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Racconti dall'ospizio #148: Another World oggi come allora?

Racconti dall'ospizio #148: Another World oggi come allora?

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Su certe cose penso sia meglio essere onesti e ammettere di non esserlo stati, perché tanto poi su internet è un attimo che salti fuori qualcuno in grado di sputtanarti. Tanto tempo fa, in una galassia lontana, giocai e rigiocai ad Another World con una copia pirata. Giocai e rigiocai e rigiocai e rigiocai e rigiocai, come facevo all'epoca, perché i giochi erano brevi e quelli belli (o quelli belli che possedevo) non erano tanti. Avevo (e ho tutt'ora) parecchia roba originale per Amiga, ma per qualche motivo molti dei miei giochi preferiti ce li avevo copiati. Molti, non tutti, ma molti. Another World, nettamente uno fra i miei preferiti, faceva parte del club. L'ho pure comprato originale tanti anni dopo, solo per il piacere di avercelo. E ricordo ancora con amore incredibile tutto il fascino che mi sparò in vena quando lo avviai per la prima volta, con quell'introduzione dall'atmosfera pazzesca, che ti raccontava tutto quel che c'era da sapere in breve tempo e poi ti teletrasportava lì, in un altro mondo, completamente alieno, ostile, illeggibile e perfetto.

A riguardarla oggi, quell'introduzione, fa comunque un certo effetto. Se ne percepisce lo stile potente, si nota la capacità espressiva, ci si aggrappa alla musica ma inevitabilmente non colpisce come allora, se non attraverso il fascino della nostalgia. Nei primi anni Novanta, però, mamma mia. E poi eri lì, in questo luogo surreale, che iniziavi ad esplorare prendendo subito una raffica di calci in faccia ma assorbendoli con piacere, perché in fondo era ancora abbastanza la norma. Tra l'altro, full disclosure: faccio parte di un club che i commenti su internet mi svelano non essere particolarmente esclusivo, quello di chi non aveva capito che si potevano tirare calcetti ai vermi per disfarsene. Sul serio, l'ho scoperto, boh, vent'anni dopo o giù di lì, una volta che mi è capitato di guardare un longplay su YouTube. Ma all'epoca, una sega: li saltavo tutti, uno alla volta, sperando che fossero in posizione per poterli saltare tutti di corsa quando poi si ripassava inseguiti dal panterone. Roba da matti, eh. Ma d'altro canto, il semplice fatto che mi sembrasse tutto sommato normale dover fare così rende l'idea di quanto fossi abituato al videogioco come pratica punitiva degna di Giucas Casella.

Another World era strapieno di momenti che sapevano raccontarti un mondo, una storia, una vita con mezza inquadratura, uno sguardo, un gesto. Faceva quasi tutto attraverso il gameplay, ma aveva quei due o tre stacchi, quelle brevi cutscene dall'impatto clamoroso. Un momento, in particolare, me lo ricorderò finché campo. Sei riuscito ad evadere col tuo nuovo amico alieno, prendete assieme l'ascensore, salite fino in cima alla torre e ti avvicini alla finestrella. Da lì, panoramica in soggettiva su una città enorme, che ti suggeriva avventure infinite, popoli, luoghi. Promesse che sarebbero rimaste tali, mantenute solo nella tua immaginazione, dato che poi il gioco, di quella città, ti faceva esplorare ben poco. Oggi metterebbero in produzione un prequel in cui te la mostrano per intero ma allora, per fortuna, no. Era, fra l'altro, un momento del tutto facoltativo, potevi anche non salirci, in cima a quella torre. Ma ogni volta che morivo e ripartivo dal checkpoint precedente, salivo con l'ascensore e lanciavo di nuovo lo sguardo dalla torre. Perché mi piaceva farlo. Ma anche perché ci tenevo che nella mia partita, nel mio checkpoint, quella panoramica fosse avvenuta. L'ho rifatto anche oggi, rigiocandoci su Switch.

Dopo quel momento così clamoroso, ci si infilava nel corpo centrale dell'avventura, che diventava un po' più "giocosa" in senso classico, focalizzandosi su esplorazione, enigmi, piattaforme, combattimento. Era la parte forse meno affascinante del gioco ed era senza dubbio quella più capace di frustrare, anche se, col senno di poi, rimettendoci mano oggi, rimane abbastanza netta la sua natura non necessariamente ingiusta, solo di un'altra epoca. È vero che qua e là capita la morte abbastanza imprevedibile, così come è vero che l'esplorazione si fa abbastanza ampia, con enigmi da risolvere agendo su elementi lontanissimi fra di loro, senza grosse indicazioni sul percorso da seguire. Allo stesso tempo, però, i checkpoint sono piazzati in maniera da supportare chi intraprende la strada corretta. I nemici appaiono talvolta all'improvviso, ma quasi sempre perché attirati dal nostro fare casino. E in generale, c'è una logica evidente in ogni azione richiesta, in ogni pericolo improvviso, se si ha la pazienza di studiare gli ambienti, notare la loro composizione, collegare i puntini. Insomma, per gli standard odierni, al di là dell'appellativo "il Dark Souls di", è impensabile, ma nella sostanza è solo un gioco che non ti imbocca... ma neanche usa il cucchiaio per lanciarti in faccia la merda.

