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eXistenZ #40 – Hitman: Agent 47

eXistenZ #40 – Hitman: Agent 47

eXistenZ è la nostra rubrica in cui si chiacchiera del rapporto fra videogiochi e cinema, infilandoci in mezzo anche po' qualsiasi altra cosa ci passi per la testa e sia anche solo vagamente attinente. Si chiama eXistenZ perché quell'altro film di Cronenberg ce lo siamo bruciato e perché a dirla tutta è questo quello che parla proprio di videogiochi.

Di solito, cerco di evitare sovrapposizioni fra Outcast e il mio blog. Se parlo di un film in questa rubrica, sul blog faccio sega. E viceversa, chiaramente. E se ci tengo a scrivere di un film in entrambi i "luoghi", provo a farlo in maniere diverse, come è capitato il mese scorso con Dead Rising: Watchtower. Avrei fatto volentieri lo stesso questo mese con Hitman: Agent 47 ma, abbiate pazienza, c'è la Paris Games Week, m'è capitata un'altra cosa che penso molti di voi sappiano e c'ho il ginocchio che fa contatto col gomito. E quindi, oggi, scattano le trasmissioni a reti unificate e vi beccate anche qui quel che ho da dire. La versione breve? Era meglio il primo. La versione lunga? Sta qua sotto.

Hitman: Agent 47 costituisce il secondo tentativo di portare sul grande schermo l'assassino silenzioso di IO Interactive. Il primo, risalente al 2007, era il classico adattamento cinematografico mediocre del quale si poteva salvare qualche aspetto, come le belle immagini piazzate qua e là da Cristophe Gans, la bella presenza di Olga Kurylenko e il bel ciondolare di Timothy Olyphant, forse poco adatto al personaggio, ma a cui è difficile voler male. L'aspetto indubbiamente peggiore? La tremenda sceneggiatura di Skip Woods, uno la cui scheda su IMDB potrebbe essere catalogata come rifiuto tossico. E, licenza del videogioco a parte, cosa accomuna i due film basati su Hitman? Ma Skip Woods, ovviamente.

Anche questa volta la sceneggiatura è stata scritta dal nostro re Mida al contrario e anche questa volta i risultati sono quelli che sono, con un intreccio e una scrittura, di dialoghi e personaggi, che spaziano fra l'anonimo e il brutalmente risaputo. Lo spunto di partenza, seppur non particolarmente originale, è azzeccato: in pratica, l'assassino viene presentato come una sorta di Terminator spersonalizzato che mira ad eliminare la protagonista. Solo più avanti, come per altro svelato nei trailer, si ribalteranno i ruoli. Il tutto, però, è sviluppato in maniera pigra e un po' impacciata, senza neanche la capacità di rifugiarsi in qualche bella immagine e, anzi, con scene d'azione sì abbondanti, ma davvero pessime per coreografie e gestione di tempi, spazi e continuità.

Qui è dove l'Agente 47 viene attaccato dai buchi di sceneggiatura.

Insomma, pare incredibile, ma Hitman: Agent 47 è perfino più brutto del film che l'ha preceduto. O meglio, è terribilmente più anonimo, anche se magari più rifinito nel suo essere compitino senza guizzi. Poi, per carità, volendo, si può salvare un Rupert Friend che s'impegna abbastanza e funziona, oltre al tentativo di omaggiare le meccaniche dei videogiochi in qualche scena d'azione, ma non c'è davvero altro. Se questo dovrebbe essere il film su cui qualcuno spera di basare un nuovo universo cinematografico condiviso, beh, partiamo maluccio.

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