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Assassinio sull'Orient Express mi ha riconciliato con Kenneth Branagh

Assassinio sull'Orient Express mi ha riconciliato con Kenneth Branagh

Who killed Cock Robin?
I, said the Sparrow,
with my bow and arrow,
I killed Cock Robin.
— Filastrocca inglese

Fino a qualche mese fa, non ero mai andato veramente d’accordo con Kenneth Branagh. All’epoca dei suoi esordi shakespeariani, ero troppo preso dall’onda sanguinolenta di registi come Shin'ya Tsukamoto, Takeshi Kitano o Quentin Tarantino per farmi impressionare da un biondino con la faccia da schiaffi che faceva film in costume. E poi, quando proprio mi toccava buttarla sul britannico, preferivo senz’altro Alan Parker, Mike Newell o addirittura James Ivory.

Probabilmente, il mio primo approccio con Branagh si è consumato con Molto rumore per nulla, del 1993, che ricordo molto spinto dal giornalino mensile di Telepiù in virtù del supercast anni Novanta, che partiva da Emma Thompson, passava per Denzel Washington e finiva con un Keanu Reeves ancora in versione “manzo” (a proposito: ma quanto era bello il giornalino mensile di Telepiù? Lo aspettavo quasi con lo stesso ardore che riservavo a TGM o Ciak, che all’epoca seguivo per i “cinemini” e le parodie di Disegni & Caviglia che mi facevano riderissimo; ma al solito, sto divagando). In seguito ho recuperato Gli amici di Peter e con gli anni, tra una cosa e l’altra, ho finito per incrociare quasi tutti i film dell’attore/regista: Frankenstein di Mary Shelley, Nel bel mezzo di un gelido inverno, Hamlet, e via così fino al primo Thor e al recente Cenerentola. E in fondo non è che abbia mai trovato i suoi film scadenti o sgarbati, anzi. Però alla fine boh, nemmeno così speciali. Parlando strettamente di cinema - a teatro non ho mai avuto il piacere, e capace che sia davvero un mostro - ho sempre considerato Branagh un regista nella media, addirittura migliore come attore. Col tempo, anche per via di quella faccia che si ritrova, ho finito col sovrapporlo al vanesio e sopravvalutato professore che interpreta nel secondo Harry Potter.

Guarda come ride!

Poi, qualche mese fa, sono stato travolto da quella bestia incredibile che è Dunkirk, e tra le varie cose belle ho pensato: “Oh, ma che bravo che è Kenneth Branagh. Che carisma, che commozione: vuoi vedere che è uno di quegli attori che mi funzionano meglio in età matura?”.

Così, insomma, nella sala dove davano Assassinio sull'Orient Express, ci sono entrato con un velo di ottimismo, fermo restando che sotto sotto mi aspettavo il solito blockbuster col supercast e le faccette di Johnny Depp, filtrato dal tono sornione e un po’ pretenzioso di Branagh.

Quello delle faccette.

Ero inoltre convinto a pregiudizio, da assoluto ignorante nei confronti del romanzo originale o della celebre riduzione cinematografica di Sidney Lumet, che la trama del film sarebbe andata a parare sul giallo vecchia maniera, di quelli che sfidano lo spettatore a trovare il colpevole prima della fine mandando a mente tutti gli indizi e i sospettati, con in mezzo il solito delitto di passione o di soldi. Una sorta di Cluedo, insomma, ché davvero in vita mia Agatha Christie non l’ho mai approfondita, se non di striscio attraverso le varie rivisitazioni di Dieci piccoli indiani (tipo quella bellissima di Lamù) o giocando a Cruise for a Corpse.

E invece è successo che mi sono trovato davanti a un film dalla fortissima personalità, che se ne fotte serenamente del realismo sia a livello di regia che di recitazione, ma nonostante questo (o forse proprio in virtù di questo) riesce a colpire forte sul piano emotivo e addirittura a commuovere. Nonostante il taglio furbetto delle prime scene, siamo parecchio lontani dallo Sherlock Holmes di Guy Ritchie o da quello di Steven Moffat e Mark Gatiss. Qui non c’è nessun tentativo di rivisitare un classico contaminandolo con elementi moderni, anzi. Paradossalmente, la messa in scena di Branagh a base di spazi stretti e primi piani, composizioni fortemente pittoriche (spesso ci si imbatte in delle vere e proprie citazioni) e tinte sparate, fa il giro e riesce a lasciare addosso alla storia il profumo dei suoi anni (il romanzo fu pubblicato a puntate sul The Saturday Evening Post durante l'estate del 1933) senza farla puzzare di vecchio. Contemporaneamente, però, riesce pure a sganciarla da ogni tempo, rendendola quasi una parabola astratta e universale.

Quella un po' in là con gli anni che ancora ci prova.

