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Tales of Berseria ti mette dalla parte dei terroristi | Spoiler Zone

Tales of Berseria ti mette dalla parte dei terroristi | Spoiler Zone

Una rubrica in cui parliamo di giochi, film, libri, la qualunque, a posteriori, senza farci alcun problema di spoiler. Se non avete ancora "consumato" ciò di cui si parla, in questo caso Tales of Berseria, statene alla larga, perché potremmo svelarvi ciò che non volete sapere!

Che poi, a pensarci bene, la cosa capita piuttosto spesso nei JRPG: ci ricordiamo tutti di Cloud Strife, mercenario al soldo dell’organizzazione eco-terrorista Avalanche dedita a turbare la pacifica vita dei cittadini di Midgar con attentati che quando non costavano la vita a solerti impiegati e bravi padri di famiglia, comunque creavano disagi anche gravi a centinaia e centinaia di incolpevoli.

La ribellione costi quello che costi ad un ordine costituito che solo a parole si propone di garantire pace, sicurezza e prosperità (giuro che questa l’ho sentita da qualche parte), mentre in realtà consuma ogni risorsa presente e futura per i suoi miopi scopi (davvero… ma dove l’ho già sentita?) ricorre come motivazione dell’eroe in un buon terzo (forse pure di più) dei prodotti destinati agli adolescenti del Sol Levante, e in seguito riversati nel mondo intero. Senza dover andare a Final Fantasy VII, basta pensare il successo del molto più recente Persona 5.

La cosa che Tales of Berseria, sedicesimo capitolo della serie “Tales of”, si permetteva di fare era di aumentare un pelino in più l’ambiguità di questa opposizione sopratutto mettendoci nei panni di una protagonista, Velvet Crowe, molto più simile all’identikit del terrorista medio: strappata ad una vita di routine, mossa solo dal desiderio di vendetta, istigata ad uccidere come semplice mezzo per rimanere in vita, indifferente alle conseguenze delle sue azioni.

Dall’altra parte il Redentore Artorius, l’oggetto ultimo del suo odio, trasuda letteralmente sobrietà e intenzioni onorevoli, manca cioè sia della laida avidità del primo presidente Shinra, sia dell’arroganza egotista che accomunava l’erede Rufus Shinra e l’antagonista di Persona 5, Masayoshi Shido. A livello puramente “politico” è difficile negare la validità del progetto di Artorius, e se i metodi possono essere discutibili, lo sono sicuramente meno di quelli di Velvet, la cui cieca volontà distruttiva sospettiamo abbastanza presto essere persino in conflitto con le speranze di coloro che vuole vendicare.

Anche la “posse” che si riunisce attorno alla kamikaze Velvet non si connota certo per positività: uno spadaccino diventato demone per l’ossessione di uccidere il fratello maggiore, superiore a lui in capacità; un’auto-definitasi “strega” che deride ogni etica e ogni valore, e infine un pirata. Persino i personaggi positivi sono “macchiati”: da una parte un bambino vissuto come schiavo che si lega a Velvet per un singolo gesto di gentilezza, e dall’altra un’inquisitrice tanto idealista quanto priva di esperienza, che si trova fortuitamente infiltrata nella cellula di criminali e deve quindi portare avanti il suo compito di quinta colonna a suon di spergiuri.

Ora c’è la possibilità che abbiate aperto questo articolo ma non abbiate giocato Tales of Berseria e vi stiate chiedendo se, dopotutto valga, la pena recuperarlo, per cui, prima di andare pesantemente a spoilerare vi dò il mio parere: se vi piacciono i JRPG, secondo me ne vale la pena.

Tales of Berseria, anno 2016, è - assieme a Persona 5 - uno dei giochi che mi hanno dato la soddisfazione a lungo cercata di “giocare un anime”. Certo, il paragone con il gioco di Atlus crolla nel momento in cui ci si confronta con un gameplay inesistente che fa pensare che, se fosse stato una visual novel, il trucco avrebbe funzionato lo stesso; un soggetto ben curato ma certo meno profondo (anche se privo di quell’ammosciamento che tutti i Persona patiscono tra secondo e terzo atto) e una colonna sonora che sembra “RPG Maker con i soldi”, mentre la OST di Persona 5 è un orgasmo continuo spalmato su tre comodi CD.

Tutte cose che vengono equilibrate in maniera accettabile dai suoi punti di forza: il character design della veterana Mutsumi Hinomata al posto di quel banale piacione di Kosuke “Oh! Mia dea!” Fujishima; un’ottima regia che rende quasi inavvertibile la transizione tra i filmati animati da UfoTable (di cui vi ho già parlato ai tempi di Demon Slayer), le cutscene, le fasi di esplorazione e combattimento e gli intermezzi dialogati tra i “cartonati 2D” dei personaggi. Infine, il doppiaggio originale affidato ad una squadra di navigati professionisti capeggiata da Rina Sato, che proprio in Persona 5 aveva dato la voce a Makoto “brava e buona fino a che non mi fate incazzare” Nijima, e che qui riesce a spingere un po’ oltre l’impossibile equilibrio tra “sorella responsabile e materna” e “tigre con una ferita di troppo”.

E ora, per darvi il tempo di decidere tra recupero e “ma chi se ne frega, spoilerami”, un video che non c’entra nulla.

Brava e buona fino a che non la fate incazzare

Il profilo “terroristico” di Velvet è, come si diceva, abbastanza spinto: già solo nel secondo arco narrativo scatena un incendio devastante in una pacifica cittadina per garantirsi una via di fuga. Poi distrugge strutture civili e militari, rapisce persone, costella il suo percorso dei cadaveri dei rappresentanti della legge che le danno la caccia, occupa un villaggio mandando profughi gli abitanti. Agisce colpendo i suoi avversari nei loro punti deboli, e giocando una partita di trappole e contro-trappole unicamente finalizzate a trovarsi in una posizione di vantaggio che le permetta di uccidere i più alti ufficiali del nuovo ordine, almeno due dei quali meritano la nostra empatia.

