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Shut In, potevi restartene nella Black List

Shut In, potevi restartene nella Black List

Shut In è basato su una sceneggiatura dell'esordiente Christina Hodson, che se ne stava bella placida nella famigerata Black List hollywoodiana dal 2012. La sceneggiatura, non la Hodson. Il film racconta di una psicologa specializzata in giovincelli che, a seguito di un incidente stradale, si ritrova improvvisamente vedova e con figliastro paralizzato a carico. In più, per maggiore praticità, vive in una casetta semi-isolata nel bosco che, in caso di nevicate forti, finisce quasi tagliata fuori dal resto del mondo. Vogliamo aggiungerci che, a seguito di un altro paio di eventi abbastanza equivoci, inizia a dormire malissimo, viene perseguitata da sogni ambigui e, agevolata dai rumori angoscianti che ogni abitazione di quel tipo emette, teme di avere un fantasma in casa? Aggiungiamocelo e otteniamo, bene o male, quello che Shut In propone e promette.

Questo setup non è neanche malvagio, infila l'ennesima faccenda di fantasmi nella casetta su due piani in una situazione comunque abbastanza diversa dal solito, propone una protagonista interessante (e non damigella da salvare) e butta lì due o tre spunti mica male. Ed è infatti probabilmente il motivo, assieme al twist che avvia tutta la parte finale del film, per cui la sceneggiatura era finita nell'elencone delle sceneggiature più ganze in attesa di produzione (la Black List, appunto).  Aggiungiamoci che Naomi Watts fa il suo onesto dovere per dare credibilità e intensità al personaggio e che le partecipazioni del sempre ottimo Oliver Platt e dell'ormai definitivamente ottimo Jacob Tremblay non fanno certo schifo per chiudere il cerchio e dire che Shut In poteva essere un horror davvero interessante e particolare. Il problema è che per ottenere quel risultato serviva un regista. E invece abbiamo Farren Blackburn.

Ora, io capisco che Oliver Platt debba campare e che il piccolo Jacob Tremblay si prenda un po' tutti i ruoli da bambino nei guai che gli capitano davanti. Capisco anche che la sceneggiatura, in teoria, offriva dei buoni spunti. Ma, per la miseria, Naomi Watts non è magari sulla cresta dell'onda come un tempo ma quali debiti deve ripagare e/o favori concedere per finire a recitare nel secondo film del regista di Hammer of the Gods? Qualcuno che ne capisca più di me potrebbe darmi una risposta, nel frattempo prendiamo atto che alla fin fine Shut In è sostanzialmente in zona Morgan: ci sono spunti azzeccati, c'è il materiale (anche umano) per tirarne fuori un bel film, c'è pure un direttore della fotografia mica male, ma mancano la forza, la personalità e la direzione che servirebbero per far funzionare un mix tutt'altro che semplice da gestire. E quindi abbiamo una prima parte che fatica a far girare fino in fondo il suo frullato di suggestioni drammatiche e horror con poi una parte finale che, post-twist, svacca nella maniera più assoluta, a botte di banalità, overacting e suspense sotto zero. E insomma, no.

Questa cosa dei film che in Francia escono una settimana prima rispetto all'Italia per darmi il tempo di guardarli e scriverne è davvero comoda, grazie. In Italia esce oggi. Ma voi fate finta di niente.

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