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La dolce inutilità di The Ramp

La dolce inutilità di The Ramp

Che senso ha lo skateboard? Perché devi buttarti da una gradinata a bordo di un pezzo di legno con quattro ruote di poliuretano, facendo ruotare la tavola lungo il suo asse longitudinale e rischiando nel mentre di spaccarti un braccio? Non sai che esistono gli scalini?

La risposta a questa domanda è la più grande lezione che mi hanno insegnato gli sport su tavola. Me la sono posta a dodici anni, quando ho comprato la mia prima Toy Machine, e me la pongo oggi, alla soglia dei quaranta, quando mi torturo gli stinchi provando a replicare le gesta di Rodney Mullen (fallendo). Lo skateboard non ha nessun senso, nessuna utilità, e questa è la sua grandezza. Mi butto giù da quattro scalini perché posso farlo, per vedere se ce la faccio, per sfidare me stesso, per fare qualcosa di bello. La bellezza è inutile, ma come si può vivere senza? Ecco, lo skateboard mi ha insegnato che vale la pena rischiare di rompersi un osso per creare un effimero istante di stupore.

I videogiochi hanno più volte cercato di catturare l’essenza dello skate, riproducendone con successo alcune caratteristiche. Thrasher: Skate and Destroy, ai tempi della PS1, coglieva il brivido dell’illegalità e della tribù, Tony Hawk’s Pro Skater raccontava il sogno di svoltare con la carriera da pro e il disprezzo per la forza di gravità, mentre i vari Skate di EA hanno provato a mettere l’accento sulla tecnica e sull’esecuzione. Potremmo citare lo spirito un po’ modaiolo e anni ’80 dell’ostico 720° di Atari, o la funzionale semplificazione da fingerboard del fantastico e più recente OlliOlli. Nessuno di questi giochi, che per la cronaca ho amato in ogni loro incarnazione, ha saputo raccontare l’inutilità di cui sopra. Per adattare lo skateboard alla dimensione ludica hanno sentito l’esigenza, pur comprensibile, di nasconderlo dietro a livelli, sfide, obiettivi. La crescita di uno skater non è riassumibile con la stat dell’equilibrio e dell’ollie: si misura con la soddisfazione di aver chiuso uno specifico trick in un punto specifico del mondo, dopo aver visto qualcosa di eccezionale in un elemento apparentemente noioso come un muretto o una ringhiera.

The Ramp è un gioco inutile. Non ci sono punti né cose da sbloccare, l’interfaccia è minima e l’unico scopo è andare in skate, nello specifico nella dimensione degli half-pipe e delle bowl (le piscinette). Il sistema di controllo mette l’accento sul concetto di “pompare”, il gioco di gambe che si fa per sfruttare il momento impresso dalle rampe e prendere velocità, per andare sempre più in alto e poter eseguire trick più complessi (o anche solo per andare più in alto, perché è bello guardare Newton negli occhi e alzare il dito medio). Dopo un breve tutorial, ci si trova abbandonati in uno splendido mondo tridimensionale, che ricorda alcuni vecchi giochi isometrici, dove i pipe e le bowl sembrano sospese nel vuoto, appoggiate sulle note di una colonna sonora rilassante. Chi proprio vuole, può trovare un barlume di sfida negli achievement di Steam, ma è evidente come The Ramp sia in realtà un giocattolo e non ci siano modi sbagliati per fruirne.

Non serve altro.

Non serve altro.

Dal mio punto di vista, l’unico difetto di The Ramp è la piattaforma PC, che solitamente associo a sessioni più lunghe e ragionate. Vorrei giocarci per ingannare il tempo aspettando la metropolitana, su un’amaca, sul cesso. Sì, sono quel tipo di giocatore che vorrebbe tutto su Switch, va bene? A parte gli scherzi, The Ramp è il gioco che meglio rappresenta il vero spirito dello skate. I suoi limiti sono le sue feature e se avete mai messo piede su una tavola non riuscirete a non innamorarvene. Anche se è, appunto, inutile.

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