dei fisici glabri e tesi dei vichinghi. 

Francesco Tanzillo

Top Gun: Maverick è il canto del cigno di Tom Cruise. Non che lui se ne renda conto, ovviamente, ma costituisce la chiusura di un cerchio. In tutti i sensi, è quello che fanno tantissimi altri prodotti (la nuova trilogia di Star Wars, la serie di Willow, probabilmente il nuovo Indiana Jones, e perdonatemi se cito solo roba molto recente ma l’età avanza e mi vengono da citare solo le cose che ho sotto gli occhi) ma lo fa nel modo migliore possibile. Il gioco è quello di invertire le parti, trasformare il giovane ribelle in una specie di maestro ma nel traslitterare questa cosa, ad inceppare il meccanismo che altrove è stucchevole e retorico c’è Tom Cruise, che sappiamo essere perfetto, non come gli altri fallibili esseri umani che invecchiano a decadono. Lui è perfetto e può fare quello che altri non fanno, anche trasformare un film che all’epoca era uno spot per la propaganda bellica statunitense in un film vero. Lo fa mettendoci dentro la gente giusta, spingendo affinché tutto venga fatto nel modo giusto, che poi è il suo e chi non è d’accordo viene cacciato fuori dal set urlando. E tutto questo crea un cortocircuito. Perché dove gli altri falliscono, dove il tema stucchevole passatista e nostalgico ha danneggiato pellicole che sembravano oggettivamente più blasonate e disponibili ad essere stretchate, tagliate, gonfiate e farcite fino a diventare altro, Maverick vince, perché Top Gun era un film vuoto (se non pieno di valori estetizzanti ad esaltare l’ambiente molto più bacchettone e castrato della marina militare) e Tom Cruise è stato capace di riempirlo d’altro. Non mi riferisco certo alla storia, ma al modo in cui questa è raccontata, a quello che è legittimo mostrare sullo schermo e a come questo arriva allo spettatore, e forse anche a un’agrodolce nota malinconica, guardando indietro a quelle che foto che ormai sono solo figurine sbiadite su un muro, in attesa di diventare ricordo.

Stefano Calzati

Basterebbero i tredici minuti di piano sequenza iniziali a spiegare perché Athena di Romain Gavras sia il mio film dell’anno. Pura estasi ipercinetica, coreografia della rivolta, Rivoluzione Francese formato Banlieue, l’odio, sia quello vero che quello di Mathieu Kassovitz, che degenera fino alle porte della guerra civile. Succede di tutto, in ogni angolo dello schermo, in ogni fotogramma, in primo piano o sullo sfondo, con decine di comparse che corrono, sparano, lanciano bengala, scappano, fanno cascare armadi dal quindicesimo piano; cinema di nervi, muscoli, sudore, rabbia. Le urla, gli assalti dei poliziotti, gli agguati, mentre il pomeriggio diventa notte illuminata dalle fiamme e la gente pretende giustizia per l’ennesimo ragazzino ammazzato dallo stato. L’orgia audiovisiva e lo scontro su larga scala di Fury Road che incontra l’angoscia da topi in trappola di Distretto 13, per una pellicola di un’intensità fuori dall’ordinario, che ti lascia lì, boccheggiante, senza fiato, sfinito sulla poltrona mentre scorrono i titoli di coda. E sinceramente, in questo tripudio di guerriglia girata da Gesù Cristo è sacrosanto che la narrativa di sciolga nel casino e resti in superficie solo il messaggio principale: davvero volete portare la Periferia al punto di non ritorno dell’esasperazione?

Gennaio 2003: Gestiamo città, rapiniamo città | Old!

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Outcast SOTY 2022

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