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Le ali (fisse) della libertà

Le ali (fisse) della libertà

Librarsi nell’aria è da millenni una delle più grandi ambizioni dell’umanità. La volontà di emulare il mondo animale, vedendo in questo il grado di libertà ideale per sentirsi realmente vivi. L’avvento degli aeromobili ha in parte colmato il gap, pur avendo mancato quel fondamentale aspetto che, oggi più che mai, ha ridotto quella libertà che gli uomini del passato invidiavano a mero strumento: la guerra.

Il medium videoludico ha più volte rappresentato l’impiego di queste macchine; perlopiù in contesti narrativi dinamici, nei quali la rappresentazione di un conflitto armato forniva e definiva la linea topica centrale. Eppure abbiamo anche esempi tutt’altro che conflittuali. Alcuni simulatori (non sempre includibili nella sfera del videogioco) come Flight Simulator ne sono un chiaro esempio. Il ludibrio nel volare su un monomotore turistico, e quindi osservare la vastità ambientale accuratamente riprodotta, può suscitare emozioni tutt’altro che dinamiche, asservendosi di conseguenza ad aspetti decisamente più contemplativi. Al netto di tutto ciò, è però possibile individuare delle eccezioni che riescono a coadiuvare entrambe le sensazioni, che siano queste dinamiche o statiche.

In Ace Combat 7: Skies Unknown, ultima incarnazione del celebre franchise di Bandai Namco, in alternativa ai combattimenti che il gioco concede, c’è una modalità tutt’altro che bellica: il volo libero.

Capiamoci, è una modalità di terzo piano e sicuramente poco preferibile alla spettacolarità che la trama propone; tuttavia, dopo aver abbattuto velivoli e bombardato qui e là, prendersi una pausa per osservare ad alta quota l’ambiente e i suoi dettagli risulta davvero piacevole. Sensei Katabuchi e Project Aces, nel tracciare le linee del gioco, non hanno lesinato in particolari e dinamiche ambientali. Gli oltre venti stage offrono una varietà non da poco, mostrando con dovizia l’alta variabilità geografica che il continente Useano offre: dagli impervi, quanto altrettanto spettacolari, scorci della Valle Yinshi, alle vette innevate delle montagne Waiapolo, fino ai deserti di Roca Roja, ornati dai suoi peculiari altipiani. Alle distese naturali si alternano numerosi agglomerati urbani, alcuni distinti da moderne e verticali metropoli come Anchorhead, altri invece, da luoghi più rustici, in cui è possibile scorgere i segni di vecchie società medievali, come nel caso di Shilage, la località patria di Mihaly, il principale asso antagonista del gioco.

Durante le fasi di combattimento, i notevoli tempi di reazione non concedono chissà quali grandi osservazioni turistiche; tuttavia, già in queste fasi è possibile notare la cura che il team ci ha concesso. Non fraintendetemi, è vero che i modelli e le texture del terreno non sono la quintessenza dell’estetica; sbavature che volando sotto certe altitudini si palesano come due dita negli occhi ma, ehi, stiamo giocando ad Ace Combat non a Call of Duty, per cui tiriamo la cloche e torniamo in quota. Occhio non vede, cuore non duole.

Le immagini che raccontano una storia

Al di là della guerra, il volo libero mi ha concesso una serie di riflessioni legate proprio alla narrativa del franchise. Gli aficionados della serie conosceranno perfettamente la complessa cronistoria di Strangereal, il fittizio universo geopolitico di Ace Combat. Bene, ai dummies basti sapere che, dopo i primi due lavori compiuti sulla prima generazione di PlayStation, Namco introdusse gli eventi di un mondo i cui ordinamenti geografici (per non dire morfologici), politici e socio-culturali si mostravano assai differenti rispetto al mondo reale. Naturalmente, la totale vastità dell’ambientazione traeva (e trae) ispirazione dal mondo reale, ma le digressioni, soprattutto tecnologiche, erano enormi.

Nella cronologia di Strangereal, nel 1994, veniva osservato per la prima volta l’asteroide Ulysses 1994XF04, che appena cinque anni più tardi sarebbe entrato in collisione con il pianeta, causando morte e destabilizzazione in buona parte delle terre emerse. I risultati furono il casus belli di numerosi conflitti giocati nel corso della saga, settimo capitolo incluso. Ora, cosa c’entra tutta questa filippica con il volo libero?

Come accennavo sopra, il gioco offre oltre venti stage, venti mappe che portano i segni indelebili delle numerose catastrofi che il continente di Usea ha subito nel corso della storia. Non è infatti difficile imbattersi nei colossali crateri generati dai frammenti del meteorite; in particolare sorvolando i deserti di Roca Roja o le foreste pluviali di Chopinburg. In quest’ultima mappa, i giganteschi corsi d’acqua hanno inondato i crateri, formando degli spettacolari laghi circolari. 

Se fin qui la suggestione preme forte sull’acceleratore emozionale, sorvolando (anche a bassa quota) Farbanti – storica capitale del Regno di Erusea – la vista vira drasticamente sul drammatico. La capitale dava dimora a milioni di persone, buona parte delle quali morirono quando uno dei frammenti collise con la baia della città. Le conseguenze furono prossime all’essere definite apocalittiche: buona parte di essa rimase sommersa dai maremoti che ne conseguirono, mentre molti, fra i frammenti che si proiettarono in aria con l’impatto, si scagliarono contro le strutture della città. Durante la fase narrativa si ha poco tempo per contemplare appieno la devastazione che colpì la città; discorso diverso quando la si sorvola in modalità libera. Volare fra i ruderi e gli scheletri di grattaceli un tempo splendenti fa un certo effetto. Si potrebbe soltanto immaginare una devastazione di quella portata, riflettendo al contempo sulla fragilità delle cose che ci circondano, sull’impotenza dinanzi a eventi così travolgenti.

L’unica cosa che avrei voluto vedere o, per meglio dire, ascoltare in queste fasi libere sono le musiche del maestro Keiki Kobayashi. Purtroppo queste sono riservate unicamente alla modalità campagna, ed è ben chiara la ragione. Il volo libero è una catarsi, una forma di immersione in degli ambienti spogli di tutto ciò che potrebbe risultare extra-diegetico. Motivo per cui dobbiamo accontentarci dei soli suoni emessi dai nostri postbruciatori. 

Come ultima considerazione, consiglio di affrontare questa modalità alternando le prospettive di visuale, sia interna al cockpit, sia in esterna. Oltre a garantire un più alto livello di immersione, la soggettiva permette di godere maggiormente di alcune funzionalità implementate per questo Ace Combat, come il TrueSKY, una tecnologia che migliora notevolmente la fisica ambientale: attraversare un banco di nubi e vedere la condensa depositarsi sopra il cupolino fa sempre un certo effetto.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata all’escapismo, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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