Ma ovviamente non c’è molto stupore a scoprire che a Tales of Berseria “non gli regge” di andare fino in fondo.

Indizio sufficiente poteva essere il tono empatico e spesso rilassato riservato alle interazioni tra la “posse” di ribelli.

Ovviamente non tanto per il fatto di fare emergere gli aspetti positivi della protagonista che sono naturale e coerente conseguenza del fatto che neanche il suo nuovo odio cancella totalmente il suo essere comunque una ex-brava ragazza che ha sopportato la perdita dei genitori e della sorella maggiore, e si è fatta carico di un fratello malato con il solo aiuto del cognato.

Così come gli aspetti positivi degli alleati sono espressione di una “natura profonda” (schiettezza per Rokuro, responsabilità per Eizen, curiosità per Magilou) non cancellata dal loro essere stati feriti, maledetti o traditi.
Questo alla fine è almeno verosimile, in quanto solo un completo deficiente (e purtroppo ce ne sono molti) può davvero dividere il mondo in buonissimi e cattivissimi e collocarsi, banalmente, sempre dalla parte “giusta”.

Al limite un pessimista come il sottoscritto può constatare che stiamo vivendo uno di quei rari momenti della storia in cui il conflitto è arrivato a tali punti di disumanizzazione, tra potenti che ammazzano civili con bombe a cui è stata data intelligenza e altri potenti che ammazzano altri civili con bombe a cui è stata tolta, che la possibilità di vedere il nemico come un uomo ce la siamo giocata.

No, in realtà il punto debole sono i molteplici siparietti comici, che nel loro essere tutti (ma, giuro, tutti!) azzeccatissimi per brio, ritmo, sarcasmo o autoironia, dimostrano che chi curava la sceneggiatura non riusciva a credere abbastanza nel tono dark da reprimere l’evidente divertimento nel fare quello che stava facendo.

E quindi, a Tales of Berseria “non gli regge” di andare fino in fondo.

L’obiettivo finale del “Nuovo Ordine” è il solito, banale, piano per ottenere la pace in terra trasformando gli esseri umani in automi apatici; partendo dal presupposto che gli istinti distruttivi dell’uomo siano inestricabilmente ed inevitabilmente legati alle sue emozioni positive.

Quella simpatica visione dualista e, diciamocelo, assolutoria (“sì, siamo degli stronzi, ma è grazie al fatto che siamo degli stronzi che possiamo essere dei santi”) che è curiosamente trasversale alle filosofie delle civiltà che hanno portato avanti guerre di sterminio ma che non tiene molto in considerazione gli equilibri molto meno distruttivi (diremmo: più umani) che pare fossero diffusi nelle civiltà sterminate. I vincitori non scrivono solo la storia, ma anche la filosofia.

Insomma: il Nuovo Ordine ha la solita idea del cacchio, e i suoi sostenitori sono dei fanatici o delle persone morte dentro e, quindi, ciò che Velvet e i suoi compagni hanno fatto non solo viene compreso quale reazione violenta ad una violenza che a priori macchia i fini, non importa quanto nobili, ma anche giustificato retroattivamente.

AMV!! Dai che ve lo aspettavate…

L’ulteriore momento di imbarazzo di questa risoluzione, penso che sia comune a tutti quelli che hanno giocato Berseria, è nella contemporanea risoluzione del punto di rottura di Velvet: il momento in cui realizza che la vendetta che aveva desiderato, come tutte le vendette, è non solo inutile ma palesemente contraria ai desideri di chi si proponeva di vendicare. Il momento in cui, realisticamente, la piena comprensione di quanto fatto, del dolore arrecato, delle vite spezzate, la lasciava di fronte alla scelta tra diventare una pura macchina di violenza (quello che succede molto spesso) o farsi uccidere dai sensi di colpa (quello che sceglie). Questo momento topico viene bellamente “riavvolto” dal fatto che il giovane imberbe che ha salvato per caso e tenuto per senso materno trova il coraggio di confessarle che i suoi ormoni prematuri si attizzano per ragazze più grandi, leggermente psicopatiche e con un braccio demoniaco.

Sì, lo so che ho un po’ dissacrato la questione, ma abbiate il coraggio di ammettere che, come me, avete pensato “Buongustaio!” e non “Oh, quanto amore!”.

Peraltro lasciatemi aggiungere che, imbarazzo a parte, dall’inizio alla fine l’episodio è recitato con grande capacità ed emozione, segno della versatilità della doppiatrice.

Da quel momento in poi ogni ambiguità è risolta: i “terroristi” sono definitivamente diventati la “resistenza”, e il resto è solo una rimonta inarrestabile in cui i personaggi (e interpreti) sfogano tutta la loro badasseria naturale senza più trattenersi: inanellando le rese dei conti che ancora mancavano all’appello fino allo scontato, ma non privo di cuore, finale.

Ma sarebbe ingiusto dire che Tales of Berseria è un brutto prodotto perché non soddisfa le aspettative per una storia drammatico/sarcastica sul fatto che le migliori intenzioni portano SICURAMENTE all’inferno se pensi che sia inevitabile pavimentare le strade con cadaveri. Tales of Berseria è un buon prodotto di intrattenimento, una bella storia leggera interpretata bene. Un valido anime action fantasy che ha l’unico difetto di essere un videogioco con un gameplay privo di sostanza: poteva andare peggio.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata alla dimensione politica nei videogiochi (e non solo), che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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