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Evangelion è la mia cosa preferita

Evangelion è la mia cosa preferita

Sarà stato due o tre settimane fa, ora non ricordo con precisione, quando giopep mi ha bussato sullo Slack redazionale per spiare qualche spunto riguardo la Cover Story di giugno. Credo di averci messo, tipo, mezzo secondo a digitare “Evangelion! Evangelion!”, in via dello sbarco su Netflix previsto per il prossimo 21 giugno, preciso sul solstizio.

La ragione di tanta foga è semplice: Neon Genesis Evangelion è la mia cosa preferita. Lo preferisco a Twin Peaks, a Super Street Fighter II Turbo, ai malfatti con gli spinaci che mi cucinava la mamma quando ero piccolo e perfino ai pizzoccheri. Anni fa - prima di rendermi conto della cazzata – adoperavo l’anime di Anno come metro di giudizio nel discriminare le persone. Ho lurkato decine di thread nei forum più molesti, e una volta sono stato a tanto così da iscrivermi alla facoltà di studi ebraici (nessun rimpianto: col senno di poi, sarei stato un pessimo rabbino).

Un'illustrazione di Yoshiyuki Sadamoto, character designer di Neon Genesis Evangelion.

Mi piace talmente tanto, Evangelion, che adesso non mi riesce di scriverne. Sono bloccato come Indiana Jones in quella scena de L’ultima crociata, quando è davanti al padre e gli mancano le parole. Il problema sono i pensieri da mettere in fila, perché se da un lato è relativamente facile mirare ai meriti di Neon Genesis Evangelion, non è altrettanto scontato definirne l’unicità.

Una buona idea potrebbe essere quella di partire dal contesto della messa in onda originale, risalente al 4 ottobre del 1995. Se è vero che alcune opere sono talmente intrecciate col proprio tempo che, probabilmente, non sarebbero potute saltar fuori diversamente, Evangelion è sicuramente una di queste.

Più o meno attorno al 1991, ancora in preda all’ottimismo per l’accelerazione degli anni Ottanta, il Giappone subì un fortissimo shock economico legato allo scoppio di una bolla speculativa, e dal mattino alla sera si trovò impantanato nel più severo periodo di recessione dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Qualcuno iniziò a dubitare che il paese sarebbe riuscito a mantenere le proprie competenze sul mercato internazionale, mentre la fiducia nel futuro che aveva accompagnato i giovani giapponesi durante gli anni precedenti venne meno.

Il “cast” di Neon Genesis Evangelion.

Questo blocco finì per mettere in discussione i valori nazionali improntati al collettivismo e del “facciamo tutti assieme del nostro meglio” e i media presero a rubricare gli anni tra il 1991 e il 2001 come il decennio perduto. Ecco, Neon Genesis Evangelion esce esattamente a metà di quel periodo e ne riflette in pieno spirito, tensioni e problematiche.

I protagonisti dell’anime di Hideaki Anno, a cominciare dai tre giovanissimi piloti designati, Shinji, Rei e Asuka, sono degli irrisolti afflitti da milioni di dubbi. Molto distanti dagli eroi alla guida dei robottoni di Nagai e più prossimi, semmai, a certi personaggi che popolano le opere di Yoshiyuki Tomino. Il genere mecha, qui, è quasi un cavallo di Troia per permettere all’autore di spingere sulla filosofia, la storia delle religioni, la psicologia e l’ombra della depressione.

Lo stesso Hideaki Anno, nel corso della propria vita, ha sofferto di crisi depressive.

Tutte queste tematiche, pure già abbondantemente presenti in Nadia - Il mistero della pietra azzurra, con Evangelion subiscono una tale accelerazione che le porta a fondersi in un unico nastro.

