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Racconti dall'ospizio #177: Arrivo tardi e mi attacco al treno (senza rapinarlo): una panoramica su quei pochi giochi western che i miei colleghi mi hanno lasciato

Racconti dall'ospizio #177: Arrivo tardi e mi attacco al treno (senza rapinarlo): una panoramica su quei pochi giochi western che i miei colleghi mi hanno lasciato

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Avrei dovuto parlare di vecchi giochi ambientati nel Far West, ma tra un impegno e l’altro sono arrivato tardi. Praticamente tutti i vecchiacci hanno già trattato buona parte dei titoli che avevo in scaletta, probabilmente in modo più interessante rispetto a quello che avrei scritto io. Quindi che si fa, adesso? Si chiude il browser dicendo a giopep che se ne parla il mese prossimo? Nossignore, siamo gente di buon gusto, cultura e dalla seria professionalità, indi per cui, eccovi una manciata di vecchiume dal sapore buono, quello delle indomabili praterie della frontiera americana. Nel caso di uno o due, l’aroma potrebbe anche essere compromesso da eventuali escrementi equini. Ve lo dico in anticipo, altrimenti ci restate male.

Train Robbers - Firebird, 1988

Ah, un vecchio classico, un eccellente budget che quasi nessuno ama ricordare, ricco di umorismo, carattere e accompagnato al SID da Rob Hubbard, che male proprio non fa. Cactus Pete è un delinquente con il pallino delle rapine al treno, uno particolarmente imbecille. In questo multi evento a prezzo budget venduto da Firebird, il vecchio Cactus deve avvicinarsi al convoglio designato, raggiungere la carrozza contenente la cassaforte e svaligiarla, facendo attenzione ai cani da guardia. Lo schema di gioco è piuttosto limitato e ripetitivo, ma il livello di difficoltà aumenta dopo ogni colpo, mantenendo alto l’interesse. A reggere tutto l’ambaradan c’è la simpatia del protagonista, sottolineata da spassose quanto fantozziane animazioni nel caso di sconfitta. Se APB di Atari rendeva caricaturale e divertente il mestiere della guardia, Train Robbers fa lo stesso con quello del fuorilegge. Che io sappia, il gioco è stato pubblicato solo su Commodore 64, quindi dategli una possibilità, dovreste avere bene o male tutti un biscottone a spasso per casa.

Occhio alle gallerie. Oppure no: Pete che sbatte la testa sul soffitto va visto almeno una volta!

Spaghetti Western Simulator - Zeppelin Games, 1990

“… and thank you for the spaghetti western, crazy italian!“. Così mi salutò un tizio che lavorava alla mensa dell’UNCW di Wilmington, quando vivevo dall’altra parte dell’oceano, e sono abbastanza sicuro che non si riferisse a un altro gioco a prezzo ridotto, stavolta pubblicato da Zeppelin Games. Quella Zeppelin di Draconus, sentito nonché riuscito omaggio a Sacred Armour of Antiriad. Una software house che nei primissima anni azzecca solo bei giochi, chiedendo la bellezza di settemilacinquecento lire al posto delle canoniche cinquemila, ma che, andando avanti, comincia a inquinare il mercato con discrete cagate come il qui presente Spaghetti Western Simulator. Un tiro al bersaglio monotono e lento in cui si spara contro sagome monocromatiche che si affacciano sul fondale, evitando di colpire i buoni e facendo attenzione a ostacoli tipici dell’ambientazione, come le celebri ruote di carro rotolanti assassine (TM). Mi è sempre piaciuto lo sprite del protagonista nella versione Spectrum.

Barili rotolanti e madonne alla finestra. Sembrano gli ingredienti per una delle mie imprecazioni.