Il bello, poi, è che in mezzo a tutto quel giocare della fase centrale, Eric Chahi infilava comunque tanti piccoli guizzi di narrazione ambientale, che in qualche modo portavano avanti l'esile racconto mantenendolo anche intrecciato al gioco più in senso stretto. Perché seguire la fuga parallela dei due protagonisti, oltre a essere buffo ed emozionante, si legava al potersi costruire opportunità di fuga. Lasciarsi alle spalle l'alieno sconosciuto significava ritrovarsi senza via d'uscita. E poi, quando finalmente le forze dei due tornano ad unirsi, c'è quella parte finale, in cui Another World torna a fare un po' cinema, con sequenze giocate che rispondono a precisi criteri narrativi e ti conducono verso una conclusione romanticissima, di quelle che spezzano il cuore.

Di nuovo: a rimetterci mano oggi, si trova un gioco molto datato, sorretto dal fascino della nostalgia, ma si vedono anche in maniera estremamente limpida tutta una serie di aspetti in cui il capolavoro di Delphine Software dettò una strada, indicò modi e strategie per fare determinate cose che ancora oggi tornano e ritornano senza tregua. E sono tutte cose che all'epoca lo rendevano il gioco mozzafiato che era. Il gioco mozzafiato che il seguito su Mega CD, non curato direttamente da Chahi, non sarebbe riuscito ad essere. Il gioco mozzafiato che Flashback, a lungo invischiato nell'equivoco di essere ritenuto da molti un seguito, sarebbe magari stato sotto altri punti di vista, via, lo concedo, ma che assolutamente non era e non voleva essere alla stessa maniera. Another World fu a lungo tempo, banalmente, qualcosa di unico, pur in un filone, quello degli arcade adventure, che allora era popolatissimo, popolatissimo quasi come lo sarebbe poi diventato decenni dopo, in una scena indie che deve tanto al lavoro di Chahi e altri suoi contemporanei.

Come sia rigiocarci oggi l'ho più o meno fatto capire, penso, ma due parole specifiche sulla versione Switch, curata dai soliti di Dotemu e gentilmente fornita al sottoscritto, spendiamole. Si tratta, sostanzialmente, del remake già visto negli scorsi anni su altre piattaforme, che propone una veste audiovisiva rimessa a nuovo, modernizzata in una maniera che, se lo chiedete a me, riesce a centrare molto bene il cliché del "come è nei miei ricordi". Il gioco, qui riprodotto nella sua veste "extended", con quelle brevi sezioni centrali che mancavano su Amiga e assaporai solo anni dopo su PC, permette, come tanti remake recenti, di passare in qualsiasi momento dalla veste grafica nuova a quella originale, con la semplice pressione di un tasto. E bisogna dire che, tutto sommato, fanno entrambe la loro bella figura. È chiaro che l'alta risoluzione del remake finisce per essere preferibile quando si spalma il tutto su un cinquanta pollici, ma certi scorci del design visivo originale sanno ancora stupire e, giocando in modalità portatile, quindi con uno schermo non poi così più piccolo dei monitor Amiga di una volta, la grafica originale fa ancora la sua porca figura.

È anche possibile scegliere (purtroppo non con un tasto ma tornando al menu iniziale) fra tre diverse edizioni della colonna sonora: quella originale, quella della vecchia edizione su CD-ROM (la mia preferita, nonostante non sia quella dei miei ricordi), e quella del remake recente, rispettosa e di buona qualità tanto quanto la grafica. Inoltre, è stato aggiunto un classico sistema di salvataggio dei capitoli che permette di selezionare una qualsiasi delle tante fasi di gioco dopo averle raggiunte almeno una volta. Una trovata comunque piacevolissima per chi, vittima della nostalgia, vuole giocare e rigiocare a questo o quel passaggio specifico, magari provandolo nelle diverse vesti grafiche e sonore. Insomma, Dotemu ha fatto il solito gran bel lavoro e chi è interessato a mettere o rimettere mano su Another World può andare sereno sulla versione Switch... o su tutte le altre uscite su dispositivi mobili o fra la scorsa generazione di console e questa.

Semblance ti immerge nel pongo

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