Outcazzari

Librodrome #89: L’universo dei Bitmap Brothers

Librodrome #89: L’universo dei Bitmap Brothers

Attenzione, in questa rubrica si parla di cultura. Niente di strepitoso, o che ci farà mai vincere il Pulitzer, ma è meglio avvertire, perché sappiamo che siete persone impressionabili. E tratteremo anche dei libri. Sì, quelle cose che all’Ikea utilizzano per rendere più accattivanti le Billy. E anche le Expedit.

Sul finire degli anni Ottanta e per buona parte del decennio successivo, i Bitmap Brothers si imposero come le rockstar del videogioco. Furono forse il primo studio a spingere con tutte le forze la personalità delle proprie menti creative, ad ogni costo, anche in maniera macchiettistica, con fotografie pubblicitarie che sembravano uscite dai videoclip dei Duran Duran. Lo fecero andando contro lo stato delle cose, contro quel desiderio di anonimato da parte dei publisher che da sempre dominava nel settore, che sempre dominerà e che già svariati episodi di attrito aveva provocato, per esempio negli anni di Atari. Ma ad identificare i Bitmap Brothers, che per altro fratelli non erano e avevano scelto quel nome solo perché suonava bene e sembrava adatto, non fu solo l’identità pop.

Fronte...

A cominciare dal loro primo gioco, lo sparatutto “nippofilo” Xenon (1988), e via via fino perlomeno a Z (1996), ogni loro uscita si caratterizzava per la cura incredibile, l’alta qualità, la direzione artistica dalla personalità inconfondibile e il mantra di sviluppo da Valve ante litteram: il gioco lo pubblichiamo solo quando abbiamo finito di svilupparlo come diciamo noi. Poi, per carità, si può discutere di come fossero effettivamente i giochi e di certo, specie col senno di poi, non stanno tutti sullo stesso livello, ma la cura incredibile, il preciso e riconoscibilissimo tocco d’autore (anche nelle scelte di colonna sonora), la cura per i dettagli, la voglia di affrontare ogni genere a cui si dedicavano prendendolo di petto e senza timori reverenziali… i Bitmap Brothers erano in cima alla catena alimentare, c’è poco da dire.

Poi, certo, la scintillante medaglia aveva anche un lato oscuro. Affrontare lo sviluppo di videogiochi con quell’approccio generava attrito coi publisher (e non a caso i Bitmap furono strumentali per la nascita di Renegade, un’etichetta dominata da un approccio “studiocentrico”) e allungava sempre più i tempi di sviluppo, specie poi col passare degli anni e l’aumentare delle esigenze tecnologiche. Z, forse il loro ultimo grande gioco, richiese tempi di sviluppo per l’epoca surreali, talmente stiracchiati da far sì che nel frattempo i Bitmap pubblicassero un paio di altri titoli e, soprattutto, da lasciare nel mentre il campo libero alla concorrenza. Concepito bene o male in contemporanea a Dune II, Z giunse sul mercato addirittura dopo il suo successore Command & Conquer, quando ormai il genere degli RTS si era consolidato secondo altre direttive. Poi, certo, oggi è facile dire che la storia ha almeno in parte dato ragione ai Bitmap (le dinamiche di gioco di Company of Heroes, uno fra i pochi sopravvissuti contemporanei nel genere degli RTS, devono tantissimo a quelle di Z), ma all’epoca non fu proprio una vittoria.

... e retro.

Erano gli anni in cui i grandi sviluppatori europei iniziavano ad arrancare e in pochi riuscirono a reinventarsi per inseguire la rivoluzione del 3D, per saltare sul treno devastante di nome PlayStation, che avrebbe spazzato via chi non poteva permettersi il biglietto. I Bitmap Brothers, come tanti altri, furono travolti, in parte chiaramente anche per demeriti loro, in parte per le circostanze. Ma fino a lì, per oltre un decennio, avevano dominato la scena, conquistando una macchina, l’Amiga, e padroneggiandola come pochi altri, come forse nessun altro. Erano l’equivalente dell’epoca di ciò che studi come Naughty Dog sarebbero stati poi: dedicati a un singolo hardware, maestri indiscussi nell’utilizzarlo.

I due Xenon, i due Speedball, Cadaver, Gods, i due The Chaos Engine, sono giochi che lasciarono il segno, rubarono cuori, mostrarono eleganza, maestria, voglia di inventare e reinventarsi, caratteristiche sempre nuove e particolari, trovate surreali e lampi di programmazione geniale. Per un intero decennio, i Bitmap Brothers segnarono a fuoco il mondo dei videogiochi, piazzando un giocone e un successo dietro l’altro, riuscendo perfino nell’impresa di sfondare negli USA con Speedball II: Brutal Deluxe, uno dei pochissimi giochi per computer di matrice europea capaci di catturare l’immaginario collettivo yankee durante quel periodo e restare nella memoria collettiva del posto. Furono, insomma, degli eroi e alcuni di loro avrebbero continuato ad esserlo. Si fa per dire, eh, ma insomma. Per dirne una, Eric Matthews, membro fondatore, diventerà poi un pezzo grosso in Sony, dove ancora oggi lavora come vicepresidente di Worldwide Studios Europe, non a caso presso forse il grosso publisher che più di tutti ama spingere sul fronte della creatività e delle produzioni originali.

La loro storia viene raccontata in The Bitmap Brothers: Universe, ennesimo libro videoludico nato tramite una campagna di raccolta fondi su Kickstarter e giunto finalmente nelle case dei backer qualche settimana fa. Il tomo da ben oltre trecento pagine si presenta su carta spessa e con una pregevole copertina rigida, ruvida al tocco, sensuale da stringere fra le mani. Sul piano visivo, abbaglia con uno scintillante corredo di copertine e immagini di gioco, con tanto di lavoro di stampa ammirevole per riprodurre le scanline, restituendo l’effetto che si provava ammirando quei delicati cumuli di pixel su uno schermo alimentato da tubo catodico. E il racconto che emerge dalle sue pagine, scritto in maniera scorrevole, densa d’informazioni, coinvolgente, costituisce – come sempre, in questi casi – non solo la storia di uno studio fondamentale, di gente d’élite del settore, ma anche quella del settore stesso, la cui evoluzione si riflette nelle vicende dei Bitmap. Il racconto è diviso in maniera abbastanza schematica, fra momenti per lo più punteggiati dai singoli giochi e dal loro sviluppo, e porta dall’inizio alla fine, toccando tutti i passaggi fondamentali, raccontando la nascita, l’esplosione, il declino e il post mortem. Una lettura entusiasmante, imperdibile per chi quegli anni li ha vissuti, affascinante anche per chi non c’era ma è curioso riguardo alla storia dei videogiochi.

Chiaramente, è possibile comprarlo sul sito ufficiale dell'editore.

I Am Not a Serial Killer: Ammazzavampiri alla Van Sant

I Am Not a Serial Killer: Ammazzavampiri alla Van Sant

OneShot ti hackera il PC

OneShot ti hackera il PC