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Ma alla fine com’erano gli OAV di Alita? Eh!

Ma alla fine com’erano gli OAV di Alita? Eh!

Eccoci qua con la mia seconda incursione nel modo di Alita l’angelo della battaglia. Dopo aver spennato un po’ il manga e in attesa di occuparmi del film che uscirà il prossimo 14 febbraio – giusto in tempo per San Valentino – è il turno dei due OAV usciti nel 1993, distribuiti pure dalle nostre parti in VHS dai tipi di Granata Video, su doppiaggio curato da Fabrizio Mazzotta.

Dietro la produzione c’erano lo studio Madhouse e la mano di Hiroshi Fukutomi, che all’epoca aveva a curriculum roba come Doraemon nel paese preistorico, diversi episodi di Occhi di gatto e di Carletto il principe dei mostri, ma soprattutto Fatal Fury: La leggenda del lupo famelico, nato dal successo dei picchiaduro targati SNK (e sbarcato pure quello in Italia). Alla sceneggiatura salta fuori il nome di Akinori Endô, già collaboratore di Yoshiyuki Tomino in seno a Mobile Suit Z Gundam e alla successiva Gundam ZZ, oltre che autore degli adattamenti animati di City Hunter e 3x3 occhi.

Piuttosto clamorosamente, mancava all’appello proprio Yukito Kishiro, che, tra una lezione di judo e il manga, si era dato più o meno per disperso (e purtroppo si vede).

All’ombra del titolo Battle Angel - Gunnm, per i giapponesi - trovano posto due episodi dalla durata di circa mezz’ora ciascuno, Rusty Angel e Tears Sign, che coprono più o meno l’arco narrativo dell’origine di Alita fino alla dipartita di Yugo, raccontato nei primi due volumi omonimi dell’edizione giapponese.

All’epoca, per noialtri ragazzetti affamati di manga e compagnia cantante, le videocassette della Granata erano oggetto di culto e protagoniste di visioni collettive al limite del rituale che manco i pornini. Nel caso specifico di Alita, gli OAV trovarono addirittura posto nel cineforum del mio liceo, durante una memorabile occupazione, a fianco di opere decisamente più rilevanti come Akira di Ōtomo e Lamù - Beautiful Dreamer di Oshii.

Yugo è sempre il solito debosciato.

Oggi, seppellita l’ascia di guerra verso l’ex Ministro della pubblica istruzione D'Onofrio e preso atto che in tempo di carestia ogni buco è galleria, quei due episodi di Alita mostrano tutti i loro limiti, anche contestualmente agli standard di quei tempi là. Il comparto artistico e la regia appaiono totalmente privi di carattere, piatti, soprattutto se confrontati con la potenza visiva del manga, e pure il lavoro sull’animazione non è un granché. Tuttavia, i maggiori problemi emergono dalla scrittura, dall’adattamento della storia e dal ritmo.

«Come sono capitata qui, in termini di sceneggiatura?»

Il personaggio di Alita viene introdotto senza il benché minimo respiro, ché evidentemente il prodotto era specificatamente rivolto ai fan del manga, già avvezzi alla vicenda. Allo stesso modo, tutto il futuro distopico di Salem e della città discarica viene ridotto a pallido fondale, buono giusto per dare una spintarella alla backstory di Yugo e cose così.

Non c’è traccia del Panzer Kunst propriamente detto, attributo fondamentale per la già fin troppo asciutta caratterizzazione della ragazza cyborg (per darvi l’idea, sarebbe un po’ come tacere l’Hokuto Shin Ken in un film su Kenshiro). Allo stesso modo, mancano alcuni personaggi chiave, mentre altri sono stati “fusi” tra loro a favore della new entry Chiren, una scienziata proveniente da Salem legata all’entourage di Vector, ex partner e interesse sentimentale del Dr. Ido. Piccola nota di colore: nonostante sia assente nel manga originale, Chiren tornerà nel film di Rodriguez con i lineamenti di Jennifer Connelly.

Uguale alla Connelly.

Come accennavo poco sopra, il ventre davvero molle dell’anime è il racconto. In generale, non ho grossi problemi con i rimaneggiamenti, ma qui si ha davvero l’impressione di un taglia e cuci frettoloso che, anziché raccogliere lo spirito del manga, tende semmai a riassumerlo nei momenti migliori e a travisarlo nei peggiori. Chiren, la cui storyline scimmiotta in versione “adulta” quella di Yugo, avrebbe forse potuto rinfrescare un po’ la vicenda, ma purtroppo si limita a introdurre una nota sentimentale/erotica assolutamente pretestuosa.

Come se non bastasse, la rilettura della violenza non riesce a centrare quel gusto iperbolico e al limite del fiabesco di Kishiro, versando semmai sul morboso.

Insomma, se lo chiedete a me, questi OAV di Alita sono un sottoprodotto assolutamente trascurabile, e se potevano avere un minimo di senso nel 1993, oggi non hanno davvero ragione di esistere. Se proprio volete fare un ripassino in vista del film, molto meglio dare una letta ai primi capitoli del manga, e via.

Ho riguardato gli OAV di Alita a casa di mio cuggino che aveva ancora le videocassette originali della Granata Video e il videoregistratore attaccato alla tele (#credici). Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata ad Alita e alla fantascienza giapponese moderna, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

Guscio senz’anima?

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