Ora, non avendo letto il romanzo, non saprei dire se la trama del film proceda fedelmente lungo i binari tracciati dalla Christie oppure faccia di testa sua (dalla regia mi dicono “È un po’ meno rigoroso rispetto al film di Lumet, ma abbastanza fedele”), e in fondo chissenefrega. Quello che conta è che la versione messa in scena da Branagh funziona piuttosto bene per come va a toccare il conflitto tra la patologica necessità di giustizia, di equilibrio, dell’investigatore belga Hercule Poirot (interpretato splendidamente dal regista stesso) e la complessità del mondo reale e della mente umana, intesa anche nella sua bestialità. Poirot, dietro quei baffi caricaturali, persino buffi, è un uomo tragico, che ha successo proprio in virtù del suo disturbo e della sua rigidità. Un uomo che tenta di proiettare la sua visione del mondo e del male sul resto dei personaggi in scena: delle vere e proprie maschere da teatro pronte a cadere una dopo l’altra.

Quello che mi fa venire voglia di scrivere "di birra e di fregna il baffo s'impregna".

Eppure, nonostante il velo di tristezza, Poirot è anche un uomo potente. Di una potenza quasi sovrannaturale. Nella parabola del film, è un dio impegnato a fare tana a un gruppetto di peccatori che non aspettano altro che di essere giudicati e assolti dal loro limbo (un limbo che, esattamente come in Forza maggiore, viene innescato da una valanga in odore di metafora).

Peccatori che non peccano tanto di vizio, come parrebbero suggerire le loro maschere, ma di debolezza e pietà. Piano piano, per mezzo dei loro svelamenti, Poirot (e lo spettatore dietro i suoi occhi e i suoi baffi) attraverserà una tribolazione morale che trasformerà la caccia all’assassino in un’indagine filosofica sul significato della giustizia assoluta, ammesso che esista, e sulle cause che possono spingere un uomo a “spaccare il proprio animo” fino a uccidere. Sempre per via della mia ignoranza, presumo che la trama con tutta la relativa impalcatura metaforica derivi dal testo originale (anche perché si sente un po’ dappertutto l’eco del rapimento Lindbergh, avvenuto nel 1932 e recentemente portato in sala anche in J. Edgar di Eastwood), ma il modo in cui viene interpretata a livello dinamico e spaziale - tra composizione, scenografie e luci - è senz’altro merito del Kenneth Branagh regista, termine qui inteso nella sua accezione classica.

Quella che "ma non è la tipa che ha fatto...?"

Proprio come un Giorgio Strehler o un Luca Ronconi, che riuscivano a prendere un’opera di Shakespeare e farla a pezzi sul palco senza mancarle di rispetto, allo stesso modo Branagh si impossessa completamente delle pagine della Christie, ma soprattutto del personaggio di Poirot, attraverso una messa in scena fuori dalle righe e un cast travolgente. Tra picchi e sufficienze piene, tutti fanno il loro dovere al meglio delle proprie possibilità, evidentemente diretti come si deve. Non ci sono attori cani, o per metterla diversamente: anche i più deboli della risma sono lontani da intaccare il valore del film.

Quella vecchia con l'aria di chi la sa lunga.

La presenza di così tante star e facce note (qualche nome in ordine sparso: Judi Dench, Willem Dafoe, Michelle Pfeiffer, Johnny Depp, Derek Jacobi, Penélope Cruz, Josh Gad, Daisy Ridley, Lucy Boynton), oltre a servire il marketing e a rincorrere il film del 1974, concorre a costruire delle maschere riconoscibili per i vari personaggi. Era facile fare un pasticcio, eppure il film procede a ritmo serrato interrogatorio dopo interrogatorio, attraversato da un paio di sequenze agitate (“la linea action”) abbastanza inutili che sì, si potevano pure evitare, ma alla fine non fanno grossi danni.

Quella che mi attizza.

Poi, per carità, certe scelte sono forse un po’ troppo di maniera; le musiche ridondano fino a infestare alcune sequenze. Eppure nel complesso ho trovato questa versione di Assassinio sull'Orient Express riuscita e sinceramente emozionante, nonché una via tutto sommato efficace e originale – perlomeno dal mio punto di vista – di adattare un classico della letteratura popolare per il Cinema. Tra l’altro parrebbe già certo un sequel, Assassinio sul Nilo. Quasi me lo immagino, Kenneth Branagh che se la ride sotto i suoi enormi baffoni di scena, tutto felice per aver trovato una gallina dalle uova d’oro. Lui e la sua faccia da schiaffi.

Frechete!.jpg

Ho visto Assassinio sull'Orient Express una settimana dopo l’uscita in sala, mentre fuori nevicava, e questo ha senz’altro contribuito a tirarmi in mezzo. Il film, come ho ben scritto, mi è piaciuto; ho apprezzato così tanto il cast che avrei quasi voluto appiccicare una foto per ciascun attore (ma a quel punto tanto valeva fare un albo di figurine, anziché una recensione). Chiudo con l’ennesima digressione inutile: a livello di intreccio, il film mi ha ricordato le opere della Rowling. Sarà che lei e Agatha Christie sono entrambe inglesi e gialliste? C’entra tutta la faccenda dell’“anima spezzata” presente anche nei romanzi di Harry Potter? O magari c’è sotto qualche riferimento tipicamente britannico? Boh. Intanto la butto .

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