Proprio come i Kaijū della narrativa fantascientifica post-bellica, sia le unità Evangelion che gli angeli conducono una fortissima carica metaforica. Si direbbe che Anno, in una certa misura, li adoperi per dare forma e volume ai traumi che affliggono i suoi personaggi, ed eventualmente per mettere questi ultimi nella condizione di scioglierli attraverso l’azione. Le tre scale più vistose dell’opera - fisica, metafisica e psicologica - si specchiano continuamente l’una nelle altre. Nel corso della serie, si intrecciano, modificano continuamente il proprio ordine gerarchico senza mai entrare in contraddizione. Coesistono, esattamente come i famosi due finali.

Per quanto costretto da vincoli produttivi (o, forse, proprio in virtù di quelli), il finale originale di Neon Genesis Evangelion vanta una potenza espressiva pazzesca e, soprattutto, una forte coerenza di fondo.

Chiaramente, le pippe che ho appena elencato non sono mica le uniche a farcire l’opera. Ad avere voglia, ci sarebbe da ragionare sul sottotesto meta-referenziale o su quello linguistico. Neon Genesis Evangelion, esattamente come i film di Lynch o i romanzi di Murakami, è una di quelle scatole magiche che viene divertente smontare, anche in via di una complessità tutta costruita attorno allo sguardo, piuttosto che alla parola.

Come ho detto, la narrazione di Anno è di natura simbolica ma mai veramente ermetica. L’autore non gioca sporco e non nasconde le mani, a cominciare dalla sigla. Semplicemente, anziché perdersi troppo in backstory, lascia esprimere immagini e movimenti. Prima ho paragonato i mecha (sort of) a dei “cavalli di Troia”, ma credo di essere stato ingiusto. Tutti le unità Evangelion e gli angeli che, uno dopo l’altro, vanno all’assalto di Neo-Tokyo 3 non sono accessori al racconto, ma sono il racconto tanto quanto i dialoghi, le interazioni tra i personaggi e i movimento astratti delle ultime puntate.

Le sequenze d’azione, oltre ad essere spettacolari ed esaltanti, sono fondamentali per l’articolazione della storia.

Sarebbe impossibile avere il quadro completo dell’opera limitandosi a leggere le didascalie e liquidando l’azione a “robot che si menano” o “adolescenti che si fanno le menate”, soprattutto tenendo conto della densità compositiva che viene messa davanti agli occhi dello spettatore.

In virtù di questa e altre scelte, delle molte vicissitudini creative, produttive e persino dei vincoli, Neon Genesis Evangelion è inevitabilmente il prodotto del suo tempo. Per struttura e tematiche, ha influenzato dozzine di produzioni che lo hanno seguito, compresi videogiochi come Final Fantasy VII.

Final Fantasy VII incrocia, a tratti, le medesime tematiche di Evangelion.

Eppure, se le opere che riescono a inquadrare un’epoca sono rare, lo sono ancora di più quelle che, a un certo punto, se la scrollano di dosso. Neon Genesis Evangelion è riuscito a bucare gli anni Novanta diventando uno standard, anche dopo che le fisse per la psicoanalisi e la Cabala ebraica hanno lasciato il passo a quella per la fisica quantistica del nuovo millennio.

I personaggi dell’anime sono diventati praticamente degli archetipi, e ogni volta che guardate Sfondamento dei cieli Gurren Lagann, Kill la Kill, Abenobashi - Il quartiere commerciale di magia, Darling in the Franxx, state guardando anche Evangelion. E senza entrare nel merito di produzioni più o meno satellitari alla Gainax, quante variazioni sul tema dell’episodio Nerv la nascita si sono viste nel corso degli ultimi anni? Io ne ho incrociate parecchie, anche se nessuna ha ancora tenuto testa alla più bella proposta lavorativa della storia:

Fuyutsuki, vorresti unirti a me per creare la nuova storia del genere umano?

E come si fa a dire di no?

Infatti, alla fine ha accettato l'impiego.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata all’arrivo di Neon Genesis Evangelion su Netflix e ai robottoni in generale, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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