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Librodrome #55 – Ico, una favola dell'era digitale

Librodrome #55 – Ico, una favola dell'era digitale

Attenzione. Ogni due settimane, in questa rubrica si parla di cultura. Niente di strepitoso, o che ci farà mai vincere il Pulitzer, ma è meglio avvertire, perché sappiamo che siete persone impressionabili. E tratteremo anche dei libri. Sì, quelle cose che all’Ikea utilizzano per rendere più accattivanti le Billy. E anche le Expedit.

Visto che The Last Guardian non arriverà mai, forse non è mai esistito e di sicuro mai esisterà – facciamocene una ragione, piangendo in silenzio e ingoiando lacrime salate – converrà accontentarsi di ICO (e Shadow of the Colossus), rispolverando un vecchio libercolo contenente una lucidissima analisi di un capolavoro (abbastanza) incompreso.

"Era nato con le corna. Per questo, avevano paura di lui. All'inizio, fu ostracizzato. Poi fu imprigionato. Infine dimenticato. Ma un giorno riuscì a sfuggire dalla sua tomba. Si ritrovò in un castello e dentro il castello trovò una ragazza peculiare. Il suo nome è Yorda. Il suo nome è ICO. E il castello non aveva nome, né uscita, né una spiegazione circa la sua esistenza… Solo pericoli e spiriti minacciosi."

Solita copertina verdognola.

Solita copertina verdognola.

Nel volume ICO. Una favola dell'era digitale, edito parecchio tempo fa da Unicopli (non dovreste avere problemi nel reperirne una copia), Ben Mottershead esamina il gioco di Fumito Ueda sul piano ludico, narrativo, estetico e artistico, smembrandolo minuziosamente e analizzando ogni suo singolo elemento, per 160 intensissime pagine, sino ad elevarlo all'ennesima potenza critica. La lettura del testo di Mottershead risulta edificante, si direbbe propedeutica all'approccio con il gioco, mentre l'indice del volume agevola la navigazione del lettore lungo gli onirici mondi sospesi nel tempo. Il capitolo che tratta la genesi, lo sviluppo e la ricezione di ICO, ad esempio, traccia un dettagliatissimo post mortem del gioco (di quelli che piacciono tanto a noi), racconta della fortissima tecnofilia di Ueda, dei molti problemi che il team di sviluppo affrontò nella fase di programmazione e persino che l'idea iniziale di ICO prevedeva l'inversione dei ruoli dei due personaggi: Yorda avrebbe dovuto guidare ICO, anziché seguirne ogni movimento.

L'autore analizza perfino le funzioni che i personaggi ricoprono all'interno della storia, rileggendo ICO attraverso il filtro della teoria degli archetipi. Cioè, se il piccolo eroe può essere considerato espressione dell'umano raziocinio, l'accusa che Yorda non sia autarchica, ma pur sempre bisognosa di altri per sopravvivere, trova qui una confutazione anche a livello tecnologico.

Tant'è: "La programmazione dell'intelligenza artificiale non è ancora avanzata al punto di consentire lo sviluppo di una personalità indipendente nella forma di un personaggio non giocante. Da un punto di vista tecnico, è molto difficile riuscire a creare una dinamica ambientale sufficientemente evoluta da permettere un'interazione tramite l'I.A. che sia libera, non predeterminata."

De Chir-ICO

De Chir-ICO

Apprendiamo ancor meglio che ICO è un titolo coerente con la propria estetica minimalista, cattura a sé il giocatore senza risultare intrusivo. L'assenza d'interfaccia, però, non deve trarre in inganno e portare a credere che si tratti di un gioco semplicistico e triviale: l'HUD non è stato rimosso, infatti, ma è stato occultato e integrato per mezzo di una brillante opera di level design. "ICO non tradisce la propria coerenza, riconoscendo la realtà del giocatore. Al contrario, fa sì che il giocatore si dimentichi di tale realtà, trascinandolo in un mondo di gioco altro." L'analisi del gioco è brillante e capillare, spiega tutte le ombre del castello, la sua "a-temporalità", la sua immobilità e lo stato di trance con cui investe i suoi visitatori digitali, concedendo loro l'illusione che il gameplay sia aperto, libero. Il terzo e ultimo capitolo (ICO, tra arte e simulazione), infine, traccia tutte le possibili affinità artistiche tra l'estetica di Fumito Ueda e le opere di Giovanni Battista Piranesi, passando per le metafisiche rappresentazioni di Giorgio De Chirico, sino alle ricorrenti illusioni ottiche di Maurits C. Esher.

"ICO non ha riscosso un grande successo commerciale. Snobbato dai giocatori abituati ad emozioni forti e brutali, il gioco di Ueda è apparso fin troppo delicato. Questo libro vuole rendere omaggio a un capolavoro incompreso."

Leggetelo, rigiocatelo.

Fatelo.

Fatelo.

"Ueda ha proposto ai giocatori un prodotto minimalista e avvincente. Ha eliminato il tutorial. Ha inserito un solo livello di difficoltà. Ha ammutolito il suono. Il risultato è un'esperienza di gioco  capace di coinvolgere come poche altre. I videogiochi possono esaltare, terrorizzare, divertire. Pochi, tuttavia, sono stati capaci di commuovere. ICO è uno di questi". (Matteo Bittanti)

"Comunque, poco male: il topone spelacchiato di The Last Guardian faceva proprio schifo." (Fotone)

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