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Underworld: posso volergli bene?

Underworld: posso volergli bene?

Per me parlare di Underworld è un profondo e sincero atto d’amore. Essere cresciuti con un film, tende a fare questo effetto.

Do per scontato che tutti lo conoscano, o quantomeno che tutti sappiano di cosa parla: una faida millenaria infuria fra vampiri e licantropi; stop, è grossomodo tutti qui. Una premessa figlia del suo tempo, quando storie simili trovarono ampio spazio dopo un decennio (gli anni ’90), in cui la mitologia del vampiro era tornata prepotentemente in auge. Non a caso vi fu una controversia, fra la produzione del film e nientemeno che la White Wolf Publishing, l’editore dietro il gioco di ruolo Vampiri: la masquerade. La causa era naturalmente di plagio. Troppi elementi in comune: ambientazione contemporanea, attriti fra le due specie e così via.

Plagio o meno, è chiaro quale fosse il concept dominante in quel periodo. L’abbandono della veste gotica in favore della contemporaneità. L’idea di una società nella società, che è stata capace di affrontare l’incedere del tempo senza opporsi all’innovazione, ma anzi abbracciandola. Una cornice stilistica che propone un setting completamente in notturna, che qualcuno un tempo definì con l’appellativo di “urban gothic”, e che, se mai voglia significare qualcosa, rappresenta la transizione temporale dell’immaginario gotico ottocentesco, in un complesso urbano tutt’altro che gotico, e tutt’altro che ottocentesco.

Dietro la realizzazione del film non abbiano nomi altisonanti. Len Wiseman, il suo regista, adatta un soggetto scritto a più mani, fra cui figura Kevin Grevioux; un nome che non vi dirà nulla, ma che ha comportato molto per il franchise, avendo interpretato il ricorrente lycan Raze. Il gigante di colore che appare nelle prime battute del film. Per il resto a fare il bello e cattivo tempo è il cast. Una su tutte Kate Backinsale, Selene, volto assoluto della serie, ma anche Michael Sheen e Bill Nighy, corrispettivamente il lycan Lucian, e l’antico vampiro Viktor.

Kate Beckinsale nei panni di Selene.

Svolgimento del film a parte, cosa si può raccontare? Nulla di particolare a dire il vero. Non c’è nessun virtuosismo registico, né chissà quale particolare vezzo narrativo. Eppure ha avuto ugualmente il potere di insinuarsi nel mio immaginario, e di calcificarsi in esso. Hanno sortito lo stesso effetto film come Blade e Blade II, ma Underworld? Sul serio? Vedete, c’è una parte di me che prova un po’ di imbarazzo, tuttavia soffro a non considerarlo un cult; e credo anche di aver capito il perché.

Comincio dicendovi che per quel che mi riguarda, Underworld è un film di fantascienza. Qui il sovrannaturale non c’entra nulla. Vampiri e lupi mannari sono il sottoprodotto di una mutazione genetica. Vi risparmio l’antefatto su Alexander Corvinus, e del perché è diventato immortale dopo aver contratto la peste. Questa non vuole essere una discussione cringe del tipo “Underworld spiegato”. Però ecco, ho voluto fare questa postilla, perché parlare di vampiri e licantropi evoca certi immaginari fantasy; immaginari che qui non esistono proprio.

