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Alphaville e il Weltschmerz sul balcone

Alphaville e il Weltschmerz sul balcone

C’è una città (virtuale) che ho recentemente visitato che mi ha fatto paura più di tutte le altre.

È appena abbozzata in stile low poly, non ci sono dettagli fotorealistici, non è popolata da zombie, mutanti o robot multiformi e i suoi colori tendono verso innocue e quasi rilassanti sfumature pastello. Eppure il viaggio è stato talmente potente che difficilmente riuscirò a togliermela dalla testa. Si chiama Alphaville (prima di una serie lunghissima di piccole citazioni letterarie, cinematografiche, musicali, politiche) e quella che in un passato recentissimo fu probabilmente una città produttiva, piena di grattacieli e gente ora non è altro che un desolato campo da golf.

“Siamo soli [cit.]”

Sulle sue macerie, infatti, vengono a giocare i ricchi abitanti di Tesla City, colonia marziana popolata dai pochi sopravvissuti alla Grande Catastrofe. Percorrono 54,6 milioni di chilometri solo per mandare una pallina in una buca (per analogia, se pensiamo che fino a poco tempo fa qualcuno prendeva un volo intercontinentale solo per farsi un selfie, tutto rientra nella normalità). Tra un tiro e l’altro, ammirano sullo sfondo ciò che resta dell’umanità. Palazzi sventrati sui quali ancora brillano le scritte al neon rosa fluo, carrelli della spesa ammassati come montagne, container che una volta contenevano merci provenienti da ogni angolo del pianeta ora fungono da base per le deiezioni esageratamente abbondanti e chimiche dei gabbiani. Ogni tanto si incontra anche qualche animale, unici superstiti. Una mucca dalle mammelle radioattive, dei topi dagli inquietanti occhi rosa, una giraffa albina (altra citazione) o dei simpatici scoiattoli che non vedono l’ora di mangiarsi palline da golf.

“Mentre il mondo cade a pezzi [cit.]… qualcuno se ne vola via”

Quello che fa più impressione di Alphaville è che pur se stiamo parlando di distopia, questa è talmente vicina a noi che la si può quasi toccare. Non a caso, ci sono moltissimi riferimenti all’attualità e alla politica. Solo due esempi: la colonia marziana si chiama Tesla City (Elon, ci sei?) e su un palazzo campeggia la scritta COVFEFE (Trump, ci sei?). Giocare a golf sui resti di Alphaville è ciò che dovrebbero fare tutti i negazionisti del cambiamento climatico. Volete farvi un giro in un museo che una volta era rifugio per l’arte e ora ha solo cornici vuote e una statua di Afrodite con un cellulare in mano che si fa un selfie? Volete vedere fusti di scorie radioattive sotterrati che rilasciano i loro miasmi nell’acqua una volta potabile? Avete veramente voglia di vedere migliaia di valigie abbandonate perché chi è riuscito a partire verso Marte è solo l’1% della popolazione mondiale? Tra l’altro, pur non vedendo mai con i nostri occhi come se la passano i coloni marziani, possiamo intuire dalla suadente voce dello speaker di Radio Nostalgia From Mars (RNFM per gli amici) che stanno una merda! La doccia dura appena trenta secondi, l’acqua potabile altro non è che pipì riciclata, bisogna prendere una pillola per la densità ossea, vengono imposti la mappatura genetica e il matchmaking tramite algoritmi, il cibo secco va reidratato, bisogna bere una bevanda “calmante” chiamata O’MASS… Wow, che vita!

“Chega de saudade [cit.]”

È proprio RNFM, la colonna sonora diegetica che accompagna il giocatore di golf dentro al suo casco, a dare le informazioni su ciò che era la vita su Alphaville e ciò che è ora su Tesla City. Lo fa attraverso le canzoni (tutte originali), gli interventi dello speaker e le testimonianze dei radioascoltatori. Queste sono la parte più straordinaria di tutta l’esperienza. Persone da tutto il mondo raccontano e condensano la loro personalissima vita in storie tanto intime quanto toccanti, che durano appena qualche minuto. Mai in un videogioco credo ci sia stata un’implementazione così coesa, funzionale, logica, del sottofondo musicale. È un flusso continuo di informazioni che solo la voce riesce a dare e le fissa nelle nostre menti mentre cerchiamo di fare entrare la pallina in una buca. Chiamarlo sottofondo, in questo caso, è assai riduttivo, perché RNFM è la base su cui si poggia tutta la costruzione del gioco. Senza di lei resterebbe un mediocre giochino di golf. Invece RNFM contestualizza tutto, fa da collante tra un passato distrutto e un futuro claustrofobico. La radio non ha ricezione quando andiamo sotto terra, si ferma quando ci togliamo il casco, riparte da dove abbiamo interrotto quando ricominciamo la partita. Grazie a RNFM, Alphaville si trasforma in un gigantesco Weltschmerz, quel dolore cosmico e quella stanchezza del mondo tanto caro a Heinrich Heine (di cui verrà letta proprio una sua poesia in lingua originale). Alphaville è un inno alla nostalgia per i tempi perduti, alla saudade, alle cose che non ci sono più. E questo fa paura, molto più di uno zombie o di un E.M.M.I..

“Anche qui c’è una citazione, ma non è musicale, la sapete?”

P.S.
Il gioco si chiama Golf Club: Wasteland, costa una cazzata e per me è il GOTY 2021

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata alle città di paura, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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