Law of the West - Accolade, 1985

Quando Ray Kassar fece inalberare un manipolo di programmatori al soldo di Atari, affermando poco diplomaticamente che erano importanti tanto quanto gli addetti alla catena di assemblaggio, diede un contributo notevole alla storia dei videogiochi, seppure involontariamente. David Crane, Bob Whitehead, Larry Kaplan e Alan Millar "disertarono" per formare Activision e il resto è storia. Millar, da parte sua, lasciò in seguito i suoi colleghi per formare Accolade ammaliato dalle potenzialità del nuovo Commodore 64, creando un'etichetta destinata a divenire un punto di riferimento per chiunque volesse realizzare videogiochi sportivi di alto livello. Il suo primo gioco fu Law of the West, un racconto interattivo da vivere nei polverosi stivali dello sceriffo di Gold Gulch. Lo scopo del gioco è arrivare alla fine della giornata, amministrando la legge con diplomazia e piombo. I dialoghi avvengono scegliendo tra quattro possibilità e le parole vanno soppesate per bene, dato che le azioni dello sceriffo, alla lunga, influenzano le relazioni con i concittadini, risultando spesso in conseguenze inaspettate. Non è bello essere lasciati a morire perché un cinico dottore ha deciso di punire con l'indifferenza il nostro grilletto facile, per intenderci. Esiste addirittura una versione per Famicom.

Io non ti vorrei fare incazzare ma non capisco cosa ci sia scritto!

Sheriff - Nintendo, 1979

Sheriff è il primo gioco Nintendo a vantare una storia, ancora prima di Donkey Kong. Lo sceriffo del titolo deve salvare la sua bella da una banda di fuorilegge grazie ad un innovativo sistema di controllo che abbina al canonico joystick - usato per muovere lo sprite principale - uno switch rotante per direzionare lo sparo, indipendentemente dallo spostamento del tutore della legge. Tutto questo prima del Robotron di Eugene Jarvis, candidando quindi il gioco Nintendo a padre spirituale del genere twin stick shooter. Il gioco fu commercializzato in America da Exidy con il nome Bandido, ma non è chiaro se si tratti di una licenza regolare o di una copia; questo fatevelo dire da Babich, ché mi si sta abbassando l’attenzione e devo andare a giocare a Red Dead Redemption II. Al timone, il leggendario Genyo Takeda, alle illustrazioni un giovanotto proveniente da Sonobe che si sarebbe occupato nello stesso anno anche della grafica di Space Fever. Proprio quello che, qualche anno dopo, avrebbe trasformato il fiasco di Radar Scope nel gioco con lo scimmione e i barili a cui si accennava qualche riga in alto.

La classe! La meraviglia! Il Giappone!

Gun.Smoke - Capcom, 1985

Aspè, calma. Pensavo che Babich avesse scritto una di quei suoi racconti dove si dipinge come un adolescente timido che alla fine limona duro grazie a Gun.Smoke, e invece scopro che ha fatto una cosa simile con Iron Horse? O tempora, o mores. Beh, non sarò certo io a parlarvi dello schema di gioco simile a quello di Commando, differenziato dallo scorrimento forzato e dal sistema di controllo a tre pulsanti, né accennerò alla riuscita colonna sonora di Ayoki Mori, che torna in gran spolvero dopo i successi di Son Son e Makaimura. Non mi salta neppure per la testa di accennare che della versione americana, distribuita da Romstar l’anno successivo, ne esistono due revisioni, con la seconda che inverte l’ordine dei livelli tre e sei, rendendo un gioco di per sé bastardo ancora più rognoso. Del resto, è uno dei classici più difficili creati da Yoshiki Okamoto, per ammissione del suo stesso creatore. Non ho manco intenzione - certo che siete petulanti - di parlare della sua ispirazione, ovvero la longeva (oltre seicento episodi spalmati su venti stagioni) serie televisiva Gunsmoke, scritto così com’è, senza il punto.
No, io voglio che mi spieghiate la traduzione apportata al commento di Rignall riguardo la conversione per Commodore 64, altrimenti esco pazzo, mi tormenta da trent’anni.

Cos’è un “bambino sordo e handicappato che colpisce fisarmonica rotta“?

Questo articolo fa parte della Cover Story più veloce del West, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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