Fantasy o meno, ciò che distingue le due specie (se possiamo parlare di specie), è lo standard di vita. I vampiri sono barocchi, a tratti persino pacchiani, arroccati nelle loro ville a bere sangue in calici di cristallo. Al contrario i lycan (che licantropi veri e propri neppure sono) dimorano nel sottosuolo, in mezzo alla merda, detta in soldoni. Abbiamo quindi due archetipi: gli aristocratici e i poracci. Naturalmente da proletario non posso che patteggiare per questi ultimi. Scherzi a parte, il film mi sta a cuore per tante ragioni. Innanzitutto ho sempre adorato queste due figure mitologiche. Licantropi in primis. Osservarli in questa guerra, un po’ sacra un po’ ideologica, spinti da secoli di odio e disprezzo fermentato, generava in me un gaudio sorprendente. Un film madido di elementi pulp tanto banali quanto divertenti: latex, pistole tutte incredibilmente automatiche, e pseudo armi quali fruste e shuriken (?). C’è una sequenza, a mio avviso la migliore del film, dove Lucian espelle delle ogive d’argento dal proprio corpo; attenzione, non le estrae, le espelle nel vero senso della parola, mostrando fra l’altro un bellissimo volto ferale, il tutto con Judith (Renholder Remix) degli A Perfect Circle a fare da cornice musicale. Quella sequenza, forse a causa della mia ingenuità, mi fa uscire di senno tutte le volte. Il teenager che è in me esulta.

Su Selene è facile scrivere due righe. La bellezza la precede, eppure in Underworld la trovo interessante per altre ragioni. Diciamo che incarna esattamente, l’ideale di vampiro che preferisco: zelante e, soprattutto, laconico. Selene non parla molto, e quando lo fa mostra una risolutezza inamovibile. E nonostante gli innumerevoli giochi di palazzo (non sorprendiamoci troppo se la White Wolf li ha accusati di plagio), ella riesce ugualmente a sostenere le sue convinzioni, da sola contro un intero sistema scandito da una gerarchia fredda e atavica. Un tratto di lei che ho sempre adorato.

Oppure vogliamo parlare di Viktor? Un grandissimo Bill Nighy, che da grande caratterista qual è, ci regala IL signore della notte. Un vero e proprio archetipo per me. Non sono mai riuscito a immaginare un volto, e un modo di gesticolare da vampiro, che non fosse il suo. Scolpito nel permafrost. Provai pure a rifarlo con l’editor di Skyrim. Poi ecco, Underworld ha delle piccole chicche visive, che a mio avviso meritano il biglietto. Il risveglio degli anziani, per esempio, con quel rituale del sangue utile per trasportare la memoria degli eventi contemporanei, direttamente nella mente del risvegliato. Io vado pazzo per questa roba.

Bill Nighy, dove lo metti fa bene.

Chiudo con i lycan; che ho lasciato alla fine apposta. Questi sono brutti, meglio dirlo subito. Con quelle facce squadrate, che tutto ricordano tranne che un lupo. Anzi, spesso non sono altro che semplici mob inseriti ad hoc, per dare un senso alle pistole di Selene. Eppure sono affezionato anche a loro. Sarà per via della poca computer grafica, mai invasiva. Sarà per via di quel retrogusto pop sfumato con l’horror, che tanto andava vent’anni fa. Perché sì, Underworld ha vent’anni. Persino l’atto della trasformazione, croce e delizia di molti, non imbarazzava. Insomma, brutti e sporchi, proprio come un lupo mannaro dovrebbe essere, più o meno.

Underworld ha avuto tre sequel e un prequel, o meglio dire, ha avuto un buon sequel, Underworld Evolution (che a mio avviso ottimizza quanto di buono c’era nel primo film), e due sequel imbarazzanti all’limite del macchiettistico. Il terzo film, il prequel, Underworld: Rise of the Lycans, possiede un grande pregio: Quello di essere dimenticabile.

Ma Michael? E cosa mai potremmo dire di Scott Speedman, a parte le sue quattro battute, il suo complesso da buon samaritano e… l’essere un incrocio fra le due specie. Certo, in quella vesta né vampiro né lycan la figura è davvero porca. Ma per quanto il suo scontro con Viktor sia un bel momento apicale, lo spazio a lui concesso (l’incrocio si intende) è fin troppo breve. Uno dei motivi per cui ho definito Evolution, “un buon sequel”. Ce ne fossero.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata ai vampiri, che trovate riassunta a questo indirizzo.

Il tempo dei Pass

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