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I cavalieri della vecchia generazione

I cavalieri della vecchia generazione

Ah, Knights of the Old Republic. Per parlare di questo gioco, forse, è opportuno prendersi del tempo, e partire da Neverwinter Nights. Perché? Presto detto: oltre a usare lo stesso motore grafico, KOTOR era anche stato sviluppato dalle stesse persone e la campagna base di Neverwinter Nigths non era, strettamente parlando, un capolavoro (niente da dire però sulle espansioni, soprattutto Hordes of the Underdark, ma questo è un altro discorso).

Da un lato, quindi, c’era l’entusiasmo e l’eccitazione per un gioco di ruolo ambientato in un universo che amavo, controbilanciato però dal timore di trovarmi di nuovo a dover dare la caccia a quattro oggetti, quattro creature o tre MacGuffin a caso di nuovo e di nuovo ancora per poter andare avanti in un pezzetto di trama. Atroce.

Mai stato più felice di sbagliarmi. Knights of the Old Republic riuscì ad appassionare sin dai primi istanti: bei personaggi, belle situazioni di gioco, un regolamento semplice e profondo al tempo stesso. Era perfetto, quasi. Come potrei dimenticare il rapporto tra la ladruncola Tw’lek e il suo protettore Wookie? Ancora oggi ho i brividi a pensare a cosa si può arrivare a fare se si sceglie un percorso “malvagio” per il proprio personaggio.

A tutti gli effetti, KOTOR rappresentava il meglio di quel periodo di transizione tra due generazioni di giochi di ruolo. L’Infinity Engine di Baldur’s Gate e Planescape Torment era stato abbandonato da relativamente poco tempo e il 3D iniziava a imporre la propria inflessibile presenza. Ricordo con molta chiarezza le discussioni nei forum di quei giorni, il solito, trito, dividersi in fazioni, i timori (del tutto infondati) che il fatto che KOTOR sarebbe uscito anche per console l’avrebbe reso “stupido” e non all’altezza dei giochi di ruolo solo per PC.

Insomma, le solite stupidaggini tra hater e controhater che si leggono ancora oggi.

Quale è l’importanza di Knights of the Old Republic, però? Fondamentalmente, aver gettato le basi dell’intero genere dei giochi di ruolo cinematografici. Senza di lui non ci sarebbe stato Mass Effect, o Dragon Age. Nei cavalieri Jedi della vecchia repubblica albergavano i semi degli Spettri e dell’Inquisizione che avrebbero divertito milioni di appassionati anni dopo, e questo rende automaticamente KOTOR un progenitore e un classico con una enorme importanza in quello che è il nostro passatempo preferito.

Detto questo, non amo incensare e lodare senza ritegno qualcosa. Non era un gioco perfetto, si percepiva una certa schematicità nell’avanzare della trama e nelle discussioni coi compagni di squadra, e le location non brillavano certo per estensione o complessità, ma sono tutti “difetti” che si spiegano con il livello piuttosto acerbo della tecnologia di quegli anni e, a voler essere onesti, i pregi sono di sicuro più numerosi e più importanti dei difetti, quando si parla di KOTOR.

Se dovessi indicare il singolo lato più positivo del gioco, non ho dubbi che sia “la prima partita”. (Spoiler, per chi non l’avesse mai giocato, ma considerata l’età del gioco, non mi farò problemi a parlare di elementi di trama importanti nei prossimi due paragrafi).

Il fatto di iniziare come un “normale” soldato e poi scoprire di avere poteri Jedi, la prima volta che lo si scopre e si “vive” la rivelazione, è estremamente eccitante ed entusiasmante. L’effetto “ma che figata!” c’era tutto, e l’esperienza di gioco cambiava totalmente, aprendosi a numerose nuove strade per risolvere le varie missioni, senza parlare di poter scegliere i poteri di forza, l’effetto delle spade laser nei combattimenti, eccetera.

E poi c’era la grande rivelazione verso la fine del gioco, sulla natura del proprio personaggio. Una rivelazione che, di nuovo, la prima volta che si giocava a KOTOR colpiva con la stessa forza del finale de Il sesto senso. Nel mio caso, ricordo che mi sentii tradito da tutti i miei compagni e la mia discesa al lato oscuro fu immediata, non per il male in sé, ma perché il mio personaggio si sentiva usato, sfruttato e tradito. Nella mia mente non ero neanche davvero “tendente al male”, semplicemente volevo farla pagare a chi mi aveva tenuto nascosta la mia natura.

Fine degli spoiler.

La potenza narrativa di Knights of the Old Republic è quindi notevole, e la sua importanza storica innegabile… ma ho un rimpianto, fondamentalmente legato al seguito. Il secondo capitolo lo considero superiore al primo in quasi tutto. Kreia era un personaggio incredibilmente profondo e le situazioni moralmente ambigue di KOTOR 2 le ho sempre trovate incredibilmente più stimolanti. Sfortunatamente, uno sviluppo travagliato, tempistiche troppo strette e bug resero il lavoro di Obsidian imperfetto e alla fine il gioco subì numerosi tagli, e come se non bastasse, tutto il capitolo finale era palesemente una cafonata arrabattata alla meno peggio tanto per chiudere in fretta il contratto. Uno spreco enorme.

Questa “sfortuna” di Obsidian si ripeté più volte nel corso della storia dello studio, in molti sicuramente sapranno del loro mancato bonus produzione per Fallout: New Vegas per un solo, singolo punto percentuale mancato su Metacritic.

Mi sembra però di cattivo gusto finire una celebrazione di Knights of the Old Republic ricordando episodi negativi che in fondo neanche lo riguardano in modo diretto. Il gioco è un classico, ormai gira su qualsiasi computer esistente ed è giocabile anche su cellulare. Se ci si ha giocato quando è uscito, vale sempre la pena di iniziare una nuova partita, ma nel caso tra chi leggesse ci fosse chi non ha mai avuto l’occasione di giocarci, non posso che consigliare caldamente di recuperarlo su una qualsiasi piattaforma di quelle che lo offrono. Su Android costa 10 euro, su GOG.COM 8. Si tratta di un prezzo irrisorio per il gioco che ha ispirato l’avventura di Shepard e tutto il panorama moderno dei giochi di ruolo occidentali.

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